Una gabbia di regole

Riccardo Zolea analizza i programmi di acquisto di titoli pubblici introdotti dalla Banca Centrale Europea per combattere l’emergenza COVID-19, mettendoli in relazione con gli altri programmi di acquisto titoli nell’ambito del Quantitative Easing. Dopo aver spiegato quale sia il principale criterio seguito per acquistare i titoli nell’ambito di questi programmi, Zolea ne illustra le criticità e riflette sulla necessità di un ripensamento del ruolo della politica monetaria.

Per comprendere le politiche monetarie che la Banca Centrale Europea (BCE) sta mettendo in atto per contrastare l’emergenza economico-sanitaria causata dal coronavirus, sono fondamentali i programmi di acquisto di titoli che la BCE ha varato il 12 e il 18 marzo 2020. La Decisione di politica monetaria del 12 marzo adotta varie misure, tra le quali spicca la “dotazione temporanea aggiuntiva di 120 miliardi di euro per ulteriori acquisti netti di attività […] sino alla fine dell’anno, assicurando un contributo notevole dei programmi di acquisto per il settore privato.”. Il 18 marzo 2020 la BCE ha annunciato un ulteriore programma di acquisto di titoli, il Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP), con un volume di 750 miliardi e una durata prevista fino a dicembre 2020.

Sostanzialmente siamo di fronte a un significativo potenziamento del Quantitative Easing (QE).

Il QE è una manovra di politica monetaria espansiva volta ad aumentare la liquidità di sistema tramite l’acquisto di titoli prevalentemente pubblici. Il volume di acquisti è stato di 60 miliardi di euro al mese tra marzo 2015 e marzo 2016, di 80 miliardi tra aprile 2016 e marzo 2017, quindi di nuovo di 60 tra aprile e dicembre 2017, poi di 30 tra gennaio e settembre 2018 ed infine di 15 tra ottobre e dicembre 2018. Il programma di acquisti è finito a gennaio 2019 e, grazie alla Decisione del 12 settembre 2019, è ripreso da novembre 2019 con un volume di 20 miliardi. Questi, uniti al PEPP e ai 120 miliardi della Decisione del 12 marzo, dovrebbero portare a un volume di acquisti mensile di circa 110 miliardi.

Più nello specifico, il QE è un programma di acquisto di titoli chiamato tecnicamente “Expanded Asset Purchase Programme” (APP). L’APP comprende il “Public Sector Purchase Programme” (PSPP), cioè l’acquisto di titoli in euro con una scadenza compresa tra 2 e 30 anni, emessi da Stati sovrani, agenzie dell’eurozona e istituzioni europee, il “Corporate Sector Purchase Programme” (CSPP), che riguarda l’acquisto di titoli di imprese non finanziarie di elevata qualità, e alcuni altri programmi già varati in precedenza, quali l’ABSPP (programma di acquisto di obbligazioni derivanti da operazioni di cartolarizzazione) e il CBPP3 (terzo troncone di acquisti di covered bonds). I titoli acquistabili devono avere un rating positivo minimo oppure devono essere emessi da Paesi aderenti a programmi di risanamento e assistenza finanziaria europea. In Tabella 1 si mostra il volume di titoli acquistati per ogni programma che costituisce l’APP.

L’acquisto di titoli pubblici, benché sul mercato secondario e non primario a causa del divieto imposto dagli articoli 123 e 125 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), comporta l’aumento del prezzo e la diminuzione del tasso d’interesse di questi titoli e dunque del servizio del debito degli Stati sovrani. In poche parole, il QE aiuterebbe gli Stati a mantenere una dinamica del debito pubblico non esplosiva e li difenderebbe dagli attacchi speculativi.

È innegabile che questo risultato sia stato in parte raggiunto, ma va osservato che gli acquisti di titoli avvengono, in gran parte, proporzionalmente alla partecipazione delle banche nazionali nel capitale della BCE (quota capitale o capital key), partecipazione che dipende a sua volta dal numero di abitanti e dal PIL dei vari Paesi. Non si segue dunque un criterio legato alle criticità dei vari Paesi, ma si acquistano più titoli di quelli popolosi e ricchi e meno di quelli piccoli e poveri. Sono però proprio i Paesi piccoli e poveri che hanno avuto i maggiori problemi di crisi del debito sovrano (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna) e che dunque avrebbero maggiormente bisogno di questi aiuti. La conseguenza, alquanto paradossale, è che il Paese più avverso al QE, cioè la Germania ricca e popolosa, è il Paese che ne ha maggiormente usufruito, a beneficio della sua economia. Ma c’è di più. La Grecia, che più avrebbe avuto bisogno del QE, è stata esclusa dal programma di acquisto di titoli pubblici perché giudicata non abbastanza affidabile. Tutto questo si può immediatamente ricavare dai dati mostrati nella Tabella 2.

In questo quadro vanno inserite le dichiarazioni della Presidente della BCE Christine Lagarde del 12 marzo 2020 in occasione del lancio del programma di acquisto di 120 miliardi, secondo cui ridurre lo spread tra i tassi sui titoli pubblici dei vari Paesi europei non è tra le funzioni della BCE. Benché recentemente sia cambiato il Presidente della BCE, da Mario Draghi a Christine Lagarde, una tale improvvisa virata rispetto all’impostazione del whatever it takes, in seguito in parte smentita e rientrata, è stata alquanto improvvida e inopportuna. Questa dichiarazione ha infatti portato a crolli in borsa e instabilità finanziaria, in parte riassorbiti dopo un aggiustamento di rotta da parte della BCE stessa: per l’emergenza coronavirus, sembra si sia deciso di effettuare gli acquisti di titoli anche secondo un criterio di necessità e di flessibilità; gli acquisti non dovranno rispettare con continuità i criteri della chiave capitale, ma dovranno solamente convergere a questi al termine del programma. Inoltre, sei giorni dopo queste dichiarazioni, è stato lanciato il PEPP, caratterizzato da un volume di acquisti piuttosto considerevole (750 miliardi), da requisiti di garanzia sui titoli allentati e da un più ampio spettro di titoli acquistabili nel settore societario. Nell’ambito del PEPP sarà possibile acquistare anche i titoli pubblici greci, in deroga ai requisiti di ammissibilità; per il resto i titoli acquistabili sono quelli che rientrano nell’ambito dell’APP (per quanto riguarda i titoli pubblici essi saranno acquistati ancora una volta in base alla chiave capitale, con possibilità di flessibilità).

Tuttavia, è singolare che Lagarde, la BCE, nonché Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia, abbiano sottolineato l’aspetto della flessibilità della regola della chiave capitale. Infatti, questo tipo di flessibilità è già prevista per il funzionamento del QE, almeno per quanto riguarda il PSPP, che, come si può vedere dalla Tabella 1, è sostanzialmente la spina dorsale dell’APP per volume di acquisti. Dal sito di Banca d’Italia:

Gli acquisti nell’ambito del PSPP sono eseguiti dalla BCE per il 10 per cento del totale e dalle BCN per la restante parte rispettando, per i titoli emessi dai paesi membri dell’area dell’euro e da alcune entità riconducibili alla sfera pubblica dei medesimi paesi, il principio della chiave capitale. Tale principio non implica il rispetto di limiti rigorosi nella ripartizione degli acquisti netti mensili, in un’ottica di flessibilità nell’attuazione del programma.

Sulla questione della chiave capitale, due ipotesi sono dunque possibili.

La prima è che per ovviare ai disastri creati dalle parole di Lagarde si sia parlato di flessibilità nell’acquisto dei titoli come di un’arma segreta e potentissima, mentre si tratta semplicemente di applicare la regola utilizzata per i titoli pubblici (PSPP) ai titoli che saranno acquistati nell’ambito dei 120 miliardi di cui sopra, nonché a quelli pubblici acquistabili tramite il PEPP. In pratica, si tratterebbe di un tentativo di sviare l’attenzione, abbastanza rischioso e inutile, in verità, se qualcuno andrà a vedere il bluff (si veda per esempio l’appello di 110 economisti italiani che chiedono esplicitamente di abbandonare la regola della quota capitale e di effettuare gli acquisti di titoli “in base alla necessità di contrastare la speculazione”).

La seconda ipotesi (quella che sembra essere stata accolta dalla maggior parte dei media) è che effettivamente, tramite l’utilizzo di una scappatoia, ci si voglia allontanare di molto dalla prassi precedente ed avviare un acquisto di titoli più mirato e improntato a criteri di necessità. Tuttavia, l’attuale dibattito tra i vari governi europei su ulteriori possibili strumenti di intervento a livello europeo non sembra dare molto credito a questa ipotesi ed evidenzia al contrario il problema dell’assenza per molti Paesi UE dello scudo di una banca centrale contro la speculazione.

Qui sorge spontanea una domanda: perché il QE è stato sostanzialmente applicato finora secondo la regola della chiave capitale e oggi si apre questo dibattito? Perché la crisi dei debiti sovrani e la recessione economica non sono state ritenute abbastanza gravi da improntare la politica monetaria a criteri più specifici e appropriati?

È difficile rispondere a questa domanda e le implicazioni sono piuttosto inquietanti.

Silent enim leges inter arma, di fronte all’emergenza del coronavirus si rende necessario uscire dai soliti schemi di interpretazione e applicazione pedissequa delle varie regole europee. L’alternativa sarebbe avere risultati disastrosi in termini economici e di vite umane perse. Sarebbe la fine dell’euro e della stessa Unione Europea.  Seguendo dunque la massima cambiare o morire, la BCE sembra tentare di optare per il cambiamento.

La crisi del 2008 e quella successiva dei debiti sovrani, evidentemente, non erano sufficientemente gravi per far cambiare l’interpretazione delle regole europee. La sofferenza dei popoli, come quello greco, portoghese o irlandese, è stata ritenuta accettabile o peggio irrilevante.

Con la fine della presente crisi economico – sanitaria si impone la messa in discussione delle regole, delle politiche, delle impostazioni, delle idee e dei paradigmi economici attuali. È impellente che lo stato riprenda un ruolo attivo nell’economia. La politica monetaria deve avere come obiettivo quello di difendere i Paesi dagli attacchi speculativi, affiancando la politica fiscale, che deve riprendere il ruolo di protagonista nella politica economica, la quale dovrà avere come scopo la ricostruzione delle economie dei Paesi colpiti dal virus. Fondamentale sarà il dibattito teorico volto a capire e riconoscere gli errori che hanno portato a istituire un sistema di regole che si è dimostrato incapace di affrontare momenti d’emergenza come quello che stiamo vivendo. Bisogna rimettere al centro dello studio dell’economia l’uomo e le sue necessità materiali. Et tout le reste est littérature…

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