Una nuova rete di studiosi in Italia: nasce l’Italian Post-Keynesian Network (IPKN)

Salvatore Perri e Riccardo Zolea danno conto della nascita dell’Italian Post-Keynesian Network (IPKN), una rete di studiosi Post-Keynesiani collegata alla più ampia comunità della Post Keynesian Economic Society (PKES). La rete si propone di aprire uno spazio di confronto aperto a quanti, studiosi e studenti, non si riconoscono nell'economia mainstream e di contribuire anche attraverso il rinnovamento delle teorie “eterodosse” e la competizione delle idee a migliorare la qualità della ricerca scientifica e ad ampliare il panorama dei “mondi possibili”.

Nello scorso mese di novembre si è svolta la prima iniziativa di un nuovo gruppo di studio, del quale facciamo parte: l’Italian Post-Keynesian Network (IPKN), una rete di studiosi post-keynesiani in connessione con la più ampia comunità della Post Keynesian Economic Society (PKES) e in controtendenza rispetto al clima di conformismo scientifico e conservatorismo metodologico che da alcuni decenni caratterizza il dibattito economico italiano. L’approccio critico che IPKN vuole portare avanti si basa sui contributi di Karl Marx, Rosa Luxemburg, John Maynard Keynes, Joseph Schumpeter, Michał Kalecki, Joan Robinson, Nicholas Kaldor e Piero Sraffa. Con il primo workshop, tenutosi il 27 novembre 2020, è iniziato il ciclo delle attività pubbliche della rete, che nasce con l’obiettivo di rappresentare un luogo ed un momento di incontro di tutte quelle ricercatrici e quei ricercatori che operano e svolgono i loro studi nell’ambito dell’economia Post-Keynesiana.

Le motivazioni che determinano la necessità di creare questo spazio sono molteplici, e tutte di vitale importanza. In primo luogo, la pervasività nel dibattito scientifico di un’unica scuola teorica di derivazione neoclassica ha determinato delle conseguenze deleterie sia nella comunità scientifica, sia nel rapporto tra economisti e decisori delle politiche economiche. La stessa creazione dell’Unione Europea, nelle modalità di determinazione delle regole di accesso al mercato unico, e nella gestione delle politiche di bilancio, ha subito pesantemente l’influenza di scuole di pensiero che si sono rivelate fallaci nelle previsioni e incapaci di guidare un vero processo di integrazione sociale e di progresso economico tra i paesi dell’Unione. Dall’omologazione ad un pensiero unico erroneamente percepito come “corretto”, sono scaturite altre conseguenze in merito al funzionamento delle scuole economiche negli Atenei italiani. Tutti gli studiosi che non si riconoscono nel paradigma prevalente rischiano di finire ai margini, etichettati come “eterodossi”, in una accezione negativa del termine, quando invece il termine “eterodosso” vuole semplicemente significare l’utilizzo di metodologie diverse, di impostazioni ed interpretazioni, anche interdisciplinari, che consentano di ampliare il panorama dei “mondi possibili”.

La marginalizzazione degli approcci diversi dal prevalente ha effetti concreti nella vita degli studiosi soprattutto nei primi anni della loro formazione, quando devono scegliere se aderire all’ortodossia o scegliere la libertà di conduzione delle proprie ricerche, col rischio di rimanere isolati e privi di risorse significative, in quanto anche la distribuzione dei fondi risente dello stesso condizionamento. In un contesto come quello italiano nel quale i fondi alla ricerca scientifica vengono falcidiati da decenni nel disinteresse generale dell’opinione pubblica, è inevitabile che a rimanere fuori siano proprio coloro che non seguono il filone teorico prevalente. Questo meccanismo impoverisce enormemente la cultura economica di un paese, quando invece è proprio il confronto e la verificabilità delle idee il motore del progresso scientifico. Lo stesso meccanismo perverso è visibile per i fondi di ricerca, ma anche nell’organizzazione ed istituzione dei corsi di contenuto economico all’interno dei percorsi di studio delle lauree triennali, magistrali, nonché di specializzazione post-laurea, all’interno dei quali sempre più spesso prevale un approccio basato sull’empirismo senza teoria. Lo testimonia, per esempio, la forte riduzione del numero di corsi di Storia del Pensiero Economico negli Atenei italiani, che impedisce agli studenti di venire a conoscenza della pluralità e varietà di posizioni nel dibattito economico. Per queste ragioni la Rete Italiana Post-Keynesiana si pone come uno spazio aperto, plurale, nel quale le ricercatrici e i ricercatori, i docenti, gli studenti, possono confrontarsi e scambiare idee, prospettive e metodi, accrescendo il livello della cultura economica e facilitando la sua divulgazione all’opinione pubblica.

La struttura del primo workshop IPKN tenutosi il 27 novembre (necessariamente in via telematica a causa delle restrizioni legate alla pandemia di Covid-19), rispecchia le finalità per le quali è stata concepita la rete. Claudia Fontanari (Università degli Studi Roma Tre), e Eugenio Caverzasi (Università degli Studi dell’Insubria) hanno aperto i lavori introducendo la rete ed il convegno. A seguire vi sono stati i saluti di Engelbert Stockhammer (King’s College London), membro senior della Post-Keynesian Economics Society (PKES), che oltre a evidenziare le difficoltà dei giovani studiosi non ortodossi, ha insistito sui limiti del pensiero mainstream e sulle opportunità che si potrebbero aprire per quello Post-Keynesiano. La prima parte del workshop si è concentrata sulla presentazione dei lavori di dottorande/i e giovani ricercatori e ricercatrici: Maria Cristina Barbieri Goes (Università degli Studi Roma Tre), Francesco Ruggeri (LUISS Guido Carli), Andrea Borsato (Università degli Studi di Siena). Alle presentazioni hanno fatto seguito gli interventi dei discussant Riccardo Pariboni, Davide Romaniello e Federico Bassi. Nella seconda parte si è svolta la tavola rotonda Economia e pandemia: quale contributo può offrire la teoria economica post-keynesiana con Emiliano Brancaccio (Università degli Studi del Sannio), Annamaria Simonazzi (Sapienza Università di Roma) e Andrea Terzi (Franklin University Switzerland e Levy Economics Institute), moderata da Marco Veronese Passarella (University of Leeds). Ha concluso infine Daniele Tori (The Open University Business School).

Nella tavola rotonda i temi principalmente discussi sono stati gli effetti economici della pandemia di Covid-19 in corso e le prospettive dell’impostazione Post-Keynesiana nel panorama economico attuale, nonché il suo rapporto con l’economia mainstream. Piuttosto che un ripensamento dei paradigmi economici tradizionali dovuto alle varie crisi di questi anni, sembra che l’economia mainstream stia tentando di incorporare parti delle impostazioni eterodosse, soprattutto le metodologie, svuotandole però del loro significato innovativo.

Altri argomenti centrali della tavola rotonda sono stati quello del ruolo dell’Unione Europea nell’attuale crisi economico-sanitaria ed i limiti delle politiche di contrasto alle crisi in un contesto in cui prevalgono gli impianti teorici neoclassici.

Molte sono le iniziative già in programma, dai workshops nei quali i giovani ricercatori presentano le proprie ricerche, alle presentazioni di libri con gli autori, alle tavole rotonde e ai dibattiti fra studiosi.

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