All’origine delle istituzioni del Mezzogiorno

Questo numero del Menabò, il primo dopo la pausa estiva, si apre con un contributo di Ugo Pagano che, esaminando criticamente alcuni recenti contributi sul tema, illustra i complessi rapporti che intercorrono tra istituzioni e sviluppo economico e ne mostra l’importanza per comprendere la storia del Mezzogiorno. In particolare, Pagano sostiene che all’affermarsi di un’istituzione “estrattiva” come la Mafia non è stata estranea l’azione di un paese con istituzioni “inclusive” come l’Inghilterra.

L’idea, piuttosto diffusa, che a frenare lo sviluppo del Meridione d’Italia siano le istituzioni può apparire poco fondata, considerando che molte istituzioni sono comuni a tutto il paese. Nel loro recente lavoro sul ruolo delle istituzioni nel determinare il successo o il fallimento delle Nazioni, Acemoglu e Robinson (Perché le Nazioni falliscono, 2013), pur privilegiando l’analisi comparata tra paesi, offrono spunti interessanti sulla diversità delle istituzioni all’interno di uno stesso paese. Felice (Perché il Sud è rimasto indietro, 2014) ha sottolineato la rilevanza del loro lavoro per spiegare il divario (economico e istituzionale) fra Nord e Sud di Italia.

Acemoglu e Robinson mostrano che le istituzioni possono formarsi in congiunture storiche particolari (spesso grazie a eventi in apparenza ben poco rilevanti) e possono poi consolidarsi tanto da resistere alle rivoluzioni dirette a rimuoverle. I due autori contrappongono, in modo un po’ manicheo, le istituzioni inclusive a quelle estrattive; entrambe opererebbero sia nella sfera politica sia in quella economica. Le istituzioni politiche inclusive danno, a differenza di quelle estrattive, potere decisionale a una parte rilevante della popolazione e devono quindi assicurare la composizione di una pluralità d’interessi. Le istituzioni economiche inclusive assicurano che dei benefici delle attività economiche si appropri una gran parte della popolazione; perciò esse necessitano dello sviluppo economico più di quelle estrattive che si limitano a redistribuire risorse agli avvantaggiati.

Pur ricco di interessanti intuizioni, il lavoro di Acemoglu e Robinson presenta alcuni limiti. In primo luogo, se è vero che la natura (estrattiva o inclusiva) delle istituzioni influenza lo sviluppo economico, è anche vero che quest’ultimo può condurre a coalizioni e istituzioni più inclusive. In secondo luogo, in un mondo segnato da conflitti economici e militari, le istituzioni estrattive e inclusive possono essere tra loro complementari: le Nazioni con istituzioni più inclusive si sono spesso impegnate a creare istituzioni estrattive che hanno permesso loro di avvantaggiarsi sulle altre. Quindi, il grado di estrattività/inclusione delle istituzioni dipende spesso dai confini della popolazione considerata. Il libro sembra assumere la Nazione come unità di riferimento; tuttavia, l’ attenzione per la letteratura sulla Nazione, a iniziare dai fondamentali contributi di Gellner, è scarsa, e questo è il terzo limite. Quella letteratura suggerisce che le Nazioni lungi dall’essere perimetri istituzionali esogeni possono essere il prodotto di istituzioni inclusive che popolarizzano una cultura di élite all’interno di un territorio.

Per Gellner le società agrarie sono caratterizzate da due fattori che si rafforzano a vicenda: un’elevata diversificazione culturale (sia orizzontale fra regioni, sia verticale fra classi sociali) e una forte immobilità sociale ed economica. Nel mondo agrario le Nazioni (intese come istituzioni che sovrappongono comunità etniche e politiche) non esistono. L’unità culturale ed etnica non è rilevante ai fini della definizione delle unità politiche, che cambiano con guerre di conquista e opportuni matrimoni reali. perché su formi una Nazione occorre che una cultura elevata si popolarizzi su un certo territorio. Ne sarebbe favorita la mobilità sociale ed economica che a sua volta contribuisce alla formazione di una cultura nazionale omogenea.

Il grado d’inclusività delle istituzioni è, dunque, esso stesso il risultato di un processo d’inclusione culturale, che consiste in un matrimonio tra una cultura di élite e un’entità politica che diventa Stato-Nazione. La Nazione si è formata per prima dove erano presenti sia lo sposo che la sposa (caso I, quello della Francia e dell’Inghilterra); quindi dove era presente una cultura di elite senza plausibili rivali ma mancava lo sposo cioè un’entità politica unica di riferimento (caso II, quello di Italia e Germania). E’ anche possibile che siano assenti entrambi i potenziali sposi (caso III): più culture ed etnie competono per diffondersi nella stessa area e i tentativi di formare una Nazione possono comportare miseria, esclusioni e in alcuni casi, insopportabili pulizie etniche.

Gellner accomuna Germania e Italia come casi in cui il processo d’inclusione in una stessa entità politica di popolazioni che riconoscevano come dominante una stessa cultura ha richiesto un processo di unificazione nazionale. Tuttavia, come nota Felice, questo processo è stato diverso nei due paesi. In Germania l’ unificazione è stata costruita intorno al suo stato più grande mentre in Italia lo stato più esteso e popoloso , il Regno delle due Sicilie, è stato conquistato dai piemontesi. Inoltre l’unificazione ha creato e/o aumentato quel divario fra il Sud e il resto dell’Italia, che non ha mai smesso di attirare l’attenzione di politici e studiosi. Le sue prime cause sono state individuate nella geografia (Fortunato) e nel trasferimento post-unitario di risorse verso il Nord (Nitti). Sono poi affiorati (in particolare con Salvemini e Gramsci) i temi, divenuti poi classici del meridionalismo, delle istituzioni e della struttura sociale . Questi temi sono stati ripresi da Felice che li ha arricchiti con accurate analisi empiriche e spunti tratti da Acemoglu e Robinson. In particolare, egli sostiene che il divario istituzionale è nato dalla risposta repressiva dai Borboni alla rivoluzione del 1848 e dalla loro successiva incapacità di fronteggiare il vuoto legislativo e di potere creatosi nel Meridione (e in particolare nella Sicilia occidentale).

A mio avviso l’analisi di Felice risente di alcuni limiti, riconducibili a Acemoglu e Robinson, ,che, come si è visto, sottovalutano (i) sia il rapporto bidirezionale fra istituzioni e occasioni di sviluppo (ii), sia il rapporto conflittuale e di complementarità fra le istituzioni inclusive di alcuni paesi e quelle estrattive di altri paesi e, inoltre, (iii) non approfondiscono il concetto di Nazione come perimetro di analisi delle istituzioni.

Rispetto al punto (i), nel Regno borbonico il rapporto fra istituzioni e occasioni di sviluppo presenta, nella prima metà dell’800, luci e ombre. Mentre l’agricoltura meridionale continua a esportare beni nel nord dell’Italia, le nuove occasioni sono legate allo sviluppo della rete ferroviaria e delle navi a vapore. Il Regno non ha solo inaugurato la prima linea ferroviaria italiana, esso è l’unico Stato italiano che produce, a Pietrarsa, locomotive e materiale ferroviario. Il carattere montuoso del territorio, efficacemente enfatizzato da Fortunato, impedisce, però, che la rete ferroviaria si sviluppi come a Nord. La navigazione a vapore offre invece notevoli vantaggi anche per la crescente importanza del Mediterraneo, soprattutto nella prospettiva di aprire il canale di Suez. Il Regno è molto attivo nel varo delle navi a vapore (prima con caldaie inglesi e poi anche con caldaie costruite a Pietrarsa) e nel complesso la flotta mercantile e militare borbonica domina quella degli altri Stati italiani. Contribuisce alla crescita della marina mercantile l’esportazione dello zolfo nella cui produzione la Sicilia detiene un quasi-monopolio mondiale. Lo zolfo, nonostante i danni ambientali provocati alla sua estrazione, costituisce un’altra occasione di sviluppo per il Regno; i piani di espansione di altre potenze che dominano il Mediterraneo impediscono, però, che le istituzioni si adeguino a quelle occasioni.

Con riferimento al punto (ii) De Rienzo racconta molto bene (Il Regno delle due Sicilie e le Potenze Europee, 2012) quanto la Sicilia fosse importante per gli inglesi, non solo per la sua posizione ma anche perché in essa si concentravano i 4/5 della produzione mondiale di zolfo, indispensabile per la polvere da sparo. Il monopolio della produzione dello zolfo era stato dato agli inglesi nel 1818, cioè ai tempi dell’abolizione del feudalesimo in Sicilia, e vi erano forti incertezze e contestazioni sull’uso delle terre. In quel periodo i diritti di proprietà sulle terre in cui affiorava lo zolfo erano di fatto stabiliti e controllati da forme embrionali della mafia, al servizio di baroni siciliani e di loro clienti inglesi. Nel 1839 Ferdinando II cercò di porre fine a questa situazione che comportava deterioramento ambientale e retribuzioni bassissime per i minatori siciliani. Lo sfruttamento delle miniere fu assegnato alla società francese Taix-Aicard a condizioni molto più favorevoli per i sudditi del regno, in particolare i proventi avrebbero permesso di abolire la tassa sul macinato. Nel 1840 il blocco navale inglese del golfo di Napoli pose fine alle ambizioni di Ferdinando. All’umiliazione del Borbone contribuì il fatto che le navi napoletane montavano caldaie inglesi e si servivano di macchinisti inglesi che si rifiutarono di dirigere le navi contro i loro compatrioti – uno smacco che avrebbe in seguito indotto il Regno a produrre a Pietrarsa anche le caldaie per navi. La Sicilia rimase sotto il controllo economico degli inglesi che si sarebbero avvalsi del loro potere nell’isola per bloccare, nel 1848, con una secessione il tentativo di Ferdinando di porsi a capo del movimento unitario e, per favorire, nel 1860, la conquista del Regno da parte del Piemonte. Il tentativo fallito da parte dei Borboni di formare istituzioni inclusive in relazione allo zolfo, costituisce un esempio di come le Nazioni con precoci istituzioni inclusive possano creare o rafforzare istituzioni estrattive in altri paesi.

Infine, rispetto al punto (iii) , gli inglesi hanno favorito un’innaturale coalizione liberal-mafiosa che ha inquinato nel Sud le istituzioni democratiche già al loro nascere (e si sono ripetuti, insieme agli americani, nel 1943). E’ stato così favorito un processo di unificazione in cui lo Stato più esteso e popoloso è stato occupato da uno Stato la cui capitale non era stata parte attiva della grande cultura italiana dell’Umanesimo e del Rinascimento. Pur essendo incluso nel caso II da Gellner, questo processo contiene inquietanti elementi del caso III. Come affermava Nitti (Nord e Sud, 2000 p. 24) il movimento unitario non è “partito dalla coscienza popolare…… ed è stato più che altro la conseguenza di una grande tradizione artistica e letteraria”. In seguito, la cultura del Sud non fu gentilmente assimilata alla cultura di élite. A prescindere dagli episodi di quasi-pulizia etnica che caratterizzarono la repressione del brigantaggio, al suo carattere magico-religioso (formatosi negli anni in cui il Regno fu il baluardo del mondo cattolico contro quello musulmano) non furono forniti i ponti necessari per passare a un mondo più moderno. I suoi dialetti e l’accento meridionale furono ben poco apprezzati nel resto del paese. Si creò così una segmentazione linguistica che costituì un rilevante ostacolo per la mobilità economica e sociale sia dentro che fuori il Meridione, e ciò può avere favorito il ricorso a scorciatoie criminali per migliorare il proprio status.

In conclusione, le istituzioni estrattive del Sud non sono nate dall’assolutismo monarchico o dal carattere dittatoriale di un regime; esse sono, invece, il frutto della specifica reazione a queste circostanze storiche.

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