Redistribuzione e sostegno a famiglie e poveri: una proposta

Successivamente, Fernando Di Nicola illustra una proposta di ridisegno dell’Irpef e degli assegni al nucleo familiare che corregge molti dei difetti redistributivi e di efficienza del sistema vigente. La proposta prevede una revisione delle aliquote dell’Irpef e delle detrazioni per il lavoro; la fiscalizzazione di parte dei contributi sociali e la sostituzione delle detrazioni familiari e dell’assegno al nucleo familiare con un assegno universale di sostegno ai carichi familiari, che avrebbe incisivi effetti di contrasto alla povertà.

Le leve tipiche dell’azione redistributiva pubblica sono le imposte progressive e i trasferimenti pubblici. Questa è la realtà anche in Italia, nonostante il dettato costituzionale, che pare implicitamente circoscrivere l’azione redistributiva al solo sistema tributario e, dunque, praticamente alla sola imposta personale progressiva (IRPEF). Il problema è che le misure in essere nel nostro paese – oltre a dimostrarsi residuali rispetto ai cambiamenti in atto nella distribuzione “primaria” del reddito, che vedono i soggetti più avvantaggiati accaparrarsi quote crescenti di reddito a discapito dei più svantaggiati – risultano per molti aspetti casuali, confuse e perfino contradditorie, laddove beneficiano maggiormente (perlomeno in termini di incidenza percentuale sul reddito) le persone ed i nuclei con più alta capacità contributiva.

Si consideri l’Irpef, che con la sua progressività fondata su aliquote, scaglioni e decrescenze di detrazioni raggiunge aliquote marginali effettive più elevate (42% senza considerare eventuali aggiunte in presenza di carichi familiari) a livelli di reddito relativamente bassi (appena 28mila euro complessivi annui), per poi addirittura scendere leggermente al superamento di 55mila euro. Ma l’Irpef presenta un limite ancor più rilevante: la progressività sul complesso dei redditi personali su cui si basa non include diverse tipologie di reddito (che generalmente affluiscono ai più abbienti), che sono invece soggette a tassazione proporzionale sostitutiva ad aliquote più contenute.  Dal computo dell’Irpef sono infatti esclusi i redditi finanziari, la quasi totalità dei redditi immobiliari, alcuni premi di produttività per dipendenti, redditi professionali o da impresa considerati minimi, redditi da società di capitali caratterizzati da incrementi di capitale proprio e, con l’esercizio della recente delega di riforma fiscale, anche redditi da impresa “di persone”, purché elevati.

L’Irpef, inoltre, tenta di definire un complesso di agevolazioni per situazioni di bisogno o di consumi meritori, sotto forma di deduzioni o detrazioni fisse o decrescenti, salvo poi renderle non fruibili dalle persone a minor reddito a causa della “incapienza”, cioè dell’impossibilità di fruire di quelle agevolazioni in quanto, per chi ha livelli di reddito limitati, non c’è più imposta da abbattere.

Si vede pertanto bene come la nostra imposta progressiva personale sia piuttosto inefficace, specie come unico pilastro dell’azione redistributiva dal lato delle entrate.

Anche l’azione di sostegno alla famiglia e ai suoi carichi, intesi come cura dei figli e di altri familiari non percettori, è considerata universalmente bisognosa di miglioramento. In primo luogo, le detrazioni Irpef per carichi familiari, universali e decrescenti in base al reddito complessivo individuale, non sono fruite dagli incapienti, ed il valore delle detrazioni non godute dagli incapienti ammonta a circa due miliardi. In secondo luogo, per le citate carenze dell’indicatore del reddito complessivo Irpef, elevate detrazioni si indirizzano anche a persone di fatto non bisognose. Infine, essendo l’Irpef un’imposta individuale, mentre i carichi per figli concernono la famiglia, sorge talvolta il paradosso che a ricevere di più in valore assoluto e, a maggior ragione, in termini di incidenza sul reddito, sono i nuclei più benestanti.

Il secondo rilevante strumento di sostegno ai carichi familiari previsto dal nostro ordinamento, ovvero gli assegni al nucleo familiare, è riservato ai soli dipendenti, che pagano per questo un piccolo contributo dello 0,68% a carico del datore di lavoro. Anche l’importo di questo strumento è decrescente, ma sulla base di complesse tabelle a doppia entrata in funzione del reddito familiare e del numero di componenti, in pratica di un reddito pro capite. L’andamento variabile della decrescenza degli assegni familiari è particolarmente oscuro, se pure dovesse avere una logica di sistema.

Infine, per il contrasto della povertà la situazione è finalmente trasparente: lo Stato praticamente ignora il problema, lasciando ai familiari ed alle pensioni (di anzianità, sociali, di vecchiaia, di inabilità, voci con un peso tendenzialmente decrescente a seguito delle riforme del sistema pensionistico) il compito di sopperire alle situazioni di forte disagio economico.

E’ a partire da queste evidenze che, con Ruggero Paladini, abbiamo provato a prospettare una riforma piuttosto ampia dell’azione redistributiva e di sostegno dei redditi [1. Slides dettagliate di presentazione della complessa riforma si trovano in www.nens.it/_public-file/RIFORMA%20FINALE.pdf.]. Porsi l’obiettivo di contrastare la povertà, oltre che redistribuire meglio i redditi, è costoso, e questa riforma prevede un costo per la finanza pubblica di poco inferiore ad un punto di PIL (cioè attorno a 14,5 miliardi). Si tratta di una somma ingente, ma non irreperibile, considerati i possibili effetti di misure antievasione in un paese con oltre 250 miliardi di imponibili variamente evasi (come mostrato in un recente contributo del NENS [2. Si veda ad esempio un concreto scenario di forte recupero dell’evasione IVA e IIDD in www.nens.it/_public-file/Proposte%20IVA%5B1%5D.pdf.]), gli effetti di una vera rivisitazione selettiva della spesa pubblica, o la possibilità derivante da una più efficace destinazione degli 11 miliardi annui a cui ammontano interventi poco coerenti e dalle oscure finalità strategiche quali i cosiddetti “bonus Renzi” (80 euro mensili per redditi dipendenti medio-bassi, ma non bassi) e “bonus bebè” (una specie di una tantum per neonati in un certo periodo).

Queste risorse, insieme a quelle derivanti dal completo superamento delle vigenti detrazioni familiari e dell’assegno al nucleo familiare, sarebbero usate per un impianto di riforma che alleggerirebbe il carico per i soggetti a basso reddito, correggerebbe i principali difetti dell’attuale Irpef e ridefinirebbe il sostegno potenziale a qualsiasi nucleo familiare sulla base di un “reddito equivalente” (ovvero tenendo conto delle economie di scala familiari), che prenderebbe in considerazione ogni fattispecie reddituale e tenterebbe di misurarla in maniera migliore di quanto faccia oggi l’Irpef (o, per certi aspetti, l’ISEE).

Più in dettaglio, ma senza scendere in troppi particolari, rintracciabili nella già citata presentazione , l’impianto di riforma prevedrebbe:

  1. Una fiscalizzazione di 6 punti di contributi previdenziali, con un tetto di 900 euro e una successiva lenta decrescenza (tra 28mila e 65mila euro di reddito imponibile), allo scopo di abbattere il cuneo fiscale ed accrescere il reddito netto, in particolare per redditi bassi;
  2. Un ampio ridisegno dell’Irpef, che amplierebbe la forbice delle aliquote dall’attuale 23-43% a scaglioni compresi fra 0 e 48% [3. Si prevede la seguente struttura per scaglioni: 0% fino a 1.000 euro, 20% fino a 10.000, 25% fino a 20.000, 30% fino a 28.000, 35% fino a 40.000, 41% fino a 65.000, 45% fino a 200.000, 48% per le quote di reddito ulteriori, abolendo il del contributo del 3% attualmente vigente su redditi superiori a 300.000 euro annui.] e renderebbe costanti le detrazioni spettanti per lavoro, con ciò annullando la profonda differenza oggi esistente tra aliquote nominali, o formali, e quelle effettivamente gravanti sugli incrementi di reddito.
  3. Un nuovo assegno universale di sostegno al nucleo, fondato sull’estensione del contributo CUAF di finanziamento degli attuali assegni familiari e sull’attribuzione di somme a persona variabili tra 2.500 ed 800 euro, in base alle caratteristiche di ciascun componente, e decrescenti tra 7.000 e 28.000 euro di reddito equivalente [4. La scala di equivalenza sarebbe non lontana da quelle OCSE o ISEE: 1 per il primo componente,0,8 per il coniuge, 0,7 per figli minorenni o studenti fino a 24 anni, 0,5 per ogni altro componente e 0.5 aggiuntivo per ogni disabile. Ciò comporterebbe, ad esempio, che il limite di reddito familiare per la fruizione dell’assegno per una famiglia di due coniugi e due figli conviventi a carico sarebbe di 28.000*3,2, quindi circa 90.000 euro.].
    Una parte della nuova azione redistributiva sarebbe dovuta al fatto che, per una più corretta misurazione della capacità contributiva (pur tenendo conto delle difficoltà applicative), in questo scenario sarebbero inclusi nel computo del reddito personale i redditi da patrimonio, quasi totalmente esclusi dall’Irpef per motivi di concorrenza fiscale (redditi finanziari) o per la presenza di altre imposte gravanti (sugli immobili).Al fine di evitare una massiccia fruizione del nuovo assegno da parte di segmenti consistenti del lavoro autonomo che sotto-dichiarano il reddito, la natura contributiva del nuovo CUAF imporrebbe una soglia minima, di ammontare comunque modesto, legata all’imponibile previdenziale minimo vigente per le Casse di artigiani e commercianti (pari a circa 15.000 euro).I risultati in termini di variazioni del reddito disponibile (l’indicatore in grado di cogliere l’interagire dei vari componenti di riforma) e di riduzione della povertà sarebbero significativi.Nella figura 1 è osservabile analiticamente l’incidenza sul reddito del sistema di imposte e benefici per decimi di reddito equivalente calcolato sulla globalità dei redditi, prima e dopo la riforma. Risulta evidente come la riforma avvantaggerebbe in modo consistente i redditi bassi e medio-bassi, in particolare quelli dei primi due decimi della distribuzione.

    Figura 1. Incidenza sul reddito del sistema di imposte
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    Gli indici sintetici di povertà relativa e diseguaglianza, riportati nella tabella 1, evidenziano inoltre l’effetto positivo della riforma (si ricordi, l’incidenza della povertà esprime la quota di nuclei con reddito inferiore alla soglia e l’income gap ratio la distanza media dalla soglia per i nuclei poveri).

     

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Infine, come ulteriore pregio della riforma, va evidenziata la riduzione del cuneo fiscale (la differenza tra costo del lavoro e reddito disponibile), differenziata per macro classi di reddito, di cui beneficerebbero i nuclei di dipendenti ed assimilati (tra i quali i rilevanti collaboratori continuativi; tabella 2).

Tabella 2. Riduzione del cuneo fiscale

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In sintesi, l’intervento prospettato perseguirebbe diverse finalità ritenute da molti desiderabili: unificare e rendere trasparenti gli interventi a sostegno dei nuclei familiari, arricchendo la vigente compartecipazione alla cura dei figli con un significativo e finora assente contrasto della povertà, utile anche per prefigurare la garanzia di redditi minimi; rendere più efficiente tale intervento, agganciando l’entità del sostegno a misure più idonee di capacità contributiva; ridurre sostanzialmente il cuneo fiscale e le aliquote marginali effettive per lavoratori dipendenti ed assimilati a basso reddito, maggiormente soggetti alle pressioni della globalizzazione; cogliere l’occasione per correggere persistenti difetti dell’Irpef, tra i quali si segnalano andamenti sinusoidali di aliquota, abnormi salti ed incoerenti assegnazioni redistributive.
Il sostegno (pur modesto) a nuclei in condizioni di povertà assoluta avrebbe anche il pregio di raccordarsi implicitamente al cessare di fonti reddituali temporanee, quali gli ammortizzatori sociali in fase di riforma, che trovano crescenti difficoltà ad attenuare andamenti indesiderati del mercato del lavoro.

* Le opinioni qui espresse sono attribuibili esclusivamente all’autore e non all’Ente di afferenza.

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