Un europeista ante litteram, Alberto Savinio

Silvana Cirillo rilegge Sorte dell’Europa, splendido pamphlet scritto da Alberto Savinio nel suo studio romano mentre Altiero Spinelli, con Ernesto Rossi, elaborava a Ventotene il decalogo della futura Europa. Anche Savinio sognava un’Europa federalista ed egalitaria e ne raccontava la necessità nel suo pamphlet con richiami non soltanto alla storia ma anche alle lettere, alle arti e alla filosofia. Ad accomunarlo a Spinelli è il disegno di un’Europa laica ed egalitaria, il rifiuto del sovranismo e il progetto di un federalismo armonico.

Le mie speranze di solito così spente si riaccendono di colpo e risfavillano se appena io sento qualcuno che parla di sé non solamente come cittadino del Paese che gli ha dato i natali, ma anche come cittadino del mondo, sia pure della sola Europa.

(Alberto Savinio)

 

Apro questo mio intervento con un aneddoto significativo, che sicuramente sarebbe piaciuto a Savinio, a lui che, proprio dalle pagine di Sorte dell’Europa (Adelphi, 1977), nel ‘44, aveva dichiarato: “Uno degli strumenti migliori per pungere il pallone della retorica e sgonfiarlo è l’aneddoto storico: la sua ironia involontaria…Scoprire gli altarini!” Dunque, l’aneddoto. Per i quattro anni in cui ha operato, ho partecipato ai lavori del Comitato Nazionale per le Celebrazioni della Nascita di Altiero Spinelli, padre dell’Europa e autore del Manifesto di Ventotene, in cui si sono susseguiti incontri, convegni, pubblicazioni, eventi. Fra questi ultimi un Premio da assegnare a chi si era distinto nell’ambito del Federalismo europeo. Nella splendida piazza di Marostica il 14 settembre 2008 il premio, consegnato al giornalista Giampiero Gramaglia, Direttore dell’Ansa, fu accompagnato da letture di alcuni brani scelti da me e dal Manifesto di Spinelli e da Sorte dell’Europa di Alberto Savinio. Ebbene il pubblico, pur molto addentro alle questioni europee e al pensiero e alle opere di Spinelli, non solo non distinse gli uni dagli altri, ma pensò che fossero tutti ascrivibili alla penna del Padre dell’Europa.

Naturalmente le differenze ci sono, eccome! E l’impianto prettamente storico-politico-economico del Manifesto ha un rigore e un peso più solidi e pragmatici del coltissimo Sorte dell’Europa, in cui spunti letterari, sociologici e filosofici, che pure prendono il via da osservazioni puntualmente storiche, allargano di molto gli orizzonti, mettendo in secondo piano talvolta fatti e prospettive concretamente perseguibili.

Ma l’Europa laica che sognano ambedue, “libera da dogmi e teocrazie”; la civiltà democratica che intravedono in un futuro prossimo – seppure in quei lontani anni in cui furono scritti i libretti (’41-‘42 per Spinelli, ‘43-‘44 per Savinio) ancora ammantata di utopia; il rifiuto perentorio del concetto di Stato, con connesse le mistificazioni legate al concetto di spazio vitale che si era sostituito, come osservava Savinio, a quello di indipendenza nazionale, e il sogno di un federalismo armonico; la fiducia nell’intelligenza dei popoli (che l’avrà vinta alfine sull’autorità e sulla sua volontà di assopirla nell’inedia e di zittirla per dominarla) e nel riscatto delle idee, dopo la ferocia nazionalista e reazionaria di una guerra imperialista …; il socialismo, infine, quale auspicio e unica strada da percorrere per invertire il corso conservativo imperialistico della storia… li accomunano. La soluzione per ambedue sarà allora quella di ricondurre gli uomini verso la vera civiltà e la vera civiltà non è che «un’Europa libera unita» di cui «l’era totalitaria rappresenta un arresto» perché il concetto di nazione “che alle sue origini era un concetto espansivo, e dunque attivo e fecondo e come tale ispirò di sé e informò le nazioni dell’Europa in mezzo alle quali noi siamo nati e abbiamo vissuto fino a ora, ha perduto ormai le sue qualità espansive e ha acquisito invece qualità restrittive. Ristretto e immiserito, questo concetto non ha più forza attiva ma è diventato passivo, non è più centrifugo, ma è diventato centripeto, non risponde più a idee di sviluppo, di accrescimento, di allargamento, ma obbedisce a idee di impoverimento, di restringimento, di riduzione: segno che il concetto nazione, quale lo concepivano coloro che fecero le nazioni, ha perduto nel frattempo le sue virtù”, perentoriamente affermava Savinio nel libello (Sorte dell’Europa, p. 21)

E’ facile capire perché Mussolini, non sapendolo inquadrare in categorie note (Dio sa se l’artista deprecava specializzazioni e categorie!),e volendo invece esprimere uno scarso apprezzamento, definì Savinio uno “sfasato” (Sorte dell’Europa, p.77). In effetti non c’era termine migliore per apostrofare questo artista a 360 gradi, che aveva conosciuto popoli e culture non sui libri, ma vivendoli, nomade nello spirito, laico e indipendente. Relativista per costituzione, dilettante per scelta, ironico per filosofia di vita; proiettato in dimensioni poetiche e ideologiche ben altre rispetto al suo presente; fiducioso in un futuro neanche immaginabile in mezzo alle smanie espansioniste della Germania di allora, Savinio era davvero da considerare fuori fase (storica) e fuori tempo! E per chi sapeva leggerlo, si presentava davvero come il prototipo dell’uomo europeo! Che dimostrava di pensare già “europeamente”!

Uno che aveva obliterato anche il nome anagrafico (Andrea de Chirico), ridendosela dell’identità personale; che amava le forme quadre e la freccia di Eraclito – ovvero cambiamenti e progresso – e detestava le forme circolari, chiuse, universalmente assimilate a simboli teocratici; che il concetto di Stato identificava con immobilismo, rassicurante e autistico (basta fare l’analisi linguistica del termine!) e schiavizzazione fideistica dei popoli; che nei regimi totalitari, infine, leggeva la variante terrena della teocrazia. E se Spinelli affermava: «Lo stato stabilisce quali debbano essere i loro fini[dei popoli] e come volontà dello stato viene senz’altro assunta la volontà di coloro che detengono il potere» (Manifesto di Ventotene, p.23) , Savinio, a sua volta scriveva: «quale senso può avere questa vasta crisi, quale altro senso e quale altro fine essa può avere se non la formazione della futura Europa, ossia il passaggio dall’attuale Europa divisa in nazioni in una Europa nazione unica?» (Sorte dell’Europa, p. 34).

Uomo europeo dunque Savinio, quando fermamente dichiarava che «la democrazia, come tante cose, era prima di tutto una forma mentale» e illuminatamente alla sua arte diede da subito un’impronta civica!

Uomo europeo, libero e liberale, che solo pochi privilegiati come Spinelli, Rossi, Colorni…avrebbero saputo riconoscere in quei lontani e loschi tempi bellici.

Ma Uomo europeo e coltissimo intellettuale era anche Altiero Spinelli, e lo fu già prima di presentarsi al mondo intero come padre dell’Europa e politico di razza; lui, autore – assieme a Ernesto Rossi – del famoso Manifesto di Ventotene per un’Europa unita e libera, punto di partenza e contributo fondamentale per il progetto federalista europeo. Se il nomade Savinio, aveva da giovane girato tutta Europa, il caparbio antifascista Spinelli aveva trascorso invece l’intera giovinezza in Italia, passando da carcere a confino, quale prigioniero politico. Per ben 16 anni, spostato da Roma a Civitavecchia, Viterbo, Lucca, Ponza e Ventotene, durante i quali imparò 5 lingue, lesse e scrisse lettere, saggi e riflessioni filosofiche, diari. Ma solo vari anni dopo la Liberazione si dedicò alla sua Autobiografia, Io Ulisse, come ho tentato di diventare saggio (1983-86) , che pure costituiva da sempre “il” progetto della sua vita, intersecato col Diario (che lo accompagnò dal ’48 alla morte), in cui spesso evocava l’aspirazione a scrivere il libro delle sue memorie come «una specie di confessione intellettuale», attraverso cui ricostruire il suo percorso «verso la lotta per il popolo europeo».

Non solo politico e intellettuale di grande statura, Spinelli, fu anche vero e proprio maitre a penser e scrittore di pregio, come si vede nelle splendide pagine dell’Autobiografia, e non soltanto.

«Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza…» l’epigrafe dell’autobiografia. Ebbene per lui virtute e conoscenza sono andati di pari passo fin dal primo giorno, risultando complementari e fondamentali per la sua formazione. Conoscenza come cultura fortemente interdisciplinare, nata dalla lettura – spesso in lingua originale- dei classici greci e latini, della letteratura italiana e straniera, della filosofia, della politica, delle scienze, della storia: letture che hanno avuto un gran peso nella costruzione della sua virtute umana e etico-politica, quella per intenderci, che sfocerà nel concetto di Europa come pace e democrazia.

Ed é proprio attraverso l’autoanalisi vigile e impietosa, unita alla lettura onnivora e al recupero di Ariosto e Omero, di Shakeaspere e San Paolo, di Machiavelli e Sant’Agostino, di Kant, Nietzsche, Hegel e Croce, di Majakovsky e Dostojevski, di Cartesio, Einstein, Planks, Jean Fabre, Stuart Mills…che Spinelli arriverà a conquistarsi una sua solida e aperta coscienza politica del mondo. La stessa che lo porterà a identificare nell’Europa l’unica prospettiva di pace e democrazia possibile.

L’uomo europeo, illuminista e laico, prima clandestinamente scrisse e fece divulgare il Manifesto (grazie a Ursula Hirschman, la moglie del compagno di esilio, Ernesto Colorni, che, incinta, poteva andare e venire da Ventotene), poi fondò il Movimento Federalista Europeo e infine stese il progetto del Trattato di Unione europea promosso nel 1984, che anticipò la costituzione europea recente e di cui Spinelli si definì semplicemente l’ostetrica che aveva aiutato il Parlamento a dar alla luce il suo bambino.

Spinelli scelse dunque per sé il nome di battaglia Ulisse e fece suo l’inflazionatissimo ma eternamente valido «Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza…»: anche per Savinio virtute e conoscenza, ovvero etica e gnoseologia, vanno a braccetto: l’arte ne segna il passo. Nei 21 pezzi “di carattere politico” scritti tra il 25 luglio ’43 e il 4 giugno ’44 che compongono Sorte dell’Europa, continuo è il rimando da storia a filosofia, da sociologia a letteratura a politica. Niente rigida unità di tempo di stampo aristotelico, bensì la libertà di movimento e variazioni sceniche che Shakeaspere e il cinema avevano regalato all’arte e alla vita. Unità di pensiero e riflessione dietro ogni pagina dello smilzo libretto, quella invece sì, corroborata da una capacità argomentativa e logica stringenti. Tre gli obiettivi: «Superamento del nazionalismo, esame razionale di alcuni aspetti della situazione presente e ricerca del loro cause, sguardo fiducioso alla sorte futura dell’Europa» (Sorte dell’Europa, p.12). E per cominciare bisogna liberarsi dal malanno della retorica, malanno endemico del nostro paese, che inficia vita, politica e letteratura: Hitler, Mussolini, D’Annunzio hanno le medesime colpe! Retorica come «strumento di imbonimento dei popoli durante tutte le dittature», ma anche retorica della verità unica.

«La retorica gonfia i concetti, li arrotonda, taglia a essi braccia e gambe, toglie a essi manichi e anse. E i concetti diventano immobili, ingombranti, ostacolanti. I concetti “chiudono l’orizzonte”» (Sorte dell’Europa, p. 50)

Con lungimiranza e intelligenza dei fatti e dell’umana indole, offre la sua risposta ai biechi esercizi muscolaristici ma anche, indirettamente, alle mire e sopraffazioni capitalistiche: «Ha un modo l’Europa di sopravvivere come Europa, ed è di porsi essa stessa nella condizione di supernazione, unendosi in una sola nazione nella quale tutto sarà al suo posto naturale, nella quale ogni parte sarà in funzione del tutto, nella quale ogni singolo europeo collaborerà al bene comune dell’Europa» (Sorte dell’Europa, p. 64), fuori dalle spire pangermaniste hitleriane (che preveggenza il nostro Savinio!)

«Si è mai accorto qualcuno che l’Europa sognata da Hitler era un’Europa concepita tolemaicamente, ossia un’Europa teocratica e simile del tutto alle antiche teocrazie dell’Asia?» (Sorte dell’Europa, p.35) si chiede Savinio. Cosa fare allora per sottrarvisi definitivamente e fare l’Europa “ naturalmente, umanamente, validamente?”

Bisogna liberarsi anzitutto del concetto tolemaico del mondo – che è concetto teocratico e dunque imperialista – liberarsi del concetto tolemaico in tutte le sue forme (che sono infinite) ed entrare nel concetto copernicano, ovvero democratico.

Se, in effetti, dovessimo estrarre dal ricchissimo sottosuolo speculativo saviniano il minerale più prezioso o nella sua produzione letteraria individuare il fil rouge e nella sua filosofia un principio fondante, non ci imbatteremmo ripetutamente – e quasi ossessivamente – che nella dicotomia tolemaico/copernicano. Fiume carsico che sottostà anche alle conclusioni argomentative di questo splendido pamphlet.

Indimenticabili le pagine di Scatola sonora in cui distingue la musica di Bach e Mozart, bella, ma ingabbiata in un “ infinito cristallizzato” da quella Evocativa di   Beethoven e Brahms, capace di «ricantare il canto cupo dei giganti» e di restituire Intera la gioia di sentirsi uomo, per spiegare la differenza tra la visione antropocentrico /tolemaica, sferica, immobile e cristallizzata, ove l’universo intero gira attorno alla terra e ad un presuntuosissimo uomo, e quella eliocentrico/ copernicana, aperta paritaria e democratica, che riconosce la centralità dei problemi dell’uomo, ma non dell’uomo tout court, e rimette in questione i rapporti tra fede e ragione, scienza e teologia, trascendenza e immanenza. Dove anche Cristo è uomo. E dove Dio, come qualsiasi autorità, diventa ostacolo al progresso.

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