ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 193/2023

14 Maggio 2023

Francesca Bergamante, Achille Pierre Paliotta

Per pochi e poco utili: le attività formative e di apprendimento per occupati e non 

Francesca Bergamante e Achille Pierre Paliotta utilizzando il database dell’Indagine Inapp-Plus 2021, analizzano la partecipazione alle attività formative e le sue caratteristiche principali, confrontando le diverse condizioni occupazionali, con un focus sugli occupati e sull’utilità dei percorsi formativi. Emerge che l’apprendimento permanente è poco diffuso in Italia, soprattutto tra i giovani, gli inattivi e le categorie ai margini del mercato del lavoro, e che sono pochi gli effetti positivi su carriera e retribuzione degli occupati.

La debolezza della dotazione di capitale umano rispetto agli altri Paesi europei è una specificità nota dell’Italia ed è spesso associata alla scarsa capacità dei sistemi dell’istruzione e della formazione di intervenire sulle competenze non solo degli occupati, ma anche di chi è fuori dal mercato del lavoro o ne è molto distante.

Negli ultimi anni il sistema di apprendimento permanente ha subito profonde modifiche dirette anche a ricalibrarlo sui più vulnerabili e il PNRR, con la particolare attenzione che pone alla riduzione dei divari territoriali e all’accesso alla formazione di tutti gli individui può costituire uno strumento per consolidare.

Ma resta forte l’esigenza di innalzare la partecipazione degli adulti a occasioni di apprendimento che è ancora molto bassa sia per la scarsa fiducia nel ritorno dell’investimento formativo sia per il debole esercizio dei diritti di cittadinanza da parte degli individui più marginali (Rapporto Inapp 2021).

Tra i diversi target europei vi è appunto anche quello di elevare la quota di individui che partecipano ad iniziative di apprendimento, portandola, per la fascia d’età tra i 25 e i 64 anni, al 47% nel 2025 e al 60% nel 2030 (Risoluzione del Consiglio su una nuova agenda europea per l’apprendimento degli adulti 2021-2030).

Il presente articolo, utilizzando il database dell’edizione 2021 dell’Indagine Inapp-Plus, si concentra sulla partecipazione ad attività formative e sulle sue caratteristiche, distinguendo le diverse condizioni occupazionali, ma con un focus specifico sugli occupati e sull’effettiva utilità dei percorsi formativi intrapresi. 

Condizione occupazionale e apprendimentoLa quota di individui tra 18 e 74 anni che ha partecipato a corsi di formazione o di aggiornamento professionale, è, in media, ancora bassa: si attesta sul 19%, considerando tutti coloro che hanno partecipato ad almeno un corso (fig. 1). Fino al 2019 i tassi di partecipazione erano tendenzialmente in crescita, ma tra il 2019 e il 2020 hanno subito un calo per poi risalire nel 2021. Sull’andamento degli ultimi anni hanno certamente influito sia la pandemia con l’imposizione del confinamento sia la congiuntura economica che ha pesato sui rinnovi dei contratti in scadenza (Rapporto Plus 2022). 

Confrontando le diverse condizioni occupazionali, i tassi sono decisamente superiori per gli occupati (arrivano al 31,5%) mentre sono quasi irrisori nel caso degli inattivi (4,5%). Si può qui osservare che queste stime differiscono da quelle dell’ Istat (2021) soprattutto in ragione della più ampia definizione di persone in cerca di occupazione utilizzata nell’Indagine Inapp-Plus (cfr. cap. 11 Rapporto Plus 2022) che comporta l’inclusione degli inattivi più vicini al mercato del lavoro nell’aggregato dei disoccupati. Ma il dato più preoccupante riguarda il livello di partecipazione degli individui in cerca di occupazione (11,6%), molto distante da quello riferito agli occupati. 

In Italia l’investimento in apprendimento non costituisce, dunque, un elemento cardine nella ricerca di lavoro o nell’aggiornamento delle competenze, diversamente da quanto accade in molti paesi europei. In alcuni di essi (ad es. in Danimarca, Germania e in Svezia) la quota di disoccupati che partecipa ad occasioni formative è superiore, e anche di molto, a quella degli occupati. In più, la tendenziale crescita nell’apprendimento cui si accennava prima, ha interessato poco le categorie maggiormente fragili, spesso penalizzate dalle condizioni socio-demografiche (come ad esempio, il possesso di titoli di studio a bassa qualificazione)

Figura 1: incidenza della partecipazione ad attività formative per condizione occupazionale (%)

Fonte: elaborazioni su dat Indagine Inapp-Plus 2021

La pandemia ha anche inciso sulle modalità di svolgimento delle attività di apprendimento, rendendo la formazione a distanza (FAD) quella più utilizzata, indipendentemente dalla condizione occupazionale (fig. 2). Tra gli occupati, la FAD copre quasi il 71%, lasciando un posto residuale alle altre modalità formative. Diversamente, per gli inattivi, forse anche perché sono meno digitalizzati o non sempre hanno a disposizione un’adeguata strumentazione tecnologica, il tradizionale corso svolto in aula ha continuato ad avere una rilevante importanza. 

Figura 2: Tipologia di attività formativa svolta per condizione occupazionale (%) 

Fonte: elaborazioni su dati Indagine Inapp-Plus 2021

Rilevanti sono anche le fonti di finanziamento delle attività formative (fig. 3) che, almeno in parte, possono contribuire a spiegare la minore partecipazione delle componenti più vulnerabili. Se, come è ovvio, gli occupati beneficiano in modo predominante dell’impegno finanziario totale o parziale (rispettivamente 45,5% e 15,3%) delle imprese per cui lavorano, i disoccupati accedono ai corsi utilizzando sostanzialmente contributi esterni o finanziamenti pubblici (54,5%). La popolazione inattiva – essenzialmente esclusa dai circuiti formali di finanziamento – sostiene, invece, personalmente, in modo totale o parziale, il costo delle attività formative (61,7%). 

Figura 3: Modalità di copertura dei costi dell’attività formativa svolta per condizione occupazionale (%)

Fonte: elaborazioni su dati Indagine Inapp-Plus 2021

Comunque, il basso tasso di partecipazione degli occupati, segnala il perdurare della scarsa propensione delle imprese ad investire nella formazione. Anche quando il costo delle attività di apprendimento è a carico delle aziende, infatti, a contribuire sono principalmente le Regioni, le Province o altri Enti o anche il Fondo sociale europeo (49%). I fondi paritetici intervengono per l’8,1% dei casi. La restante quota, circa il 37% degli occupati, dichiara di non sapere da chi sono finanziati i corsi, e il 6% indica genericamente “altro” (cfr. cap. 8 Rapporto Plus 2022). 

La partecipazione ad attività formative degli occupati. È interessante provare a tracciare un profilo degli occupati impegnati in attività formative con riferimento ad alcune variabili strutturali. Per quanto riguarda l’età, in linea generale, i più giovani (18-29 anni) sono meno impegnati (21%) anche perché forse freschi di studio e con meno necessità di migliorare le competenze professionali o di approfondire le conoscenze di base acquisite durante il percorso d’istruzione. Al contrario, la maggiore partecipazione si registra per la classe tra i 30 e i 49 anni (35%); tra gli over 50 il dato si aggira sul 30%. 

Anche l’istruzione costituisce una determinante di rilievo: più elevata è la qualificazione, maggiore è lo svolgimento di attività formative, in un contesto sociale caratterizzato da un forte credenzialismo. Infatti, le percentuali crescono passando dagli occupati con licenza media inferiore (20,8%), a coloro che hanno un diploma (31,4%) o a chi ha almeno una laurea (44,2%). 

Inoltre, anche la classe dimensionale delle imprese gioca un ruolo significativo: le medie e soprattutto le grandi imprese investono maggiormente nella formazione continua (rispettivamente 31,1 e 42,4%). 

Nel fotografare lo sviluppo formativo vale anche la pena osservare l’oggetto delle attività di apprendimento. Il 20% degli occupati ha partecipato a corsi su sicurezza sul lavoro, igiene e protezione ambientale, mentre per circa il 18% si è trattato di attività professionali e quasi nel 12% dei casi i contenuti hanno riguardato l’utilizzo e l’applicazione di sistemi informatici. Gli aspetti amministrativi, contabili e di finanza sono stati invece oggetto di formazione per circa l’8,3% degli occupati. Scarsa invece la formazione continua relativa alle lingue straniere (2,9%), alla produzione (utilizzo di macchinari, ecc.) la quale rappresenta solo il 3,2% del totale o alla qualità (4,5%).

Dai dati emersi si può desumere che la partecipazione degli occupati alle attività formative sia piuttosto carente e che sia per lo più determinata dalla necessità di adempiere a obblighi di legge o di acquisire competenze tecniche e specialistiche, spesso limitate al solo contesto aziendale.

La debolezza della formazione in Italia è confermata anche dal fatto che gli effetti della formazione continua sembrano essere minimi (fig. 4). Solo una quota limitata dei partecipanti, difatti, ha ottenuto un avanzamento di carriera; la media generale è del 18,1%, con valori di rilievo solo nella fascia di età compresa tra i 18 e i 29 anni (31,9%). Tale effetto, peraltro, potrebbe anche derivare dalla partecipazione a un corso di formazione che ha permesso di aumentare il volume di attività sul posto di lavoro (31,6% sempre riferito ai più giovani).

È interessante osservare come anche sul fronte delle ricadute della formazione continua vi siano effetti differenziati per le donne e gli uomini. Gli esiti positivi, in termini sia di avanzamento di carriera, sia di miglioramento retributivo, sono infatti meno frequenti tra le donne. Gli effetti positivi, dell’attività formativa, su carriera e retribuzioni (ma anche sulla possibilità di cambiare azienda) diminuiscono, infine, al crescere del titolo di studio.

In generale, comunque, la maggioranza dei partecipanti (55,0%) ha riscontrato un miglioramento o una maggiore facilità nell’esecuzione del proprio lavoro grazie all’attività di formazione, confermando così una funzione strettamente organizzativa e di miglioramento dei flussi di lavoro. Questo esito si rileva, in particolare, tra i laureati (60%). 

Non sembra esserci conferma, infine, alla tesi che l’attività formativa aumenti la produttività sul posto di lavoro, come dimostrano le risposte alla domanda “Ha consentito di innalzare il volume delle attività?”. 

Figura 4: Incidenza della partecipazione ad attività formative su alcuni aspetti per genere, classe d’età e titolo di studio, occupati (%) 

Fonte: elaborazioni su dati Indagine Inapp-Plus 2021

In conclusione, sembra che l’apprendimento permanente sia ancora poco diffuso, soprattutto tra le categorie ai margini del mercato del lavoro (Anpal e Inapp 2021). Allo stesso tempo, tra gli occupati, sembra si tratti più di un assolvimento di obblighi di legge; a suggerire questa interpretazione è anche la bassa frequenza di esiti positivi in termini di miglioramento economico o di avanzamenti di carriera. In più, se si osservano gli occupati dai 50 anni in poi, non sembra neanche delinearsi quella funzione di upskilling e di reskilling che si suole solitamente accreditare alla formazione continua; solo il 23% degli over 50, infatti, dichiara che la formazione ha permesso loro di accedere ad attività lavorative complesse che non svolgevano in precedenza. 

Sarebbe forse utile che queste evidenze e queste considerazioni fossero tenute adeguatamente in conto nelle discussioni sul ruolo e sull’efficacia della formazione nell’ambito delle politiche attive del lavoro. 

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