Quali Regioni si fanno carico dell’onere del debito pubblico italiano? Quasi tutte…

Veronica Polin e Francesca Tartamella si occupano del debito pubblico da un punto di vista inusuale: il suo impatto redistributivo a livello regionale, che dipende dai titoli sottoscritti e dal contributo al pagamento dei relativi interessi da parte di ciascuna regione. Le due autrici mostrano che tutte le regioni contribuiscono al pagamento degli interessi e anche che tale pagamento eccede i benefici derivanti dal possesso dei titoli di Stato in molte di esse, principalmente a Sud e al Centro del paese.

L’azione redistributiva dello Stato può essere analizzata secondo molteplici prospettive; quella locale, definita in letteratura come interregionale, è di particolare interesse soprattutto quando vi siano importanti differenze economiche e sociali tra le regioni. Nel contesto italiano una fonte di possibile redistribuzione regionale riguarda l’onere derivante da un elevato e persistente debito pubblico, i cui titoli sono detenuti dai vari settori istituzionali.

La spesa pubblica per interessi è oggetto di analisi soprattutto da un punto di vista macroeconomico e per l’impatto che può avere sul rispetto dei vincoli europei del bilancio pubblico; meno studiati sono invece gli effetti distributivi di questo trasferimento monetario e la sua allocazione geografica. Ci sono temi di ricerca che appaiono delicati sia per questioni metodologiche sia per i possibili (temuti?) risvolti di policy e che, forse per queste ragioni, sono oggetto di una limitata esplorazione empirica. Crediamo che lo studio dell’allocazione regionale dell’onere del debito pubblico italiano rientri tra questi.

In un nostro recente articolo (V. Polin, e F. Tartamella, “Is the Italian Public Debt a Particular Channel of Regional Redistribution? A Pilot Study Based on the Transfer Approach”, in Essays in Honour of Luigi Campiglio, a cura di M. Baussola, C. Bellavite Pellegrini e M. Vivarelli, 2018), abbiamo provato a accendere una luce su quali regioni, in Italia, si stanno facendo carico della spesa pubblica per interessi, con l’auspicio che questo contributo, seppur nella sua semplicità metodologica, possa avviare un proficuo confronto tra studiosi per affinare le tecniche di misurazione del fenomeno e per stimolare riflessioni sulla sostenibilità spaziale e sociale del debito pubblico italiano.

La nostra analisi empirica si focalizza unicamente sui flussi interregionali della spesa pubblica per interessi e non intende fornire nuove stime sulla redistribuzione regionale fiscale complessiva, usualmente misurata attraverso i residui fiscali. Per quanto concerne le questioni metodologiche, abbiamo optato per la costruzione di semplici esercizi che, seppur dipendenti da una serie di ipotesi comunque plausibili, rendessero espliciti e distinti i seguenti due aspetti: le risorse finanziarie raccolte a livello regionale (nostra unità di analisi) per finanziare il costo annuale del debito pubblico detenuto sia dall’estero sia dagli italiani e i trasferimenti ricevuti da ciascuna regione in base ai loro residenti possessori di titoli di Stato. Esaminiamo poi questo impatto misurando la redistribuzione a livello regionale e per singoli settori istituzionali, adottando il transfer approach, ossia prendendo in considerazione esclusivamente i flussi di trasferimenti monetari. La perdita monetaria/il guadagno monetario di ogni regione è calcolata sulla base della seguente formula

dove ID è l’ammontare di interessi ricevuti dalla regione i in relazione ai detentori di titoli di Stato residenti nella regione i, mentre TI rappresenta la quantità di imposte pagate dalla regione i per finanziare la spesa pubblica per gli interessi corrisposti dallo Stato a tutti i detentori o solo ai detentori residenti in Italia.

I risultati della nostra analisi mostrano un quadro abbastanza variegato, anche se alcuni aspetti sembrano essere validi indipendentemente dalle ipotesi adottate. Riportiamo brevemente le principali evidenze relative al 2015, rinviando alla nostra pubblicazione per un approfondimento sulle tendenze degli ultimi quindici anni.

Negli ultimi vent’anni, come mostriamo nel nostro articolo, il peso dell’investitore estero è progressivamente cresciuto, passando dal 20% circa a metà degli anni novanta a più del 40% nel 2015 (con un massimo nel 2009 del 56%). L’adozione di politiche di gestione del debito pubblico volte ad aumentare la quota di titoli di Stato detenuti dal settore estero si è tradotta in una perdita netta per quasi tutte le regioni. L’onere del finanziamento è sopportato da tutte le regioni, e i benefici goduti dalle diverse regioni, in qualità di detentori di titoli di Stato, non sono sufficienti a controbilanciare il pagamento di queste imposte. A fronte di un trasferimento netto negativo complessivo (rappresentato dalla linea rossa nella figura 1), la perdita subita, come mostra la figura 1, non è però omogeneamente distribuita, le regioni del Sud e alcune del Centro mostrano uno svantaggio maggiore. Val d’Aosta e Molise sono le regioni con il trasferimento netto negativo più elevato in percentuale del Pil, mentre Lazio insieme al Friuli Venezia Giulia sono le uniche regioni con un saldo positivo, anche se contenuto.

 

Figura 1 Trasferimento monetario, in % del Pil regionale, 2015

La diversa posizione delle regioni appare ancora più evidente nel momento in cui si elimina dall’analisi il peso del finanziamento della quota di spesa per interessi a favore del resto del mondo: per le poche regioni in cui risiedono importanti investitori domestici (in termini di frequenza ed entità) il beneficio supera il costo, per tutte le altre il loro ruolo è di contribuenti netti di questo flusso che si muove verso le regioni più ricche. La figura 2 mostra la distribuzione del trasferimento domestico, ossia quando si elimina il pagamento della spesa per interessi diretta all’estero. In questo caso il trasferimento complessivo ha saldo nazionale pari a zero e una più accentuata redistribuzione tra le regioni. In particolare, tra le regioni che registrano una perdita netta, Molise e Val d’Aosta riportano valori compresi tra il 2 e il 2,5% del Pil, le altre si collocano l’1% e il 2%, ad eccezione del Veneto e dell’Emilia Romagna. Tra le regioni con un trasferimento netto positivo troviamo Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Lazio.

 

Figura 2 Trasferimento monetario domestico, in % del Pil regionale, 2015

Un risultato in parte inatteso, meritevole a nostro parere di ulteriori approfondimenti, riguarda il settore istituzionale delle famiglie. Questo investitore domestico si caratterizza per la stretta connessione nel medesimo agente di due ruoli: finanziatore della spesa pubblica per interessi e acquirente di titoli di Stato. Anche per altri settori istituzionali vi può essere questa duplice caratteristica, crediamo però che per le famiglie questo sia più evidente data la rilevanza che hanno come contribuenti di importanti imposte (IRPEF e IVA) e come soggetti su cui vengono, plausibilmente, traslati altri prelievi fiscali (ad esempio, IRES). Dalle nostre analisi le famiglie, sia quando consideriamo il solo possesso diretto di titoli di Stato sia quando includiamo, attraverso particolari assunzioni, la quota indirettamente detenuta con l’acquisto di prodotti finanziari che li assemblano (come fondi di investimento o fondi pensione), risultano quasi sempre “perdenti”, ossia con trasferimenti netti negativi (figura 3). Piemonte, Liguria ed Emilia Romagna sono le uniche regioni che si discostano da questa tendenza.

 

Figura 3 Trasferimenti monetari alle famiglie in % del reddito disponibile (possesso diretto ed indiretto di titoli di Stato), 2015

Concludiamo puntando il riflettore su due particolari quesiti che ci sembrano rilevanti e meritevoli di risposte evidence-based alla luce di quanto emerso dal nostro studio: nelle regioni classificate come beneficiarie nette, chi è e quali caratteristiche ha l’investitore diverso dal settore famiglie? Un’analisi microeconomica regionale che prenda in considerazione l’effettiva capacità contributiva delle famiglie e la relativa distribuzione della ricchezza mobiliare detenuta in titoli di Stato ci restituirebbe un quadro in parte diverso di questo settore?

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