Una Europa che reagisce con una nuova politica industriale?

L’invio da parte della Commissione Europea al Parlamento europeo di una Comunicazione in  materia di “Una politica industriale integrata per l’era della globalizzazione” , obbligherà i vari paesi ad assumere una posizione su questioni estremamente complesse e di grande rilevanza ai fini non solo della uscita dall’attuale crisi economica e sociale, ma  anche e soprattutto sul  come affrontare lo scenario internazionale e la necessità di una nuova qualità dello sviluppo. Questo sembra essere, sostanzialmente, l’ambizioso e impegnativo obiettivo del Documento: 36 cartelle supportate da due allegati, uno di 257 pagine contenente un Rapporto sulla competitività Europea e uno di 231 pagine sulle Performance competitive e sulle politiche dei singoli stati membri.
Poiché questo Documento viene a valle di quello – francamente deludente – in materia finanziaria, l’interesse risulta doppio poiché sembrava – e sembra tuttora – che con quella politica finanziaria fosse difficile se non impossibile una qualche politica industriale non solo positiva nei confronti dello sviluppo, ma anche attenta ad impostare in maniera concreta gli elementi di cambiamento dello sviluppo dal punto di vista dell’origine e qualità della domanda, della salvaguardia delle risorse e dell’ambiente, dello sviluppo dello stato sociale. In realtà il documento assume il non banale impegno di definire “un quadro che consenta, stabilendo obiettivi ambiziosi ma anche raggiungibili, di svincolare la crescita economica dalle emissioni di carbonio e dall’impiego delle risorse.”.  
Non viene esplicitamente affrontata la questione della distribuzione del reddito che, come è noto, rappresenta di per sé un condizione per qualificare positivamente un processo di crescita economica. Forse una battuta in materia non avrebbe fatto male, ma si tratta di una osservazione critica che entra già nel merito e che per ora rinviamo anche perché i compartimenti dell’Unione indicano che da altre Direzioni comunitarie sarà necessario verificare le politiche in materia di  welfare, di sviluppo sociale, ecc. Per ora prevale, peraltro, la prima impressione che è quella che nasce nel momento in cui dalle riflessioni sollecitate dalla lettura  del doc. dell’Unione, si rientra nelle realtà del nostro Paese; il senso di smarrimento è inevitabile  per l’evidente contrasto tra le problematiche dello sviluppo compatibile coniugate in termini di sviluppo competitivo e variamente apprezzabili o criticabili, e le questioni che si ritrovano sulle prime e seconde pagine dei nostri giornali. Occorre uno sforzo notevole per superare non solo il senso di disagio per la qualità di un Governo per il quale c’è solo da sperare che la crisi sia questione contingente, ma anche pensando al sistema degli attori chiamati  in causa in quel doc. europeo: il sistema delle conoscenze, il sistema finanziario, il sistema dell’imprenditoria e i sistemi di programmazione e, soprattutto, quel sistema rappresentato dal tessuto connettivo fatto di  istituzioni pubbliche efficaci ed efficienti, di norme, di capacità analitiche , di studio, e di controllo, ecc. . Tutto questo esiste da noi? 
Nel nostro Paese la componente privata di quell’insieme di sistemi ha la pretesa di dirigere e svolgere un ruolo determinante ma, in effetti si tratta una pretesa tutta politica oltrechè inconsistente: in buona misura inesistente è il sistema delle conoscenze scientifico-tecnologiche delle nostre imprese; il sistema finanziario predilige i rischi finanziari “garantiti” e non quelli d’impresa; il sistema della programmazione era una volta un dominio pubblico e di alcuni, pochi centri industriali, entrambi spariti da tempo dalle cronache; il tessuto istituzionale connettivo che dovrebbe sorreggere il tutto è stato smontato e annegato in omaggio al fai-da-te dell’impresa, ultima la scuola, l’Università e la ricerca.  E’ da alcuni lustri che il nostro sistema economico cresce meno della media dei paesi dell’Unione e questa minore crescita non è certo l’effetto di una politica di decrescita, ma in buona misura l’effetto di un sistema industriale che perde colpi in termini di qualità tecnologica, di arretrate rivalse sul lavoro, di assenza di vere capacità  imprenditoriali. Nel momento che si sta aprendo un tavolo di trattative col le OO.SS. e il Governo in materia di politica economica e industriale, sarebbe bene che dei riferimenti a questo Doc. della Commissione fossero tenuti presenti, se non altro per evitare di sancire un ulteriore passo indietro del nostro Paese.
    
Al di là del taglio politico – che si potrebbe sintetizzare nella formula di “progressismo conservatore” –  un documento quale quello dell’UE  sarebbe, per svariati motivi, inimmaginabile nel nostro Paese. Detto questo, però, resta aperta la questione di come affrontare  in positivo l’uscita dalla crisi, perché o questo Paese si aggrappa al nucleo forte dell’Unione, apportando anche dei possibili contributi critici, o la nostra marginalità economica difficilmente potrà evitare anche una ulteriore marginalità sociale e culturale. Insomma se sarebbe necessario dare una regolata a questo Paese per costruire il presupposto di uno sviluppo compatibile, sarebbe altrettanto necessario valutare criticamente l’azione dell’Unione nel momento stesso in cui mette in pista linee di politica industriale e strumenti, nonché risorse delle quali non potremo poi fare a meno.
C’è certamente in tutto il Doc. una forte impronta tedesca; anche il richiamo al ruolo sociale dell’impresa, che il Doc. si propone di sollecitare, fa parte di questo riferimento. Peraltro poiché il sistema tedesco è l’unico in Europa ad avere un qualche successo, sembra difficile da contrastare, anche perché se le critiche all’ottica germanocentrica e al conservatorismo di bilancio pubblico di quel sistema sono state fatte e sono fattibili, le alternative concrete sembrano prive di gambe. La questione a questo punto va ribaltata anche sulla Commissione perché la coerenza della politica finanziaria con questo Doc. di politica industriale è una questione che si pone proprio a quel livello. Anche su questo aspetto sarà necessario monitorare il seguito.
Una delle scelte centrali contenuta nel Doc. riguarda il come affrontare da un lato la tenuta occupazionale a fronte della concorrenza – particolarmente intensa in materia di costi del lavoro e costi sociali –  e dall’altra l’esistenza di situazioni importanti di sovrapproduzione anche a fronte di un allargamento della domanda mondiale “e a fronte di una domanda sempre più accesa in materia di fonti energetiche e di materie prime che si fanno più  rare”.
A parte la consueta confusione tra crisi climatica ed esaurimento delle materie prime, sulla quale prima o poi si dovrà intervenire, il Doc. della Commissione sembra fiducioso nei confronti della capacità dell’industria UE di far fronte a tali sfide, ma a questi fini l’azione politica “dovrà godere di appoggi a tutti i livelli, con l’attuazione di politiche sia orizzontali che settoriali, e richiederà una migliore gestione a livello europeo e un rafforzamento del dialogo sociale”. Naturalmente si spera che i primi appoggi arrivino proprio dall’Unione Europea, ma nel frattempo sarebbe opportuno che anche le responsabilità nazionali facciano la loro parte. Per ora in Italia non è così.    

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