ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 222/2024

28 Settembre 2024

Teresa Mattei, nome di battaglia Chicchi

Silvana Cirillo ci offre un intenso ricordo di Teresa Mattei che conobbe, giovanissima, a casa di Cesare Zavattini e con cui intrattenne un lungo, impagabile rapporto. Cirillo ricostruisce le principali vicende della straordinaria vita di Teresa: fu giovanissima partigiana ed ebbe un ruolo importante nella Resistenza, fondò i “Gruppi di difesa della donna”, fu la più giovane delle 21 donne chiamate a concepire la nostra Costituzione e fu fondamentale il suo contributo per l’art. 3 sulla disuguaglianza. E difese sempre i diritti dei bambini e delle donne.

Dentro di me ho ancora gli stessi valori, giustizia e libertà!

                           Teresa Mattei

Appena specializzata, a fine anni 70, andai a casa di Cesare Zavattini, questo mostro sacro del cinema mondiale – ma anche, come scoprii dopo, uomo umile e diretto – per proporgli una lunga intervista dedicata per la prima volta solo allo Zavattini scrittore!

“Sono più famoso che letto” diceva con rammarico, sapendo che la fama cinematografica e il rapporto con De Sica avevano offuscato la sua vena più amata e ambiziosa, quella di scrittore: io andavo finalmente a riscattarlo da questa onta! Nacque fra noi subito una splendida empatia, parlammo per giornate intere.

Quanto mondo si muoveva attorno a lui! Quante figure di rilievo incontrai nella sua mitica casa di via S. Angela Merici, popolare e popolata al pari dei Caffè Rosati e Canova di Piazza del Popolo! E grazie a lui ebbi modo di entrare in contatto con una persona che ancor’oggi ricordo con enorme affetto e grande emozione – e sarò sempre grata a Cesare per avermi dato questa possibilità. Quella persona è Teresa Mattei che fu una giovanissima partigiana, prima staffetta e poi Comandante di Compagnia, che ebbe un ruolo importante nell’antifascismo e nella Resistenza, che fondò i “Gruppi di difesa della donna” a Firenze. Ma che fu, soprattutto,  la più giovane costituente (appena venticinquenne), una delle 21 donne (su 506 uomini) chiamate a concepire la nostra Costituzione .

Il nostro primo incontro avvenne in modo insolito e indimenticabile. Ero ad un convegno, fine anni ’80, credo alla Casa della cultura a Largo Arenula. Una signora anziana, piccola, sorridente, delicata mi tese la mano sicura: «tu devi essere Silvana. Cesare mi ha parlato di te e ti ha descritta così bene, che mi sembra di conoscerti. Gli occhi, gli occhi sono i tuoi…Piacere, Teresa Mattei». Allibii . Felice. Cominciammo a parlare, un dialogo che proseguì per anni. Una continua scoperta.

Il suo spirito battagliero e appassionato, l’amore per i giovani, la dedizione alla causa della donna e dell’uguaglianza in ogni ambito, la modestia e il garbo, la stima e l’amore per Zavattini me la resero subito vicina e poi amica vera, nonostante i suoi anni, molti più dei miei, e gli incontri rari, vivendo noi in due regioni diverse.

La sua vita da partigiana. Teresa era cresciuta in una famiglia liberale, cattolica modernista, convintamente antifascista. Il papà Ugo, uomo colto e onestissimo, fu prima attivo nel gruppo Giustizia e Libertà e poi importante dirigente toscano del Partito d’azione, amico di intellettuali antifascisti come Giorgio La Pira, i fratelli Rosselli, Natalia Ginsburg, Aldo Braibanti, Piero Calamandrei, Don Primo Mazzolari e Adriano Olivetti. Papà Ugo fu il suo ispiratore sin dall’adolescenza quando, per la causa antifascista, la espose anche a situazioni molto rischiose.

Aveva appena 16 anni Teresita, quando affrontò da sola il viaggio in treno Toscana/ Nizza per portare 400.000 lire raccolte dal padre e dal gruppo di Giustizia e libertà per i fratelli Rosselli e la sezione italiana da impegnare nella guerra di Spagna. Al ritorno doveva fermarsi a Mantova da Padre Mazzolari, cui consegnare una lettera segreta. Fu arrestata, se non ricordo male, a Bologna. Il che le costò la prima sosta in prigione in mezzo a prostitute, mai viste fino ad allora. Per liberarla furono dette molte bugie “Ero in Francia per perfezionare il mio francese” raccontò assieme a Ugo accorso a proteggerla.

Nel 1937, giovanissima, fu cacciata dal liceo Michelangelo di Firenze perché si rifiutò di sfilare assieme alle altre alunne per festeggiare la guerra di Abissinia;  rimase in classe, obbligando il Preside a tenere aperta la scuola solo per lei. Nel 1938, in seconda liceo, fu cacciata da tutte le scuole del Regno per essersi rifiutata di seguire “ la vergogna delle lezioni sulle leggi razziali” appena emanate.

Il 15 aprile ’44 Giovanni Gentile fu ucciso mentre rientrava a casa a Firenze. Teresa ebbe un ruolo nell’uccisione di quello che era stato suo professore di Filosofia, come rese noto molti anni più tardi: indicò Gentile ai Gap Bruno Fanciullacci e Giuseppe Martini . Quando me lo confidò, in una telefonata, di fronte al mio stupore disse che si trattava di un atto di guerra civile e che Gentile, esaltato fautore della repubblica di Salò, era responsabile morale di tutte le ultime fucilazioni dei giovani commilitoni renitenti alla leva e corresponsabile indiretto della morte del fratello di Teresa, Gianfranco che si impiccò in carcere per non soccombere alle torture e denunciare i compagni con cui aveva costruito le bombe necessarie per la guerriglia urbana prima di essere prelevato dalle SS.

Teresa non si arrese mai, faceva la spola tra Firenze e Roma, collegava i vari gruppi, portava materiali di propaganda, e fu presa vicino Perugia da una pattuglia tedesca mentre, nascosta in un camion di soldati austriaci, cercava di raggiungere i fratelli in Toscana: “Sono stata ore sotto le loro sevizie, picchiata, mi hanno rotto denti e perfino un rene col calcio del fucile, mi hanno stuprata tutta la notte e ho pagato sulla mia pelle di donna le violenze naziste” mi ripeteva ancora turbata da fatti così orrendi. La avrebbero fucilata se non la avesse aiutata a fuggire un repubblichino messole a guardia che aveva una figlia della sua stessa età, ed era incredulo che una ragazzina così fosse partigiana e comunista.

Teresa, la partigiana Chicchi, passò dalla lotta armata alla lotta politica; nell’ottobre del ‘45 entrò nell’UDI (Unione Donne Italiane), appena fondata dai comunisti e dalle partigiane attive e iniziò a occuparsi di donne e bambini, diritti, ma anche doveri, delle une e degli altri. Intanto il 1 feb ‘45 il diritto di voto era stato esteso alle donne e il 2 giugno 46 si votò: Monarchia? Repubblica? Teresa aiutò gli analfabeti a esercitarsi a scrivere, spronò le donne: “fu un momento quasi religioso!” ricordava commossa. E divenne una delle Madri della Costituzione A Firenze e Pistoia la conoscevano e apprezzavano. Nel ’33, Ugo aveva portato la famiglia (7 figli) a Bagno a Ripoli, in previsione di una guerra e in quel periodo Teresa percorreva km in bici tra contadini, operai di quelle contrade, attenta ai loro bisogni e richieste e così loro la ripagarono votandola.

Teresa e la Costituzione. Questa è una pagina meravigliosa nella vita della partigiana Chicchi che contribuì alla Costituzione non solo con la sua costante presenza ai lavori della Costituente ma soprattutto per il suo impegno nella stesura dell’articolo 3 che, come è noto, recita :

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”

Teresa si batté soprattutto per quel “senza distinzione di sesso” e perché si aggiungesse quel perentorio “di fatto” nel riferimento alle limitazioni della libertà e della uguaglianza.

Si rammaricò, invece, perché  non fu aggiunta la frase “senza differenze di età” che avrebbe voluto per proteggere i più giovani e i più anziani. “I bambini già quando nascono sono cittadini” affermava con convinzione.

Teresa, Zavattini e i bambini.  L’assiduo rapporto che Teresa aveva con Zavattini nacque perché lei chiese a lui, notoriamente uomo generoso e stracolmo di idee, di aiutarla a rialzarsi dopo una dolorosissima tragedia familiare che la stava devastando. Cesare la indusse a dedicarsi a progetti che esaltassero libertà creatività amore e etica della pace nei bambini e nei giovani. Lui che nel ’56 aveva avuto il Premio della Pace assieme al regista J. Ivens, chiedeva a gran voce di inserire un’ora di lezione sulla pace nei programmi scolastici, e non gli sembrò vero poter suggerire un progetto armonizzante a quella donna così impegnata nel sociale e instancabile. Teresa inventò nel 1991 la Treccia della pace intorno al mondo, che doveva entrare nelle scuole di tutto il mondo e racchiuderlo in una tela d’amore e di pace intessuta dai bambini.

Su questa scia mi aveva coinvolta in un progetto su Za pittore da realizzare insieme al figlio Arturo, noto direttore di fotografia, e ad Attilio Bertolucci, il giovane allievo che Za aveva lanciato nella poesia negli anni ’30 e suo caro amico; la cosa non si concluse, non ricordo perché, e mi spiacque perché si attagliava bene al nostro Za! Il titolo era Zavattini, bambino permanente e raccontava in due parole il rapporto di gioia e stupore con cui Za guardava il mondo e da cui traeva la sua inesauribile e creativa poetica della meraviglia. Teresa lo aveva fatto subito suo, inventando addirittura un Premio dedicato al Bambino permanente, il cui prototipo era Za. “ I bambini permanenti sono coloro che parlano al presente e vogliono subito le cose. Non son furbi, non raccontano balle….Sanno che l’utopia è una cosa vera, L’utopia se siamo in tanti a volerla, non è più utopia, diventa realtà. E questo i bambini permanenti lo sanno con certezza… Facciamo le cose subito è la grammatica che ci ha insegnato Za. E’ la grammatica del subito spietato, rabbioso e insieme felice” . Fra i premiati ci furono S.Pertini, M. Gorbachev, R.Levi Montalcini, T. Terzani, N. Ginzburg.

Teresa negli anni ‘60 aveva costituito la Cooperativa di Monte Olimpino (Como) in cui si producevano film per e con bambini, ispirati spesso da loro, e riuscì a portarli perfino al festival del Cinema di Venezia. Con Bruno Munari creò un logo, un germoglio verde, che rappresentava le potenzialità in boccio in ogni bambino. Nacque a Ponsacco nel 1987 Chiedo ascolto, Lega per il diritto dei bambini alla comunicazione, che promosse molte iniziative pedagogiche, modernissime, laboratori creativi e premi. Addirittura nell’ 89 chiese ed ottenne un giorno senza televisione, che fu molto apprezzato proprio dai bimbi! Nel 1993 , dopo il tremendo assedio di Sarajevo avviò una campagna per assegnare ai bimbi di Sarajevo il premio Nobel per la Pace e per raccogliere fondi da devolvere loro. Le adesioni furono 100.000.

Teresa e il femminismo. Teresa mi stupì più volte , raccontandomi pacata e serena le sue mille dolorose rocambole quelle di prima della guerra e quelle successive, talune dolorosamente tragiche, altre combattive e femministe all’estremo che componevano il profilo di una donna indipendente, appassionata, inflessibile, doverista, egalitarista irriducibile e attiva. Una donna spesso scomoda. Come non ascoltarla a bocca aperta?

Bambini e donne, libertà e uguaglianza, questi i punti fermi di Teresa l’anarchica, prima ragazza-madre in Parlamento. In quei tempi di maschilismo e moralismo autoritari, incinta di un uomo ancora sposato (lasciato dalla moglie e con tre figli), rifiutò l’aborto richiesto dal partito e da Togliatti, si trasferì in Ungheria nel ‘48, prese la cittadinanza assieme a Bruno Sanguinetti, partorì in Svizzera: tutto perché Gianfranco avesse il nome del padre, che lei avrebbe sposato dopo il divorzio ottenuto in Ungheria. Iniziarono così le battaglie civili in difesa di ragazze madri, figli adottivi, donne magistrato. Una resistenza continua a pregiudizi e passatismi di ogni tipo. Con Togliatti il conto rimase aperto: “tu fai politica per governare la gente, io perché la gente si governi da sola” gli disse. E il conflitto fu con l’intero Partito quando questo avallò le stragi efferate di Stalin, Nel ’55 fu cacciata con la motivazione di antidemocraticità poi corretta in dissenso, e lei lasciò definitivamente il comunismo.

 La donna la donna! Ma anche la festa della donna, celebrata l’8 marzo 1946 per la prima volta, porta l’imprinting di Teresa! Me ne parlò un giorno che venne a pranzo da Cesare arrivando con un mazzo giallissimo di mimose.

“Sai chi scelse la mimosa come simbolo della donna?” mi chiese. “Io, insieme a Teresa Noce e a Rita Montagnana. La proposi al posto della violetta, profumata e costosa, molto francese, ma pure di vita breve, che piaceva perfino a Luigi Longo”. La mimosa – mi spiegò – era il fiore che i partigiani regalavano alle staffette. Le ricordava la lotta sulle montagne, aggiungeva, e si poteva per giunta raccogliere a mazzi gratuitamente. In Cina la mimosa collettiva rappresenta la donna, la famiglia. Inventò pure questa favola esotica per convincere le riottose.

Pensieri per Teresa. Teresa Mattei, nome di battaglia Chicchi, è stata prima una partigiana di ferro e poi, fino all’ultimo, una donna impegnata a difendere strenuamente i diritti sociali di donne e bambini e le istituzioni democratiche. Teresa non abbandonò mai la lotta. Lo prova ad esempio il fatto che moltissimi anni dopo la fine della guerra, nel maggio 1996, lanciò una raccolta di firme, “l’obbedienza non è più una virtù”, per chiedere al Presidente Scalfaro un nuovo processo (visto che il reato era caduto in prescrizione) non più militare, al criminale nazista Erich Priebke, responsabile non soltanto della strage delle fosse Ardeatine, ma anche della morte di decine di resistenti nel carcere di via Tasso a Roma. Il processo, dopo molte vicende, portò alla condanna di Priebke.

Non dimenticherò mai una delle sue più appassionate e preoccupate telefonate. Era il 2006 e mi spronava a non adagiarmi sulla situazione politica di allora, immorale, subdola, fatta di leggi ad personam, di costumi sociali degradati e appiattiti; percepiva il rischio di cambiamenti costituzionali e di una forma diversa ma serpeggiante di fascismo e omologazione. Chiedeva di combattere contro questo rischio con tutti i mezzi.

Da quando morì, nel marzo 2013, mi porto dietro un rammarico: non averla potuta vedere nei suoi ultimi anni anche perché il figlio che viveva con lei rispose giustamente con un diniego alla mia proposta di raggiungerla a Lari (Pisa), dove si era ritirata. Lo fece perché le forti emozioni rischiavano di squassare l’equilibrio ormai precario di un fisico che non si era mai risparmiato nei lunghi 90 e più anni di vita. E il mio rammarico è anche di non averle potuto dire quanto impagabile sia stato per me il nostro legame.

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