- In Termites of the State, Vito Tanzi ci offre innanzitutto un grande affresco storico, dall’Ottocento ai giorni nostri, sui continui e profondi spostamenti di quella che Federico Caffè chiamava la “ frontiera mobile tra Stato e mercato” nelle economie capitalistiche avanzate. Si tratta di una frontiera molto frastagliata, con sporgenze e rientranze che si modificano in direzioni diverse e talvolta anche opposte. Una frontiera precisamente e chiaramente delimitata soltanto in alcuni tratti, mentre in molte zone è indefinita e incerta. Questa grande varietà e mobilità della frontiera tra Stato e mercato dovrebbe sconsigliare di misurare l’estensione e l’intensità dell’intervento pubblico in economia, come spesso si continuaa fare, riferendoci a un unico indicatore, sia esso il livello della spesa pubblica o della pressione tributaria sul prodotto interno lordo, o la proprietà di imprese da parte di enti pubblici, o il grado di regolamentazione di alcuni mercati.
Un primo importante contributo di questo volume è proprio quello di fornire un dettagliato elenco della molteplicità degli strumenti di intervento pubblico in economia cui si è fatto e si fa ricorso nei singoli paesi, in varia misura nei diversi periodi. Basti scorrere gli undici gruppi molto compositi elencati alle pagine 135-142, o la breve tassonomia delle varie forme di regolamentazione riportate in otto variegate categorie alle pagine 144-151.
La lunghezza delle liste e la loro grande e cangiante varietà danno un’idea della complessità dei rapporti tra Stato e mercato, della difficoltà di definirli e misurarli con un unico sintetico indicatore, e di ricercarne le cause e gli effetti, nonché di individuare gli infiniti modi in cui le termiti di varia natura possono infilarsi nel sistema e influenzare il funzionamento dei mercati e l’azione dei governi.
- Il merito dell’analisi di Tanzi non è soltanto di avere costruito questi elenchi sulla base dell’esperienza storica, ma anche di avere richiamato l’attenzione sui mutamenti che sono avvenuti e avvengono in tutti i diversi numerosissimi punti di confine tra Stato e mercato, tra pubblico e privato, cioè nell’impiego degli svariati strumenti di intervento pubblico in economia; e di avere sottolineato il maggiore impatto che spesso hanno le varie forme di regolamentazione rispetto alle forme di intervento attraverso il bilancio (spesa pubblica e tributi) sulle quali normalmente si concentra il dibattito quotidiano di politica economica.
Ma il merito dell’analisi di Tanzi è soprattutto di avere cercato di individuare i principali fattori che hanno influenzato il mutevole ricorso all’uno o all’altro strumento nelle diverse circostanze e gli altrettanto mutevoli effetti che ne sono derivati non soltanto sull’allocazione delle risorse e la crescita potenziale a lungo termine, ma anche sull’andamento dell’economia nel breve periodo e, ancor più importante ma spesso trascurato, sulla distribuzione del reddito e della ricchezza.
Diviene così centrale e interessante l’esame compiuto da Tanzi dei diversi fattori che – con intensità, modalità e tempi diversi – hanno influenzato il ricorso ai singoli strumenti nelle specifiche configurazioni che hanno concretamente assunto. Oltre ovviamente, agli orientamenti ideologici prevalenti in varie versioni – che Tanzi riassume nelle grandi categorie del laisserfaire e del liberismo, del socialismo cattolico e marxista, della rivoluzione keynesiana, e del fondamentalismo di mercato – , vengono esaminate attentamente le profonde trasformazioni verificatesi nella demografia, urbanizzazione, struttura produttiva, sociale, istituzionale, politica, e nelle relazioni economiche e finanziarie internazionali, nonché i grandi sommovimenti che hanno accompagnato la Grande Crisi e le due guerre mondiali.
Tutte queste trasformazioni hanno richiesto e portato a forme di intervento pubblico in economia sempre più differenziate e complesse per perseguire obiettivi svariati e spesso ispirati da termiti di varie specie, che già agivano sui mercati sfruttandone le imperfezioni. Inoltre, molti di questi interventi pubblici hanno favorito o accentuato, anziché ridurre, gli squilibri che si formano sui mercati, soprattutto in materia di disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza.
- E qui veniamo ad un altro aspetto importante ed interessante dell’analisi di Tanzi, che sostiene, in primo luogo e contrariamente a quanto affermato da Lucas e molti altri economisti, che “il ruolo economico dello Stato non può essere discusso prescindendo dall’impatto che esso ha sulla distribuzione del reddito presente e futuro che si determina sul mercato nel processo di crescita economica”. E, in secondo luogo, questa influenza non si esercita soltanto sui risultati distributivi derivanti dal funzionamento del mercato, mediante l’azione redistributiva affidata agli strumenti di bilancio, in particolare alcuni tipi di spese pubbliche e di prelievi tributari. Ma l’influenza dello Stato si esercita anche sulla distribuzione primaria, in forme dirette e indirette e in misura determinante, con una molteplicità di interventi oltre quelli di bilancio e soprattutto con varie forme di regolamentazione e deregolamentazione, delle quali sono pronte ad approfittare tante piccole e grosse termiti (una lista esaustiva di queste forme è contenuta alle pagine 192-9).
Così che, all’origine della tempesta perfetta che negli ultimi decenni ha portato a una forte polarizzazione e a inaccettabili disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza, a parere di Tanzi vi sono, accanto a fattori più frequentemente studiati (quali la piena liberalizzazione dei mercati e dei movimenti di capitale, la perdita di forza dei sindacati dei lavoratori, l’impatto delle nuove tecnologie), tre elementi. Il primo elemento è la crescente estensione della nozione di proprietà intellettuale e della sua tutela pubblica che garantisce lo sfruttamento monopolistico anche di sviluppi tecnologici derivanti da ricerche finanziate direttamente o indirettamente dallo Stato; su questo punto centrale non mi resta che rinviare al commento esauriente di Antonia Carparelli sul n. 86 del Menabò.
Il secondo elemento è il diffondersi della convinzione che incentivi finanziari sempre più elevati per i soggetti in cima alla scala nelle proprie attività siano essenziali per garantire un’elevata performance (spesso solo di breve periodo), mentre siano irrilevanti per la generalità dei lavoratori partecipanti a quella stessa attività. E’ difficile trovare il fondamento di tale convinzione senza ricorrere a specifiche e discutibili ipotesi sul ruolo della dotazione di capitale umano innato e coltivato, del capitale sociale e relazionale e del patrimonio ereditato, nonché dei meccanismi e delle regole di gestione e di controllo delle grandi imprese e organizzazioni nazionali e internazionali.
- La situazione è resa più difficile dal terzo elemento individuato da Tanzi, e cioè dal fatto che non ci si può più attendere che le profonde e spesso inaccettabili disuguaglianze prodotte dai primi due elementi (insieme agli altri fattori prima ricordati) possano essere attenuate dall’azione redistributiva dello Stato esercitata mediante imposte fortemente progressive sul reddito e sulla ricchezza, come ci si era illusi che potesse accadere nei primi decenni del secondo dopoguerra, quando l’aliquota marginale sui redditi più alti aveva superato il 90% negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Ma una progressività formale molto elevata ha alimentato “la spinta da parte di gruppi di interesse piccoli e grandi verso la ricerca di trattamenti tributari differenziati sempre più largamente concessi per sostenere la crescita produttiva, l’occupazione, gli investimenti, il progresso tecnologico, e favorire la riduzione del disagio sociale e gli impieghi meritori delle risorse. Il proliferare dei trattamenti tributari differenziati, sia quelli legali (erosione e taxexpenditures) che quelli para-legali (elusione) o illegali (evasione), ha così enormemente allargato il divario tra progressività nominale e progressività effettiva in maniera molto differenziata e, spesso, intricata e oscura” (come notavo sul n. 36 del Menabò).
Situazione aggravata, in un’economia e società complesse, da un lato, dalle difficoltà di definizione, misura e accertamento dei singoli redditi che compongono il reddito complessivo o ne sono esclusi o soggetti a regimi sostitutivi (come accade per la maggior parte dei redditi da capitale o che si riesce a far figurare per tali); e, dall’altro, dal fatto che l’accresciuta integrazione economica e finanziaria internazionale ha espanso le possibilità di elusione ed evasione in misura molto differenziata per i vari soggetti ed ha reso molto più faticoso il contrasto alle sempre più complesse forme che assumono l’elusione ed evasione internazionale, favorite anche dall’imponente espandersi dell’innovazione finanziaria.
L’azione congiunta di questi tre elementi, che si è manifestata con maggior forza in tempi recenti, aggiungendosi a quella dei fattori tradizionalmente individuati all’origine delle odierne elevatissime disuguaglianze, porta Tanzi a esprimere la preoccupazione che “un’economia di mercato fondata sulla democrazia possa sopravvivere in società nelle quali la distribuzione del reddito è fortemente sperequata”. Di fronte a tale preoccupante prospettiva, confermata anche da recenti tendenze sociali e politiche in molti paesi, piuttosto che appartarsi in comode nicchie ideologiche e metodologiche, converrà discutere apertamente i tanti problemi sollevati da Tanzi, cercando di dotarsi delle nuove necessarie conoscenze e sviluppando i tanti spunti interessanti forniti dallo stesso Tanzi in questo libro.