La delega fiscale e l’Irpef

1. Il tema di una revisione dell’Irpef, nell’ambito di una più generale riforma del sistema tributario, è da tempo nell’agenda di governi e forze politiche. La struttura dell’imposta, in termini di scaglioni e aliquote, è in sostanza ancora quella delineata nella finanziaria 2007, anche se alcune significative modifiche sono intervenute, portando ad una frammentazione dell’imposizione diretta. Sono usciti dall’Irpef i dividendi azionari e gli affitti delle abitazioni usufruendo ora di una tassazione secca, e lo stesso vale per una significativa fetta del lavoro autonomo (regime forfettario), con l’introduzione di un’aliquota fissa al 15%, se il volume d’affari non è superiore a 65.000 euro.

Sono state modificate le detrazioni per i lavoratori dipendenti e quelle per i pensionati, e, nell’ambito del lavoro dipendente, i premi di produzione e le forme di welfare aziendale usufruiscono di tassazione agevolata o di vera e propria esenzione. Ma, a parte la base imponibile, l’elemento più significativo, che ha alterato il profilo dell’imposta per i lavoratori dipendenti, è il bonus “80 euro”, poi da luglio 2020 “100 euro”, con riferimento alla recente modifica introdotta all’inizio dell’anno e adesso confermata. Il bonus infatti, anche se formalmente fino a 28.000 mantiene la caratteristica di un trasferimento monetario, è strettamente integrato nell’Irpef; da 28.000 fino a 40.000 è anche formalmente una detrazione (detta “ulteriore”).

Il fatto che si abbia diritto al bonus appena l’imposta (riferita al solo reddito da lavoro) diventa positiva fa sì che dopo gli 8.147 euro di imponibile, il lavoratore (se ha lavorato per tutto l’anno) abbia diritto agli integrali 1.200. Il risultato ovviamente sta determinando un vuoto delle remunerazioni (comprensive dei contributi a carico dei lavoratori) vicine ma sotto i 9.000, che al netto del contributo pari a 9,2% determina imponibili inferiori agli 8.147.

L’imposta viene fissata attraverso due passi: calcolo dell’imposta lorda e detrazioni dall’imposta.

Una volta calcolato il reddito imponibile, l’imposta lorda viene determinata con il seguente sistema a scaglioni:

 

Scaglioni                              Aliquote %
0-15.000                                   23
15.001-28.000                        27
28.001-55.000                        38

55.001-75.000                        41

Da75.001 in poi                      43

 

Il passaggio all’Irpef netta va distinto per le diverse tipologie di contribuenti. Qui si considerano, per semplicità, solo persone senza carichi familiari e spese detraibili.

A) Autonomi non passati al regime forfettario: la detrazione di 1.104 è fissa fino a 4.800, poi decresce linearmente fino a 55.000. Ciò vuol dire che, dopo 4.800, per ogni 100 euro di aumento del reddito la detrazione si riduce di 2,2 euro. Vi è una aliquota non immediatamente visibile, ma implicita nel sistema, che si aggiunge a quella formale. Con un minimo di algebra si mostra che questo sistema a detrazione decrescente equivale ad uno con detrazione fissa ma aliquote aumentate di 2,2%. Quando la detrazione si azzera le aliquote tornano a coincidere con quelle formali: le cinque aliquote sono quindi 25,22 – 29,22 – 40,22 – 41 -43.

B) Pensionati: la detrazione di 1.880 è fissa fino a 8.000, decresce a1.297 fino a 15.000, poi linearmente fino a 55.000. Tenendo conto delle aliquote implicite, le cinque aliquote sono: 31,33 – 30,24 – 41,24 – 41 – 43. Come si vede possiamo parlare di una struttura a (quasi) due aliquote.

C) Le detrazioni dei dipendenti, attualmente vigenti, presentano due stranezze. La prima è che sono distinte in una detrazione di 1880 che incomincia a decrescere da 8000, scendendo a 978 a 28.000 e la “ulteriore detrazione” di 1200 a partire proprio da 28.000, che scende a 960 a 35.000 e poi fino a zero a 55.000.

Bonus “80 euro”

Questa stranezza deriva, come accennato, dal modo in cui fu varato il bonus “80 euro” da Renzi. Questi aveva due obiettivi: il primo è che chi riceveva il bonus vedesse, in un rigo della busta paga mensile, “80 euro”; il secondo è che il bonus fosse considerato quale diminuzione d’imposta piuttosto che aumento di spesa (di trasferimento, o benefit). Per realizzare questo secondo obiettivo fu stabilito che il bonus spettasse, per intero, solo a chi aveva, con riferimento al solo reddito da lavoro dipendente, un Irpef positiva. Ciò avviene per un reddito imponibile di almeno 8.148 euro, quando l’imposta supera i cinquanta centesimi. Quindi a 8.145 niente bonus, a 8.150 bonus di 80 euro mensili. Ma Eurostat-Istat rilevò che, con questa specifica, il bonus non aveva le caratteristiche della detrazione (diminuzione d’imposta) ma del benefit (aumento di spesa). Il secondo obiettivo non fu quindi raggiunto, ma rimase la norma per cui il bonus scattava solo con Irpef positiva (anche di un euro); pertanto i milioni di dipendenti (in maggioranza working poor) con redditi inferiori alla cifra magica erano tagliati fuori dal bonus introdotto da Renzi.

Non solo, ma le risorse, fissate sui 10 miliardi, imponevano una limitazione al bonus; anche qui si preferì avere il maggior numero di fruitori con il bonus integrale, e imporre poi un décalage molto forte: il bonus tra 24.000 e 26.000 si annulla, scendendo di 48 euro ogni 100.  Aggiungendo l’aliquota formale del 27% e quella implicita nel décalage della detrazione da lavoro di 4,51, l’aliquota effettiva nell’arco dei duemila euro (spostato da 24.600 a 26,600, spostamento che non cambiava i termini del problema) si è ritrovata ad essere del 79,51%. Poiché i lavoratori ricevevano il bonus quando ancora il reddito annuo era incerto, si è verificato il caso per centinaia di migliaia di dipendenti che si sono trovati, l’anno successivo, a dover restituire in tutto o in parte il bonus ricevuto.

Intervento del Conte 2- Gualtieri

L’estensione fino a 28.000 del bonus ha eliminato l’aliquota marginale implicita tra 24.600 e 26.600 (inizialmente da 24.000 a 26.000), complessivamente un’aliquota sull’80%, ma l’ulteriore detrazione da 28.000 a 40.000 ne  ha create due dopo i 28.000. Infatti la nuova detrazione scende da 100 a 80 da 28.000 a 35.000 di reddito, per poi estinguersi a 40.000.  Mentre la prima aliquota implicita è del 3,43%, la seconda è del 19,2%. Entrambe si aggiungono all’aliquota marginale complessiva di 38% (aliquota formale)+3,62% (dovuta alla diminuzione della “vecchia” detrazione).

Pertanto la struttura delle aliquote marginali, per un lavoratore dipendente, che lavori tutto l’anno, è la seguente:

Scaglioni                   Aliquota margin.
da 0 a 8.147                       0
da 8.148 a 15.000        27,51
da 15.001 a 28.000      31,51
da 28.001 a 35.000      45,05
da 35.001 a 40.000      60,82
da 40. 001 a 55.000     41,62
da 55.001 a 75.000      41
75.001 in poi                  43

 

Per completezza va detto che a 8.148 c’è una forte aliquota negativa dovuta all’improvviso reddito del bonus dipendenti da 1.200 euro annui. Questa aliquota negativa è attenuata però dall’improvviso pagamento delle addizionali che scattano sull’intero reddito, e che non sono dovute se non è dovuta l’Irpef.

La conclusione è che dipendenti, pensionati ed autonomi (quelli che non optano per il regime forfettario, altrimenti l’aliquota diviene unica al 15%) fino a 55.000 euro hanno tre diversi sistemi impositivi, con aliquote medie e marginali diverse. Dopo i 55.000 confluiscono tutti nella stessa Irpef, ma questo riguarda solo una minoranza ridotta di contribuenti (circa il 6,5%).

Per quanto riguarda i dipendenti, la regola che si ricava è che ogni volta che si introducono, o si aumentano, detrazioni (o deduzioni) decrescenti, si ottiene di ridurre le aliquote medie (questa è la buona notizia), ma di aumentare le aliquote marginali (questa è la cattiva notizia). Gli aumenti delle aliquote implicite servono infatti a rimangiare progressivamente le detrazioni-bonus fino ad azzerarle.

2. Cosa propone la legge delega di riforma fiscale per l’Irpef? Il sistema duale stabilisce che in Irpef verranno tassati (solo) i redditi da lavoro (e pensione), compresi quelli dei lavoratori autonomi (per la parte che riguarda la remunerazione del loro lavoro). All’art. 3, lettera b) dopo aver affermato che la revisione deve rispettare il principio di progressività, si danno due indicazioni: “1) ridurre gradualmente le aliquote medie effettive derivanti dall’applicazione dell’Irpef anche al fine di incentivare l’offerta di lavoro e la partecipazione al mercato del lavoro, con particolare riferimento ai giovani e ai secondi percettori di reddito, nonché l’attività imprenditoriale e l’emersione degli imponibili; 2) ridurre gradualmente le variazioni eccessive delle aliquote marginali effettive derivanti dall’applicazione dell’Irpef”.

Come si vede si tratta di indicazioni piuttosto vaghe. E’ bene allora dire che innanzi tutto è necessario correggere il criterio di quando si ha diritto al bonus (che andrebbe trasformato in detrazione deducibile); nelle ultime dichiarazioni Irpef del Dipartimento Finanze risultano oltre quattro milioni di dipendenti con redditi entro gli 8.000 euro (e chissà quanti in nero, per esempio tra colf e badanti); molti lavoratori a tempo determinato che, per la maggior parte, non hanno avuto il bonus. La detrazione rimborsabile fino a 8.000 dovrebbe essere in percentuale (ad esempio del 20%) mentre dopo diviene costante (a 1.600). Costituisce un incentivo al lavoro regolare ed il fatto che sia fissa (dopo gli 8.000 euro) assicura che non dia luogo ad aliquote implicite.

Risolto questo problema si tratta di tornare ad una imposta che abbia un’unica struttura di aliquote marginali per tutti i redditi da lavoro (dipendente ed autonomo) e pensione, con detrazioni fisse per tutti i contribuenti, diversificate per il riconoscimento dei costi di produzione del reddito (dipendenti) e di esenzione di livelli minimi. Le aliquote medie si diversificherebbero solamente per la differenza tra le diverse detrazioni, tendendo a convergere man mano che aumenta il reddito.

Nella riunione al MEF i partiti che compongono la maggioranza sembrano aver raggiunto un accordo su scaglioni ed aliquote; gli scaglioni diventano quattro:

Scaglioni                              Aliquote %
0-15.000                                   23
15.001-28.000                        25
28.001-50.000                        35
Da 50.001 in poi                     43

 

In sostanza il primo scaglione è rimasto con la stessa aliquota, nel secondo l’aliquota cala di due punti, il terzo scaglione è leggermente accorciato e l’aliquota scende di tre punti, mentre il quarto scompare e l’aliquota del 43% parte da 50.001.

La riduzione inizia dopo i 15.000 e cresce fino raggiungere i 920 euro a 50.000; poi inizia un calo (è l’effetto dell’aliquota del 43%), che però si ferma a 270 raggiunti i 75.000, e da lì in avanti la cifra rimane fissa per tutti i maggiori redditieri. L’effetto della nuova struttura è in sé regressivo; basti considerare che il reddito medio delle dichiarazioni Irpef del 2020 è vicino a 21.000 euro. A quel livello il risparmio d’imposta è di 120 euro. Il seguente grafico mostra l’andamento a cuspide nell’intervallo considerato; riguarda il vantaggio assoluto, ma anche quello in percentuale del reddito ha un andamento simile.

Vantaggio nuova struttura di aliquote tra 15.000 e 85.000

Tuttavia bisogna vedere se e quali modifiche ci saranno sulle detrazioni, ivi compreso il bonus per i dipendenti. Le notizie a questo proposito sono frammentate; si parla di un aumento della no tax area per gli autonomi da 4.800 a 5.500. La detrazione quindi dovrebbe passare da 1.104 a 1.265. Plausibilmente dovrebbe terminare alla fine del terzo scaglione, ora 50.000 e non 55.000; questo implica che l’aliquota implicita sale da 2,2% a 2,83% che va aggiunta ai primi tre scaglioni. Un più limitato aumento della no tax area vi dovrebbe essere per i pensionati, mentre per i dipendenti si accenna ad un riassorbimento del bonus, che è ufficialmente un trasferimento, in un sistema di detrazione dalle caratteristiche peraltro da determinare.

E’ evidente che l’attenzione della modifica dell’Irpef si concentra sui redditieri del terzo scaglione ai quali vanno gli sgravi più significativi in termini sia assoluti che percentuali. Possiamo notare che nella fascia da 29.000 a 59.000 (quindi leggermente sopra il terzo scaglione) lo sgravio è pari o superiore all’1% (290 a 29.000 e 590 a 59.000). In particolare sono i redditieri tra 40.000 e 50.000 che hanno risparmi che vanno da 620 (1,55%) a 920 (1,84%). Nel caso dei lavoratori dipendenti l’intervento del governo giallo-rosso aveva esteso, con l’ulteriore detrazione, lo sgravio fino a 40.000; con la nuova struttura di aliquote si estende in avanti lo sgravio. Non sembra che in questo modo si sia dato un incentivo ai giovani ed ai percettori di secondo reddito, come da legge delega.

Per i pensionati poi il fatto che gli sgravi iniziano solo dal secondo scaglione (dopo 15.000 euro) significa che la metà dei pensionati (oltre sette milioni) non ricevono nessuno sgravio. Per gli autonomi cambia poco e comunque nelle dichiarazioni 2020 risultano rimasti in Irpef 1,1 milioni di imprenditori e 460.000 professionisti, perché molti hanno optato per il sistema forfettario.

Occorre soffermarsi sulla ventilata idea di riassorbire il bonus (quello che va da 8.147 a 28.000) in una detrazione d’imposta, della quale non sono state specificate le caratteristiche. Attualmente fino a 12.500 l’imposta netta è inferiore al bonus, che per un dipendente che lavori tutto l’anno, ammonta a 1.200 euro. Se la nuova detrazione assorbisse il bonus, e non fosse resa rimborsabile, avremmo dipendenti con perdite da 8.147 a 12.500. Ma se, come è plausibile, fosse resa rimborsabile, quale giustificazione ci potrebbe essere del fatto che a 8.145 non si riceve nulla e a 8.150 si ricevono poco meno che 1.200 euro? Il criterio del rimborso dovrebbe valere per tutti i dipendenti della fascia più bassa delle dichiarazioni.

3. In conclusione, la sola ristrutturazione delle aliquote come prospettato dall’accordo del MEF abbassa certo l’incidenza per alcuni milioni di contribuenti, ma lascia quasi inalterate le incongruità dell’Irpef. Per la maggior parte dei contribuenti i trattamenti fiscali sono differenziati. Il salto formale dal secondo al terzo scaglione si riduce di un solo punto, da 11 a 10. L’andamento erratico delle aliquote marginali potrebbe rimanere invariato. In effetti va affrontato l’insieme dei problemi; a mio avviso il modo migliore per farlo è che la struttura di aliquote sia uguale per tutti i contribuenti, e la diversificazione valga solo per le detrazioni fisse. Quanto alla struttura il vantaggio di una funzione continua dell’aliquota media, rispetto ad un sistema a scaglioni, è che la prima parte da zero e cresce regolarmente e senza salti fino ad un livello di reddito in cui l’aliquota marginale raggiunge quel livello che si considera non superabile. Le aliquote marginali sono superiori a quelle medie, ma anch’esse partono da livelli molto bassi e crescono gradatamente; scompaiono il bonus e le detrazioni decrescenti. Ovviamente sotto gli 8.000 euro la detrazione dovrebbe essere in percentuale del reddito imponibile.

Quanto costerebbe un sistema con funzione continua e detrazioni? La risposta è: dipende; potrebbe anche essere fatta a parità di gettito, se si accettasse che vi sia una percentuale significativa, anche se non necessariamente del 50%, di perdenti, cioè contribuenti che si trovano ad avere una diminuzione del reddito disponibile. Viceversa se dovesse stabilirsi il criterio di nessun perdente, la cifra salirebbe molto rispetto ai sette miliardi, che dovrebbero essere destinati all’Irpef. La cifra crescerebbe anche perché vi sarebbero i quattro milioni di working poor, fino ad adesso trascurati, che riceverebbero la detrazione rimborsabile da cui ora sono esclusi. Con sei miliardi sarebbe impossibile effettuare una riforma degna di questo nome.

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