ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 178/2022

14 Settembre 2022

Ricordi di Salvatore Biasco

Elena Granaglia e Maurizio Franzini attingendo ai loro ricordi personali salutano con grande affetto e stima Salvatore Biasco che ci ha lasciati il 6 settembre scorso.

Salvatore Biasco ci ha lasciato il 6 settembre. Elena Granaglia e Maurizio Franzini hanno attinto ai loro ricordi per salutarlo e rendergli omaggio. 

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Ho conosciuto Salvatore Biasco relativamente tardi, poco più di una decina di anni fa, quando mi era stato chiesto di presentare il suo libro Ripensare il Capitalismo. La crisi economica e il futuro della sinistra ad una festa dell’Unità a Roma. Terminata la presentazione, ci siamo fermati a parlare, anche con Valeria (Valeria Termini, sua moglie), avvertendo quella bella sensazione di comunanza che si sente quando guardi gli occhi dell’altro e capisci che intende esattamente quello che dici tu. Ci siamo lasciati dicendoci “Dobbiamo assolutamente rivederci”. Per fortuna, almeno mia, è stato così.

Da allora ci siamo visti e sentiti più volte, sempre per provare a ragionare sui temi del primo incontro, io spesso più restia – timorosa di finire in parole vuote – e Salvatore sempre determinato, rigoroso, mai retorico, capace di vedere spazi trascurati da indagare e porsi domande scomode. Penso, ad esempio, alla sua attenzione ai corpi intermedi. 

Nel ricordare Biasco durante la cerimonia alla Chiesa Valdese, Giuliano Amato ne ha sottolineato la capacità di unire competenza e passione politica, dando luogo ad una figura di intellettuale di cui sentiamo tanto il bisogno oggi quando il proferire giudizi e raccomandazioni su tutto, attratti dalle luci dell’arena mediatica, sembra, troppo spesso, prendere il sopravvento. Ciò che caratterizzava Biasco era usare la sua competenza tecnica di economista per un preciso impegno politico: rafforzare la sinistra. 

Neppure però Biasco era il tecnico che dava consigli alla politica, forte delle sue competenze, un altro ruolo oggi diffuso. Certo, Biasco ha svolto anche questo ruolo. Ma Biasco aveva dell’economia e del ruolo dell’intellettuale una visione ben più ampia. L’economia e gli economisti possono e devono contribuire al rilancio della cultura politica della sinistra. Come ha ricordato Tocci, sempre alla Chiesa Valdese “contro il deprimente mainstream, (Biasco) era portato a rilanciare i grandi temi politici della sinistra, senza mai cadere nella nostalgia, ma cercando le ragioni contemporanee per una nuova trasformazione sociale e culturale.. (mosso) direi quasi da un assillo, di contribuire tramite la produzione culturale al rilancio della politica (cfr. https://centroriformastato.it/lultimo-saluto-a-salvatore-biasco/).

Ecco proprio l’allertarci a questa doppia esigenza di fare leva sulle competenze, ma di uscire dagli steccati disciplinari per confrontarsi con le sfide della politica, e di guardare alla dimensione culturale della politica mi sembrano un’eredità importante da fare vivere.

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Non ricordo esattamente quando ho conosciuto Salvatore Biasco. Ma certamente ci conoscevamo già a Cambridge verso la fine degli anni ’70. Per me era uno degli esponenti di quella che chiamavamo la scuola di Modena che includeva tanti economisti impegnati a dare dell’economia una rappresentazione non appiattita sul mainstream e capace di essere scienza critica, fonte di idee e strumenti per una società ‘migliore’. Ricordo che l’impressione che ebbi, parlandoci le prime volte, era che lui fosse proprio della ‘scuola di Modena’. Non so se è stato davvero così ma mi verrebbe anche da dire che tale sia rimasto per il resto della sua ricchissima vita. E c’è un altro mio ricordo di quegli anni che si ricollega alla sua attività e al suo impegno più recenti,

Nel 1981 Salvatore scrisse un libro, che gli costò non poca fatica, al quale fu assegnato il premio Saint-Vincent per l’economia. Il titolo del libro è: L’inflazione nei paesi capitalistici industrializzati: il ruolo della loro interdipendenza. Quando ne parlammo ricordo che mi disse che di quel libro ciò che più lo gratificava era essere riuscito a tenere insieme e dare ordine alle molte (troppe?) idee che aveva sull’argomento e ai molti (troppi) problemi a cui la questione rimandava. Non ci siamo frequentati per molto tempo ma negli ultimi anni non sono mancate le occasioni di incontro, grazie soprattutto al suo instancabile impegno nell’organizzazione di dibattiti e convegni, e in quelle occasioni mi sono trovato a pensare che il problema che ebbe con il suo libro del 1981 ancora lo perseguitasse. 

Era il problema che sorge quando si è consapevoli della complessità delle questioni e della fatica, in tanti sensi, che richiede il tentativo di dominarla. Una fatica sconosciuta a chi si affida alle ideologie, alle ingannevoli semplificazioni e alla seduzione degli schieramenti pre-fabbricati. Forse chi è consapevole della complessità è anche destinato – per usare l’espressione di un’altra persona a noi carissima, Luciano Barca – a dedicarsi all’arte di costruire ponti. Credo che Salvatore fosse un costruttore di ponti, aspirava a costruirli solidi e di certo non aspirava a tagliare il nastro nel giorno dell’eventuale inaugurazione. Nei nostri episodici scambi degli ultimi tempi avrei voluto chiedergli più di questo e mi mancherà non averlo fatto.

E c’è anche un’altra cosa che mi mancherà, tra molte altre. Poco più di un anno fa, dopo un mio intervento – di cui non ricordo nulla – su Federico Caffè, Salvatore mi fece felice scrivendomi che ero stato proprio bravo. E aggiungeva “Avrei tanti ricordi di lui a partire dal concorso universitario in cui siamo stati commissari assieme (passò Draghi) alla candidature rifiutata dell’83 (si riferisce alla candidatura alla Camera come indipendente nelle liste del PCI) alle conversazioni quando- – facendo lezione serale e abitando vicino – lo passavo a prendere e lo accompagnavo a casa. Nostalgia.” Gli risposi che avrei voluto assolutamente ascoltare i suoi ricordi. Ma poi non feci nulla perché si creasse l’occasione. E ora sono qui a rimpiangere anche questo. Ma anche a sperare che i ponti che Salvatore aveva iniziato a costruire non restino le opere incompiute di un uomo che ha seminato molto di più del non troppo che questo mondo gli ha concesso di raccogliere. 

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