ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 215/2024

13 Maggio 2024

Verso l’eccellenza inclusiva nell’istruzione e nella formazione professionale

Tiziano Treu ragiona sulle sfide che l’esigenza di formare nuove competenze per l’economia digitale e verde pone al sistema dell’istruzione e della formazione professionale e, in particolare, alle istituzioni ad esse preposte. Treu sostiene che obiettivo primario è evitare il rischio che il divario digitale aggravi le disuguaglianze fra individui. A tal fine, la formazione continua deve divenire un diritto di tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status contrattuale.

“Nuove forze stanno trasformando il mondo del lavoro” (ILO). Le tecnologie digitali sono una delle principali spinte al cambiamento, alimentate da un protagonista ancora in gran parte sconosciuto, l’intelligenza artificiale. La transizione ecologica è un’altra tendenza che potrebbe rivoluzionare i modi di produzione. Queste forze dirompenti stanno influenzando le nostre vite. non solo la quantità e la qualità del lavoro. 

Documenti internazionali ed europei affermano il principio del controllo umano su queste forze (cfr. The Working Platform Directive, approvata dal Parlamento Europeo i 24/4/2024 e ILO, Negotiating the algorithm). Una sfida importante è come attuare e rendere efficace questo principio nel mondo delle relazioni sociali e di lavoro. La regolamentazione è importante, ma consentire alle persone di essere consapevoli e reattive alle sfide di queste transizioni epocali lo è di più. A tal fine, istruzione e formazione sono essenziali. Il Rapporto della Commissione Globale, approvato a giugno 2019 dalla conferenza dell’ILO, lo ha confermato proponendo una “agenda centrata sull’uomo per il futuro del lavoro”. Secondo il rapporto, un primo e importante pilastro d’azione di questa agenda consiste nell’“aumentare gli investimenti nelle capacità delle persone”, che comprende un “diritto universale all’apprendimento permanente che consenta alle persone di acquisire competenze e di aumentarle”.

Le implicazioni di questa dichiarazione sono così ampie da richiedere cambiamenti fondamentali in tutti gli aspetti dell’istruzione, dalla prima infanzia e dall’istruzione di base fino alla formazione degli adulti, includendo non solo l’apprendimento formale ma anche quello informale.

Il dialogo sociale continuo è necessario per raggiungere due obiettivi fondamentali che devono caratterizzare sistemi di istruzione e formazione efficaci ed equi. Il primo è quello di garantire l’accesso universale all’apprendimento permanente, in particolare alle persone più svantaggiate; il secondo è massimizzare la capacità della formazione di promuovere la diffusione e la qualità della buona occupazione.

Le strategie generali e gli obiettivi stessi dell’istruzione dovranno essere riconsiderati. Molti approcci standardizzati ereditati dal passato sono incompatibili con gli scenari volatili e incerti dell’economia e del lavoro.

La formazione dei lavoratori e degli adulti richiederà una maggiore capacità delle istituzioni educative di adottare modalità flessibili nei loro programmi, pur mantenendo coerenza e aderenza alle principali tendenze del mercato del lavoro e delle competenze richieste. Infatti, l’identificazione delle competenze attuali e future diventerà, sempre più, essenziale per adattare gli obiettivi e i curricula formativi, l’offerta di competenze e, di conseguenza, per promuovere l’occupabilità. 

Un’altra sfida riguarda il mix di competenze da promuovere nei diversi livelli e tipi di corsi. Questo non è un problema nuovo, ma anche qui lo scenario di cambiamento della produzione e del lavoro drammatizzerà la scelta. 

È richiesta una grande specializzazione delle competenze per rispondere alle esigenze di settori nuovi e altamente specializzati. D’altra parte, le tecnologie e le produzioni in rapido cambiamento rendono rapidamente obsolete le competenze specifiche. Ecco perché la ricerca e le migliori pratiche suggeriscono di combinare la formazione specifica per le competenze, in particolare quelle richieste dalla transizione digitale e verde, con il mantenimento di un ruolo maggiore per la conoscenza di base e le competenze trasversali fondamentali. 

È altrettanto significativo il riconoscimento, nei documenti prima citati, che l’educazione e l’apprendimento permanente non dovrebbero limitarsi alle competenze necessarie per lavorare, ma dovrebbero anche contribuire a sviluppare le capacità delle persone. 

Questo è un concetto molto più ampio rispetto all’esperienza professionale. Include la quantità di conoscenze e intuizioni necessarie per navigare nell’ambiente complesso e mutevole delle società attuali e per partecipare a una società democratica. La realizzazione di questi nuovi e impegnativi compiti richiederà condizioni strutturali e finanziarie adeguate, come la disponibilità di tecnologie innovative, connettività internet e accesso alle attrezzature. Ancora più importante è fornire una formazione estesa e salari adeguati agli insegnanti dedicati ai nuovi programmi. 

Anche se i caratteri rilevanti per la qualificazione dei “lavori verdi” sono variamente apprezzati dalle statistiche del lavoro nazionali e dagli esperti, la maggior parte di essi richiederà competenze diverse da quelle prevalenti nell’economia tradizionale. Secondo le stime italiane condivise tra CNEL e il sistema informativo delle Camere di Commercio, saranno richieste competenze verdi di livello medio per la grande maggioranza dei futuri lavori (60%) e di alto livello per il 37%.

 Per evitare l’obsolescenza professionale e mettere anche gli adulti in grado di sfruttare le potenzialità delle nuove tecnologie, il Piano di Azione per l’attuazione del Pilastro europeo dei diritti sociali richiede che entro il 2030 almeno il 60% degli adulti partecipi ogni anno a corsi di formazione, E che l’80% acquisisca e padroneggi le competenze digitali di base. 

Le nostre nazioni sono chiamate a uno sforzo simile a quello richiesto in passato per combattere l’analfabetismo di massa. Ora l’obiettivo è evitare il rischio che il divario digitale aggravi le disuguaglianze sociali e personali che hanno già impoverito le nostre società.

Raggiungere questi obiettivi richiede un salto nella quantità di formazione da fornire, perché la percentuale media dei partecipanti in Europa è ancora lontana dall’obiettivo (gli ultimi dati indicano una percentuale del 38%), e in Italia è ancora più bassa, intorno all’11%. Saranno necessarie innovazioni nel contenuto dei corsi, che dovranno essere mirati alle competenze necessarie nella nuova e complessa economia.

Nel prossimo futuro gran parte della formazione continua dovrà essere garantita ai lavoratori espulsi dalle imprese e dai settori interessati dalle due transizioni, per renderli idonei ai nuovi posti di lavoro. Si stimano centinaia di migliaia di individui, ben al di sopra dei tradizionali partecipanti alla formazione continua. Inoltre, ai lavoratori in formazione e in transizione da un lavoro all’altro si dovrà garantire un sostegno economico, in modo che le future massicce transizioni siano giuste, cioè socialmente sostenibili.

Ma questa funzione non si limita ai lavoratori in mobilità, perché le transizioni verde e digitale implicheranno un frequente cambiamento del mix di competenze anche per i lavoratori stabilmente occupati nella stessa impresa.

La riqualificazione (reskilling) sarà probabilmente un’esperienza comune alla maggior parte dei lavoratori e l’ampliamento delle competenze (upskilling) sarà perseguito dalle imprese per migloiorare la qualità del proprio capitale umano.

Sostenere queste nuove funzioni richiederà risorse senza precedenti, provenienti dal bilancio pubblico ma con contributi del settore privato. Potranno essere chieste non solo alle imprese coinvolte nella transizione; fondi di solidarietà vengono promossi, in varie forme, dalle parti sociali.

Le risorse destinate a questo scopo costituiscono un buon investimento e dovrebbero essere considerate come tali, non come costi. 

Per soddisfare le esigenze di competenze per l’economia digitale e verde sarà necessario anche rafforzare o rinnovare le istituzioni competenti.

Le istituzioni dedite alla formazione continua hanno la necessità di migliorare le proprie strutture e il proprio personale. Ciò è particolarmente necessario dove, come in Italia, il loro status e il loro ruolo sono stati fortemente sottovalutati.

Le riflessioni qui condotte forniscono una giustificazione concreta dell’idea che la formazione continua dovrebbe essere un diritto di tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status contrattuale. E le istituzioni pubbliche e gli attori sociali dovrebbero fornire gli strumenti per garantire il pieno esercizio di questo diritto. Sebbene si tratti di un obiettivo generale, la sua attuazione richiederà approcci diversi in base ai diversi bisogni delle persone e alle condizioni dei diversi settori dell’economia e della società.

Vorrei citare alcuni casi in cui l’attuazione di questo diritto personale incontra specifiche difficoltà.

Uno è la condizione dei giovani nel passaggio dalla scuola al lavoro. In molti paesi europei la disoccupazione giovanile è superiore a quella media degli adulti (in Italia è il triplo) e un gran numero di loro non ha lavoro né istruzione.

Questo passaggio è critico per diverse ragioni, a cominciare dalle condizioni familiari, dal contesto economico e dalle insufficienti opportunità formative loro offerte, abbinate spesso all’abbandono scolastico precoce.

È importante fornire a questi giovani sistemi efficaci di transizione scuola-lavoro, che comprendano stage organizzati in collaborazione tra scuola e impresa, seguiti da forme generalizzate di apprendistato, il tutto preceduto da un orientamento didattico organizzato e supportato da percorsi finalizzati di formazione.

L’esperienza dei paesi europei che hanno implementato questi sistemi conferma che essi contribuiscono notevolmente a ridurre la disoccupazione giovanile e a facilitare un adeguato ingresso nel mercato del lavoro.

Il rapido invecchiamento della popolazione e dei lavoratori è un altro caso che pone nuovi problemi alle istituzioni pubbliche e alle parti sociali: adattare la maggior parte delle politiche e degli interventi ai bisogni e alle capacità dei lavoratori anziani, che sono diversi da quelli prevalenti in passato.

La promozione dell’invecchiamento attivo richiede un approccio globale che abbracci tutti gli aspetti delle condizioni del lavoratore e dell’organizzazione del lavoro.

 Questo aspetto viene spesso ignorato a causa di un pregiudizio diffuso secondo cui la capacità di apprendimento dei lavoratori anziani è talmente ridotta da scoraggiare gli investimenti nella loro istruzione, spesso anche molti anni prima dell’età pensionabile.

Al contrario, le buone pratiche di imprese confermano che adattare l’organizzazione del lavoro, compresi i regimi di orario, alle condizioni personali dei lavoratori anziani, e formarli in modo da valorizzare le loro capacità, può prolungarne l’occupazione e migliorarne la salute. 

Anche soluzioni di pensionamento graduale possono contribuire allo stesso scopo e consentire ai lavoratori senior di dedicare tempo al trasferimento della propria esperienza e conoscenza alle giovani generazioni.

Un terzo fenomeno critico e relativamente nuovo è lo squilibrio tra domanda e offerta di competenze che si sta verificando in molti settori e aziende.

La nuova agenda delle competenze per l’Europa riporta che il 40% dei datori di lavoro ha difficoltà a trovare persone con le competenze necessarie per crescere e innovare, anche se, secondo altre fonti (cfr. Mcguinnes et al.), la carenza di competenze è inferiore e parte delle difficoltà incontrate dalle imprese potrebbe essere legata a bassi salari e condizioni di lavoro o strategie di reclutamento poco attraenti. 

 Ad ogni modo, le dimensioni e la diffusione dello skill mismatch sono fonte di crescente preoccupazione per il grande spreco di talenti umani e i danni che ne derivano all’economia e alla società.

L’Unione Europea ha posto le competenze al centro della sua agenda politica e ha promosso un patto comune per le competenze, il cui primo obiettivo è garantire che le competenze corrispondano alle esigenze dei datori di lavoro e alle aspirazioni e alle competenze delle persone.

Vorrei avanzare alcuni suggerimenti tratti dall’esperienza italiana.

Alcune ragioni strutturali della sotto e della sovra-istruzione sono legate alla difficoltà del sistema scolastico, in particolare dell’istruzione superiore, a tenere il passo con la velocità del cambiamento dei mercati del lavoro e dell’economia. 

Alcuni Stati stanno promuovendo uno scambio sistematico di informazioni tra il sistema scolastico, le imprese e le istituzioni del mercato del lavoro allo scopo migliorare la reattività delle istituzioni educative alle esigenze emergenti del mercato del lavoro, non solo aggiornando i programmi di studio, ma anche migliorando l’orientamento professionale e i servizi di consulenza.

Le agenzie di formazione professionale più vicine al mercato non possono sostituire le iniziative delle scuole, ma possono facilitare questo scambio e integrare i programmi per allinearli alle esigenze del mercato, almeno per alcuni settori e per colmare le lacune e le carenze di competenze più urgenti. Svolgere questa funzione richiederà anche qui un nuovo approccio e risorse adeguate.

Le difficoltà di reclutamento possono essere dovute anche ad altri motivi, ad es. per alcuni lavori, in particolare nel settore terziario, l’incapacità di offrire le retribuzioni e le condizioni di lavoro necessarie.

Infine un motivo che sta diventando importante, soprattutto in Italia, è la ridotta dimensione della forza lavoro disponibile nell’età centrale, a causa del rapido calo della natalità.

Questa situazione di emergenza ha stimolato non poche reazioni soprattutto da parte delle imprese di medie e grandi dimensioni, come risulta anche dalle analisi del Cnel (R. Parrotto, Mismatch nel mercato del lavoro, Cnel, Rapporto sul mercato del lavoro, 2022).

Molte aziende hanno moltiplicato le convenzioni con istituti tecnici e università per accogliere gli studenti più vicini ai loro fabbisogni di competenze con l’intento di assumerli in varie forme, apprendistato in primis, e di dedicare loro formazione finalizzata al completamento delle competenze richieste

Le stesse aziende hanno istituito o rafforzato le proprie strutture formative interne, spesso in collaborazione con le scuole e università, con l’obiettivo di anticipare i futuri fabbisogni di competenze dei propri dipendenti e a prevenirne l’obsolescenza.

In conclusione, siamo di fronte a una sfida impegnativa e decisiva. Per affrontarla nel modo migliore occorre l’impegno e la consapevolezza di tutti gli attori decisivi per il funzionamento del mercato del lavoro. 

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