Ricchi e super-ricchi da lavoro: possibili definizioni e alcune evidenze empiriche

FraGRa affrontano il problema, importante e trascurato, di definire i ricchi e di “contarli”, come si fa con i poveri. Dopo avere ricordato che non esiste una definizione condivisa di “ricchi”, avanzano una loro proposta e sulla base di quest’ultima esaminano l’estensione e le caratteristiche del” pianeta dei ricchi “, in alcuni paesi europei, soprattutto di coloro che sono ricchi grazie al reddito da lavoro.

In una precedente scheda abbiamo sottolineato come nella letteratura economica manchi una definizione condivisa di chi debba essere considerato ricco e ciò rende impossibile stabilire quanti sono i ricchi e quali siano le loro caratteristiche. La scarsa attenzione che la letteratura economica ha finora dedicato ai ricchi trova eccezione nei recenti studi sui top incomes, ovvero su coloro che si posizionano nei segmenti più alti della distribuzione dei redditi (i top 1%, 0,1%, 0,01%). Tuttavia, riferendosi ai top incomes non si risolve il problema della “identificazione” dei ricchi, dato che ci si limita a considerare chi si posiziona nella coda alta della distribuzione, senza guardare alle distanze che separano il reddito di questi individui da quelli del resto della popolazione. Per la povertà esiste, invece, una sufficiente base di consenso riguardo ai criteri da adottare per stabilire chi debba essere considerato povero, in senso assoluto o relativo. Il tentativo dovrebbe essere quello di giungere a un’analoga e condivisa definizione per i ricchi.

Le poche proposte finora avanzate per identificare i ricchi appaiono tra loro molto discordanti. Si va dall’appartenenza ad alcuni gruppi sociali di élite, al consumo di beni o servizi considerati superflui, al godimento di un reddito superiore ad una determinata soglia assoluta (ad esempio, oltre il milione di euro) o relativa (ad esempio, pari al doppio della mediana), oltre che, come detto, all’appartenenza a percentili predefiniti della distribuzione. Alcuni autori ritengono poi che la ricchezza non abbia senso indipendentemente dalla povertà e, perciò, la definiscono in rapporto a quest’ultima che finisce per costituire l’unico vero termine di riferimento, oltre che l’unico problema. Far dipendere la definizione della ricchezza dalla povertà non ci sembra la strada giusta per risolvere il problema.

Rendere operativi altri criteri di identificazione della ricchezza (ad esempio, l’ eccesso di consumo) è, però, molto complicato e, d’altro canto, la scelta di uno specifico percentile o di una soglia assoluta o relativa, non essendo basata su robuste considerazioni teoriche, corre il rischio dell’arbitrarietà. I problemi normativi che pone la definizione di un criterio idoneo a identificare i ricchi sono quindi molti e complicati. Ma questa non ci sembra una ragione sufficiente per non porsi il problema e smettere di indagare il fenomeno della ricchezza.

La via – pragmatica – più proficua ci sembra quella di seguire un criterio relativo di ricchezza e identificare i ricchi in base alla distanza dal reddito mediano. Un simile criterio consente di fissare soglie più o meno restrittive, considerando, così, l’appartenenza al club dei ricchi come un concetto fluido, legato al punto di osservazione che si sceglie di fissare, piuttosto che come uno stato certo ed incontrovertibile.

In linea con quest’approccio (e con le analisi contenute in un nostro recente libro), in questa scheda consideriamo benestante chi ha un reddito che eccede di almeno tre volte il reddito mediano della popolazione e ricco chi ha un reddito pari ad almeno cinque volte la mediana (i ricchi sono, quindi, un sottoinsieme dei benestanti). Coloro che hanno un reddito che è almeno doppio rispetto alla soglia che discrimina i ricchi, quindi pari a 10 volte la mediana, potrebbero essere considerati super-ricchi. Queste soglie non sono, naturalmente, inattaccabili e, d’altro canto, a questi valori puntuali si potrebbe sostituire un range di valori plausibili. La nostra scelta permette, però, di iniziare a conoscere meglio il “pianeta dei ricchi”, i cui confini potranno eventualmente essere modificati in base a argomentazioni più convincenti su come debbano essere fissate le soglie.

Di seguito presentiamo, quindi, alcune elaborazioni per conoscere meglio il pianeta dei benestanti e dei ricchi in Italia e nei principali paesi europei facendo uso dei dati EU-SILC 2010 e delle cross-sections dell’Indagine sui Bilanci delle Famiglie Italiane (SHIW nell’acronimo inglese) condotta con cadenza biennale dalla Banca d’Italia. Non valutiamo, però, la presenza di super-ricchi, dal momento che questo specifico segmento di percettori di reddito risulta sotto-rappresentato (o misurato in modo molto impreciso) all’interno delle indagini campionarie e, con ogni probabilità, ciò comporta una sottostima dell’incidenza e dell’intensità della ricchezza. L’estensione della ricchezza relativa non viene misurata unicamente mediante l’indice di incidenza (quanti, all’interno di una popolazione, oltrepassano la soglia), ma determiniamo anche un indice di intensità, espresso dalla quota del reddito complessivo che affluisce a coloro che identifichiamo come benestanti e ricchi.

Come noto, la letteratura sui top incomes ha evidenziato la forte presenza tra i benestanti e i ricchi di coloro che traggono il proprio reddito (o la gran parte di esso) dal lavoro. Pertanto, in questa scheda ci focalizziamo sui soli redditi da lavoro netti individuali (da lavoro dipendente o autonomo); indaghiamo, cioè, caratteristiche e diffusione dei cosiddetti working rich.

I paesi nei quali, in base ai dati del 2009, è più elevata la percentuale di lavoratori che percepiscono retribuzioni nette superiori a 3 o 5 volte la mediana delle retribuzioni da lavoro sono il Regno Unito, la Polonia e la Francia (con valori che vanno dal 3,8 al 5,3%; figura 1, pannello a sinistra). In Italia, il 2,6% dei lavoratori guadagnava più di 3 volte la mediana (ovvero più di 48.700 euro netti annui) e lo 0,6% più di 5 volte la mediana (81.200 euro) [1.Tenendo conto dell’imposizione fiscale, si noti che per l’Italia un reddito individuale pari a 5 volte la mediana è dunque superiore al valore che identifica il top 1% in base alla distribuzione dei dati fiscali relativi al totale dei redditi individuali (da qualsiasi fonte), come conferma la quota di individui che percepisce redditi che eccedono tale soglia]. L’unico paese che ha un dato inferiore al nostro, per quello che riguarda i benestanti, è la Svezia; mentre, con riguardo ai ricchi, anche la Spagna presenta un valore inferiore.

L’analisi del grado di concentrazione del reddito nelle mani di benestanti e ricchi (figura 1, pannello a destra), rivela che i tre paesi nei quali i lavoratori benestanti sembrano essere nel complesso più abbienti sono, di nuovo, Regno Unito, Polonia e Francia. Guardando soltanto ai ricchi, la Polonia retrocede e lo fa, in particolare, nei confronti dell’Italia che, invece, si colloca alle sue spalle nella graduatoria relativa ai benestanti. Nel nostro paese, ai lavoratori benestanti, che sono il 2,6% dei lavoratori, va il 12,3% del reddito netto da lavoro complessivo e ai lavoratori ricchi, che sono lo 0,6%, va il 5,6% dell’intera torta. In Francia e in Regno Unito i lavoratori benestanti e ricchi detengono, rispettivamente, circa il 20% e il 9% del reddito netto complessivo da lavoro e questo conferma che si tratta di due paesi dove è forte la concentrazione al top dei redditi da lavoro.

Fig. 1 – Incidenza e intensità dei working rich in alcuni paesi europei nel 2009

Fig. 1 -  Incidenza e intensità dei working rich in alcuni paesi europei nel 2009
Fonte: elaborazioni su dati EU-SILC 2010

Guardando alle fonti di reddito da lavoro emerge una chiara anomalia italiana, ovvero la forte incidenza dei lavoratori autonomi all’interno dei gruppi di benestanti o ricchi (tabella 1): nel nostro paese la quota di reddito dei benestanti che proviene da lavoro autonomo è del 60% e una percentuale ancora più alta si riscontra tra i lavoratori ricchi, mentre negli altri paesi queste percentuali sono nettamente più basse (in particolar modo in Svezia), con l’ovvia implicazione che è ben maggiore l’incidenza dei lavoratori dipendenti benestanti o ricchi. Dall’indagine Banca d’Italia, che consente un maggior livello di dettaglio, si osserva poi che in Italia i liberi professionisti sono coloro che più facilmente superano le soglie di reddito che permettono di entrare nel club dei working rich. Inoltre, all’interno del mondo dei lavoratori dipendenti è comparativamente molto alta la percentuale di working rich che lavorano nel settore pubblico e questo si deve alle generose retribuzioni dei dirigenti pubblici di grado più elevato, di cui già si è scritto sul Menabò.

Tab. 1: Composizione per fonte dei redditi da lavoro annui netti in alcuni paesi UE nel 2009

Tab. 1: Composizione per fonte dei redditi da lavoro annui netti in alcuni paesi UE nel 2009
Fonte: elaborazioni su dati EU-SILC 2010

L’indagine condotta dalla Banca d’Italia, coprendo un lungo orizzonte temporale, permette anche di analizzare le evoluzioni che si sono verificate nel nostro paese nel pianeta dei working rich durante gli ultimi venti anni (escludendo, in questo caso, i redditi individuali da impresa).
Dalle nostre analisi emerge che la quota dei working rich e quella del reddito da loro appropriata hanno seguito in Italia andamenti molto simili (figure 2 e 3). Come noto, in Italia l’indice di Gini della diseguaglianza complessiva ha fatto registrare un improvviso incremento all’inizio degli anni ’90, ma è poi rimasto sostanzialmente stabile nei decenni successivi. Guardando a entrambi gli indicatori relativi ai working rich, si conferma la crescita sostanziale delle diseguaglianze avvenuta fra il 1991 e il 1993, ma emerge anche un ulteriore significativo incremento fino al 2004. In particolare, la quota di reddito affluita ai lavoratori benestanti e ricchi è cresciuta costantemente fra il 1991 e il 2004, raggiungendo i valori massimi di circa il 12% e il 7%, rispettivamente. Incidenza e massa retributiva dei working rich sono poi diminuite negli ultimi anni del periodo osservato, con l’eccezione del 2010, quando si è avuto un nuovo consistente aumento che segnala l’ampliarsi delle diseguaglianze retributive nei primi anni della crisi.

Fig. 2: Andamento della quota di working rich in Italia; 1989-2010.

Fig. 2 -  Andamento della quota di working rich in Italia; 1989-2010.
Fonte: elaborazioni su dati SHIW

Fig. 3: Quota del reddito da lavoro appropriata dai working rich in Italia; 1989-2010.

Fig. 3 - Quota del reddito da lavoro appropriata dai working rich in Italia; 1989-2010.
Fonte: elaborazioni su dati SHIW

La divergenza nei percorsi dinamici della disuguaglianza e della ricchezza relativa conferma, dunque, l’importanza di un esame accurato del segmento più alto della distribuzione dei redditi per comprendere a fondo gli effettivi processi evolutivi della disuguaglianza. E’ pertanto auspicabile che, come avviene in Germania da oltre un decennio, anche nel nostro paese (e nell’intera Unione Europea) si cerchi di superare il problema che nasce dal sotto-campionamento della coda alta della distribuzione all’interno delle indagini empiriche (e che rischia di portare a sottostime del fenomeno della concentrazione della ricchezza da lavoro) e prendano avvio specifiche indagini che permettano di arricchire l’informazione statistica, e non soltanto aneddotica, sulle caratteristiche di chi occupa le posizioni apicali della scala distributiva.

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