Negli ultimi dieci anni il tema dei determinanti sociali di salute ha acquisito una posizione prioritaria nell’agenda europea (Comunicazione della Commissione europea Solidarity in health) e l’Italia ne ha recepito l’importanza attraverso due documenti importanti per la programmazione sanitaria: il finanziamento vincolato agli obiettivi di Piano sanitario nazionale e la proposta di un nuovo Piano nazionale di prevenzione. Questi due atti stimolano il Ministero e le Regioni a chiedersi cosa possa fare il Servizio sanitario nazionale e i soggetti responsabili delle politiche non sanitarie per ridurre le disuguaglianze di salute. Il Libro bianco sulle disuguaglianze di salute in Italia (Costa G., Bassi M., Marra M. et al, a cura di, L’equità nella salute in Italia. Secondo rapporto sulle disuguaglianze sociali in sanità, Angeli Editore, Milano, 2014), i cui punti fondamentali vengono richiamati in questo articolo, è il prodotto delle audizioni che il gruppo interregionale di lavoro della commissione Salute della Conferenza delle Regioni, guidato dalla Regione Piemonte, ha coordinato per interrogarsi sul tema equità nella salute e nella sanità
Interrogarsi sull’equità è doveroso perché nel nostro Paese rimangono ancora importanti disuguaglianze di salute. Tali disuguaglianze sono fortemente correlate alla povertà di risorse materiali e di reti di aiuto, disoccupazione, lavoro poco qualificato, basso titolo di studio sono tutti fattori, spesso correlati un l’altro, che minacciano la salute degli individui. Ciò è in linea con quanto accade negli altri paesi. Numerosi studi pubblicati negli ultimi 20 anni hanno, infatti, dimostrato che in tutta Europa i cittadini in condizioni di svantaggio sociale tendono ad ammalarsi di più, a guarire di meno, a perdere autosufficienza, ad essere meno soddisfatti della propria salute e a morire prima. Mano a mano che si risale lungo la scala sociale questi stessi indicatori di salute migliorano secondo quello che viene chiamata la legge del gradiente sociale.
Ad esempio, in Italia, negli anni Duemila, si osservano più di cinque anni di svantaggio nella speranza di vita dei maschi con una mansione da operaio non qualificato rispetto a chi è ricoperto una posizione di dirigente, con aspettative di vita progressivamente crescenti salendo lungo la scala sociale. Allo stesso tempo, il rischio di morire aumenta regolarmente con il peggioramento del titolo di studio; tra gli uomini, rispetto ai laureati, coloro che hanno raggiunto il diploma superiore presentano una mortalità del 16% superiore, che arriva al 46% tra chi ha fatto le medie e al 78% se si sono fatte soltanto le elementari. Questo fenomeno si ripete anche tra le donne e riguarda tutti gli indicatori di salute: ammalarsi, restare a lungo con la malattia e con le sue conseguenze, finire male a causa della malattia. In particolare, a parte ovviamente l’età, le disuguaglianze sociali rappresentano il determinante che riesce a spiegare in misura maggiore le variazioni di salute nella popolazione. Se, infatti, con un colpo di bacchetta magica si riuscisse ad eliminare le disuguaglianze di mortalità tra le persone più istruite e quelle meno istruite si stima che si verificherebbe un risparmio di oltre il 25% delle morti tra gli uomini e del 10% tra le donne. E quote simili si avrebbero se eliminassimo le differenze tra ricchi e poveri o tra operai e dirigenti.
Per fortuna, sappiamo che le disuguaglianze di salute non costituiscono una condizione data cui bisogna arrendersi, ma che al contrario variano, nel tempo e nello spazio. Studi sull’andamento temporale hanno, ad esempio, mostrato come le disuguaglianze in Europa si stiano restringendo in senso assoluto (i più poveri hanno beneficiato di una riduzione di mortalità più alta di quella dei più ricchi, partendo da una condizione più svantaggiata) e allargando in senso relativo (aumenta il rapporto tra rischio di morte dei più poveri rispetto a quello dei più ricchi). Da un punto di vista geografico, le disuguaglianze risultano più moderate nei Paesi mediterranei, intermedie nell’Europa continentale e del nord e molto più intense nell’Europa dell’est. Tale variabilità porta con sé quindi un messaggio promettente: sono, almeno in parte evitabili o riducibili, sopratutto grazie all’implementazione di appropriate politiche di contrasto.
Ad esempio, se analizziamo le due ragioni che spiegano la minor dimensione delle disuguaglianze in Italia rispetto al resto d’Europa, possiamo vedere come in entrambi i casi vi sia uno spazio per le politiche. La prima riguarda il ritardo nella diffusione di tre importanti curve epidemiche pericolose per la salute dei poveri: quella del fumo tra le donne povere e del sud, quella della diffusione di abitudini alimentari scorrette tra i poveri, e quella della crescita delle madri sole con figli ancora dipendenti tra le donne povere; chiaramente è responsabilità delle politiche di prevenzione italiane quella di ritardare il più possibile l’evoluzione di queste curve epidemiche. La seconda è attribuibile al Servizio sanitario nazionale che, oltre alla scuola, è l’unico grande presidio sociale distribuito in modo universalistico nel paese; esso in quanto tale sarebbe stato capace di trasferire i benefici della medicina in tutto il paese e in tutti gli strati sociali senza importanti distinzioni di diritto nell’accesso, riuscendo così a mantenere più basse che altrove la dimensione delle disuguaglianze.
Ma oltre alla rilevanza e alla parziale evitabilità, ci sono altre buone ragioni per porre le disuguaglianze di salute nell’agenda politica. Innanzitutto,sono ingiuste in quanto colpiscono sistematicamente i gruppi sociali più svantaggiati. Inoltre, sono anche inefficienti per il Paese, perché rappresentano un freno allo sviluppo sociale ed economico di un Paese: presuppongono infatti l’uscita precoce dal mercato del lavoro di individui altrimenti produttivi, un maggior costo a carico del servizio sanitario, delle politiche assistenziali e del welfare, così come una ragione di minore coesione sociale, con un impatto che uno studio ha stimato intorno al 10% del Prodotto interno lordo europeo (Mackenbach, J.P, Meerding W.J., Kunst A, E., Economic costs of health inequalities in the European Union, J Epidemiol Community Health).
Per contrastarle sappiamo che è necessario implementare azioni e politiche, sanitarie e non, capaci di interrompere i vari meccanismi che le innescano. In particolare, sappiamo che:
- il contesto socioeconomico e le politiche di sviluppo e welfare sono i principali corresponsabili delle posizioni sociali che ogni persona ricopre lungo la propria esistenza e a ognuna di tali posizioni è associato un differente grado di risorse materiali, di status e di aiuto attraverso le quali gli individui riescono a condurre una vita dignitosa e il più possibile corrispondente alle aspettative;
- a sua volta, come sopra richiamato, la posizione sociale influenza la probabilità di essere esposto ai principali fattori di salute fisica e mentale, tra i quali a) i fattori di rischio dell’ambiente sociale e fisico che caratterizzano le condizioni e gli ambienti di vita e di lavoro; b)i fattori di rischio psicosociali, ovvero lo squilibrio tra quello che si esige da una persona e il grado di controllo, remunerazione e supporto di cui il soggetto fa esperienza nelle quotidiane condizioni di vita e di lavoro; c) gli stili di vita insalubri, come il fumo, l’alcool, l’obesità, l’inattività fisica, la cattiva alimentazione, il sesso non protetto; d) le limitazioni all’accesso alle cure appropriate;
- la posizione sociale influenza anche la vulnerabilità agli effetti sfavorevoli sulla salute dei suddetti fattori di rischio; in molti casi le persone di bassa posizione sociale esposti allo stesso fattore di rischio manifestano effetti sfavorevoli sulla salute più severi di quanto non succeda alle persone di alta posizione sociale;
- infine, i gruppi più svantaggiati hanno meno risorse per far fronte o prevenire le conseguenze sociali dell’esperienza di malattia (si pensi al rischio di impoverimento per le spese sanitarie o di difficoltà di carriera lavorativa in presenza di una malattia propria o di un famigliare).
Il Libro bianco fornisce una ricca documentazione riguardo l’impatto di ognuno di essi e dell’importanza relativa con cui ognuno contribuisce alle disuguaglianze di salute. Parallelamente documentale principali esperienze di contrasto che sono state messe in campo in altri paesi, in particolare nel Regno Unito, dove negli ultimi 15 anni sono stati sviluppati e finanziati programmi ad hoc.
Rispetto alle raccomandazioni, per il nostro paese, il libro bianco riconosce la situazione più favorevole dell’Italia rispetto agli altri Paesi, grazie alla presenza di alcune risorse tipiche del paese, come la dieta mediterranea, il sostegno della rete famigliare, il Servizio sanitario nazionale: la distribuzione universalistica dei servizi è un punto di forza da proteggere e rafforzare, soprattutto sotto le minacce della crisi e dell’austerità. Nonostante questi fattori di resilienza, i determinanti sociali di salute rimangono, però, una delle più importanti spiegazioni delle variazioni di salute nella popolazione italiana e rappresentano quindi un bersaglio importante per guadagnare salute, migliorare il capitale umano del paese e diminuire la pressione sul fabbisogno di assistenza.
Il Servizio sanitario nazionale si dovrebbe impegnare ad assegnare alta priorità al contrasto e alla moderazione dell’impatto sulla salute dei determinanti sociali in tutte le principali occasioni di programmazione ordinaria e straordinaria delle politiche nel Paese e nelle regioni. Per quanto riguarda le politiche non sanitarie, il Ministero e gli assessorati delle regioni dovrebbero impegnarsi a diffondere i risultati del Libro bianco agli altri Ministeri e alla Conferenza delle Regioni. In particolare, le competenze che Governo e Regioni hanno sulle altre politiche che possono influenzare i determinanti sociali di salute (sviluppo economico, occupazione e lavoro, scuola, welfare e territorio) dovrebbero essere esplicitamente sollecitate a valutare e dimostrare l’impatto sulle disuguaglianze di salute delle politiche di competenza e a identificare come queste possano essere ricalibrate per concorrere a ridurre le disuguaglianze di salute. Prerequisito essenziale affinché ogni istituzione e soggetto possa fare la propria parte è che ognuno sia messo in condizione di monitorare le disuguaglianze di salute ad ogni livello, attraverso (ad esempio) la disponibilità di almeno una variabile sociale comparabile in tutti i sistemi informativi sanitari e nel sistema statistico nazionale. Nei Paesi europei dove le suddette raccomandazioni sono state sviluppate con successo e continuità nel tempo, è stata necessaria anche una regia unitaria e un coordinamento intersettoriale che può derivare solo da un chiaro mandato di intesa delle Regioni e dello Stato e da un monitoraggio dell’avanzamento delle azioni che l’intesa vorrà intraprendere. È altresì importante identificare le aree di investimento che sono comuni a diverse politiche di settore, su cui far convergere risorse e competenze e conoscenze sulle azioni che funzionano meglio.