ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 221/2024

12 Settembre 2024

Perché tanti calciatori stranieri in serie A (e non solo)?*

Martina Carella e Paolo Carnazza esaminano il fenomeno della crescente partecipazione dei calciatori stranieri nei campionati europei focalizzandosi sul campionato italiano di serie A. Gli autori mettono in evidenza l’importanza dei vivai giovanili e sottolineano la necessità, in Italia, di seguire la filosofia delle principali scuole giovanili europee (in primis Olanda e Spagna) in base alla quale occorre formare al meglio i giovani talenti, perché siano pronti per l’esordio in prima squadra evitando di basarsi esclusivamente sul risultato finale.

Il 15 dicembre del 1995 rappresenta una data storica per l’intero movimento calcistico europeo; in quel giorno la Corte di Giustizia dell’Unione Europea accolse le istanze del calciatore belga Jean-Marc Bosman al quale l’allora società di appartenenza (Liegi) aveva negato la possibilità di trasferirsi in un’altra squadra. Bosman fu il primo calciatore a mettere in evidenza una contraddizione fondamentale nell’essere cittadino dell’UE: l’impossibilità di svolgere il proprio lavoro in armonia con il concetto della libera circolazione e in contrasto con l’articolo 39 del Trattato di Roma del 1957. 

Il calciatore belga vinse la causa ma la sentenza andò ben oltre. In particolar modo, a tutti i calciatori dell’Unione Europea venne permesso di trasferirsi gratuitamente alla fine del loro contratto, nel caso di un trasferimento da un club dell’Unione Europea a un altro. Inoltre, i calciatori furono in grado di acquisire la facoltà legale di firmare un pre-contratto con un altro club, sempre a titolo gratuito, se il contratto che in quel momento lo vincolava aveva una durata residua inferiore o uguale ai sei mesi. Ma la sentenza ha avuto altre importanti conseguenze. 

Un calciatore è ora considerato un lavoratore come gli altri e può circolare liberamente in tutta Europa, senza restrizioni relative alla nazionalità se appartenente a Paesi dell’Unione Europea. Di conseguenza, le varie Federazioni calcistiche non potevano più limitare il tetto di calciatori stranieri comunitari in campo; fino ad allora erano infatti consentiti nella rosa tre giocatori stranieri ad eccezione dell’Inghilterra che considerava britannici i giocatori inglesi, gallesi, scozzesi o irlandesi. La principale conseguenza della sentenza è stata quella di spingere molti giocatori a trasferirsi in campionati esteri, attratti principalmente da ingaggi più elevati. I campionati delle varie Federazioni europee hanno così perso progressivamente le proprie peculiarità: la presenza in campo di giocatori indigeni diventa l’eccezione, non la regola. 

Ciò emerge in misura incontrovertibile analizzando l’andamento della quota dei giocatori stranieri rispetto al totale dal campionato 1992-1993 a quello più recente nei cinque campionati europei più importanti (Figura 1). 

Figura 1: Quota percentuale di giocatori stranieri sul totale nei principali campionati europei

Fonte: elaborazioni su dati estratti dal sito www.Transfermarkt.it

Da valori relativamente modesti (il più basso si registra in Italia, nel campionato 1992-1993, con il 13,7%), tale quota aumenta progressivamente, in particolar modo, nel nostro Paese dal campionato 2006/2007 al 2017/2018; nel campionato appena trascorso, la serie A si posiziona al secondo posto (59,1%), di pochi decimali inferiore rispetto alla Premier League (59,7%), per numero di stranieri presenti nelle rose. Virtuosa appare invece la Liga con poco meno del 40% di stranieri schierati in campo durante il campionato 2023/2024. In particolar modo, riguardo al campionato appena iniziato, colpisce il fatto che “la Liga per la prima volta sia cominciata con meno di 200 stranieri, a testimonianza di una produzione di vivai che non si ferma mai, né dal punto di vista della qualità, né della quantità”. In questo contesto, il calciatore italiano di serie A sembra essere “una specie in lenta ma costante estinzione”.

Analizzando il nostro campionato, l’incidenza dei calciatori stranieri sul totale potrebbe essere anche più elevata se prendessimo in considerazione i relativi minuti e le partite effettivamente giocate: questa è però solamente un’ipotesi che non può essere comprovata sul piano empirico (dal sito www.Transfermarkt.it queste informazioni possono essere ricavate ma presuppongono elaborazioni complesse riguardanti ogni singolo calciatore).

Il Decreto crescita del 2019, noto come Decreto “rientro dei cervelli”, prevedendo forti agevolazioni di carattere fiscale (esenzione IRPEF fino al 70% a favore dei calciatori) e delle squadre di club, ha generato un’ulteriore spinta alla partecipazione di calciatori stranieri nel campionato di serie A. La principale finalità, secondo la normativa, era quella di attrarre giocatori di elevato valore incrementando in tal modo la competitività delle nostre squadre di club nelle principali competizioni europee e fornendo uno stimolo alla crescita dei giovani calciatori italiani. L’eliminazione di tali agevolazioni a partire dall’inizio del 2024 ha generato un malcontento diffuso da parte soprattutto di molti club di serie A che, non potendo più contare su forti risparmi fiscali, hanno sottolineato il rischio legato a un possibile minor grado di attrattività del nostro campionato e alla conseguente perdita di competitività. Ma ciò corrisponde a verità? 

A livello europeo, al di là del “Triplete” vinto dall’Inter nel 2010, i risultati raggiunti sono stati alquanto modesti anche se deve registrarsi un parziale successo delle squadre italiane giunte alle finali delle tre competizioni europee (nessuna vinta) nel 2023 e di due finali europee nel 2024 (Europa League, vinta dall’Atalanta, e Conference League nuovamente persa dalla Fiorentina). Analizzando invece i risultati dell’ultimo campionato, si può sostenere che un numero maggiore di calciatori stranieri nella rosa non sembra avere condotto a un miglioramento della performance della squadra (Figura 2); ciò può essere attribuibile anche agli stipendi relativamente bassi dei calciatori stranieri che giocano in Italia, a confronto soprattutto con l’Arabia, la Spagna e l’Inghilterra, che spingono pochi fuoriclasse a giocare nel nostro campionato. 

Figura 2: Quota percentuale di giocatori stranieri – Campionato 2023-2024

Fonte: elaborazioni su dati estratti dal sito www.Transfermarkt.it (Le squadre sono state inserite in ordine alla posizione raggiunta alla fine del campionato)

A fare la differenza, quindi, non è tanto il numero di stranieri quanto e, soprattutto, il valore degli atleti. Sorgono quindi alcune domande: quanti sono i giocatori stranieri che hanno migliorato effettivamente il rendimento e la competitività di una squadra? E, ancora, perché molte squadre di club preferiscono giocatori stranieri di esperienza ma non sempre di elevate qualità tecniche non credendo e, quindi, non investendo nei giovani provenienti dal proprio vivaio? Al riguardo, alcuni numeri dipingono un quadro impietoso: le squadre italiane in generale investono poco nei vivai; secondo una recente analisi di cui riportiamo alcuni estratti, “mediamente una società di serie A investe nel proprio vivaio una cifra che ruota attorno all’1% del proprio bilancio totale, mentre all’estero sono presenti realtà che investono annualmente una quota di bilancio stimata dal 5% al 10%: ad esempio, il Barcellona, per garantire la migliore qualità possibile alla gestione e allo sviluppo della propria cantera, spende mediamente quindici milioni di euro ogni anno, a fronte dei cinquanta spesi da tutte le società di Serie A insieme considerate.” Le ragioni di tali strategie non sono legate necessariamente agli effetti della sentenza Bosman quanto invece a precise “scelte commerciali e volontarie dei club italiani, attratti dal desiderio di vincere nel breve periodo attraverso l’acquisto di campioni stranieri già affermati. Diversamente, altri Paesi come Germania e Spagna hanno scelto di puntare e investire sulla formazione dei giovani nei vivai, adottando dei progetti a medio-lungo termine che si sono rivelati vincenti.” 

Altri numeri, purtroppo, confermano le conseguenze di queste scelte. Sulla base di uno studio del CIES Football Observatory Monthly, relativamente al secondo semestre del 2021, la quota percentuale di minuti giocati da giocatori tra i 15 e i 21 anni che hanno giocato per almeno tre stagioni nel vivaio sul totale dei minuti giocati dall’intera rosa, è sensibilmente più bassa in Italia (7,4%) a confronto con il campionato inglese e, soprattutto, con quello spagnolo (Figura 3). 

Figura 3 – Percentuale minuti giocati dai calciatori provenienti dai vivai sul totale minuti giocati dall’intera rosa

Fonte: CIES, Football Observatory Monthly, World demographic study: 15 leagues, comparison, n.71, January 2022

Vi è, a nostro parere, un ulteriore dato sconfortante su cui occorrerebbe fare una profonda riflessione: l’elevata e crescente partecipazione di calciatori stranieri (il dato si riferisce al campionato 2023/2024) non riguarda solamente la Serie A ma anche, con valori decrescenti, le categorie inferiori e le squadre Primavera (Figura 4). 

Figura 4: La partecipazione di calciatori stranieri in Italia – Campionato 2023-2024 (Quote percentuali giocatori stranieri sul totale)

Fonte: elaborazioni su dati estratti dal sito www.Transfermarkt.it

L’elevata presenza di calciatori stranieri nelle squadre Primavera (emblematico è il caso del Lecce che, nell’ultimo campionato Primavera 1-A, ha in rosa il 76,5% di giocatori provenienti dall’estero sul totale schierando spesso dall’inizio della gara il 100% di stranieri) tende ovviamente a limitare l’utilizzo dei giovani calciatori italiani con effetti negativi sulle squadre nazionali giovanili e, nel lungo periodo, sulla nostra Nazionale. In particolar modo, il  fallimento della Nazionale agli ultimi Europei e la mancata partecipazione agli ultimi due Mondiali potrebbero essere attribuibili, almeno parzialmente, al modesto impiego dei nostri giovani calciatori a partire dai campionati inferiori (a causa della massiccia presenza di calciatori di altre nazionalità) e alla mancanza di un nocciolo consistente di giocatori italiani nella squadra partecipante al campionato di serie A (non è un caso che la Nazionale azzurra vincitrice ai Mondiali 1982 e 2006 abbia schierato, nella finale, rispettivamente, 7 e 5 calciatori della Juventus). La controprova è fornita dagli incredibili successi della Nazionale spagnola di quest’ultimo decennio che, almeno parzialmente, potrebbe essere attribuibile all’esplosione di alcuni giovanissimi calciatori, frutto a sua volta di investimenti massicci nei vivai e del minore utilizzo di giocatori provenienti dall’estero.

Investire nei vivai giovanili diventa quindi un passo obbligato per dare maggiore solidità e garantire un futuro al calcio italiano sia a livello di club che di Nazionale; al di là però di maggiori risorse da investire occorrerebbe però modificare drasticamente la nostra filosofia. Come sostiene Azzola “è innegabile che in Italia si voglia vincere anche nei campionati giovanili; nelle youth academies delle maggiori realtà europee, invece, l’obiettivo principale è formare al meglio i giovani talenti, per farli trovare pronti al momento dell’esordio in prima squadra. Uno dei metodi di lavoro più utilizzati nei migliori settori giovanili europei, per aiutare i ragazzi a comprendere i loro compiti in campo, è quello di formare i giovani calciatori in funzione del ruolo che potranno ricoprire in futuro negli schemi tattici della prima squadra. All’interno di tali vivai viene dunque a crearsi una filosofia di calcio omogenea, spesso attraverso l’adozione degli stessi moduli e stili di gioco, dalle selezioni giovanili fino alla prima squadra, in modo che, una volta giunto all’interno della rosa di quest’ultima, un giovane, non vedendosi stravolti tutti gli insegnamenti impartiti negli anni precedenti, non abbia bisogno di troppo tempo per riuscire ad ambientarsi.” Secondo questa filosofia, “il risultato e la vittoria, a livello giovanile, non dovrebbero essere il fine principale, ma solamente la naturale conclusione di un processo che abbia come primo obiettivo trovare il modo di sviluppare il talento e di far esprimere al meglio le potenzialità dei giovani”. 

Ecco, forse, più che strappare giovani talenti dall’estero o instillare nei giovani l’assillo della vittoria a tutti i costi potrebbe essere più opportuno ispirarsi alle metodologie degli altri Paesi europei, in particolar modo al “Modello Ajax” che si basa su alcuni insegnamenti fondamentali del più forte calciatore olandese e tra i più forti a livello mondiale, Johan Cruijff: “quello che conviene insegnare ai ragazzi è il divertimento, il tocco di palla, la creatività, l’invenzione.” 


* Una versione giornalistica di questo contributo è stata recentemente pubblicata su https://affidabile.org/news/serie-a-637-di-stranieri-per-la-liga-solo-il-397-biasin-in-italia-mancano-le-strutture-per-far-crescere-i-talenti/ e comprende la versione integrale di un’intervista al giornalista Fabrizio Biasin.

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