Morris C. (2009), Crack, ed. Elliot (II ed.)

CRACK – C. Morris – ed. Elliot (II ed. 2009)

Nello svolgimento di tutto il testo Charles Morris propone una critica alle scelte politico-ideologiche statunitensi operate a partire dagli anni ’70 ed arriva a spiegare la crisi attuale. Nel testo, si cerca di far luce circa le cause scatenanti la crisi, e a questo proposito vengono enucleate continuamente cifre di semplice e immediata comprensione, che risultano notevolmente eloquenti. Non si nasconde poi l’ammirazione per Paul Volcker (capo della Fed nella prima metà degli anni ’80), chiamato in causa quale metro di paragone ogni qualvolta si parli di scelte legate alla crisi. Come necessaria conclusione, vengono illustrati i rischi potenziali per il futuro, così come i possibili fattori di ripresa.

Si comincia esaminando la grande inflazione scaturita sotto la presidenza di Nixon . La portata di questa inflazione fu tale che si dovettero adottare delle politiche di “contenimento”, dal momento che gli investitori, vista la persistenza del processo di crescita dei prezzi, accentuarono la tendenza a spostare i loro investimenti dai mercati azionari ai beni durevoli (es. oro). Le idee adottate dal governo di allora rispecchiavano quelle di Milton Friedman, esponente di punta della scuola di Chicago, secondo cui l’unico modo per contrastare l’inflazione era “monitorare la disponibilità di valuta “. Questa dottrina, definita monetarismo, fu seguita da Paul Volcker, e risultò efficace allo scopo di contrastare la spinta inflazionistica.

Nel prosieguo del testo l’autore si sofferma sul 1994: anno in cui si verificò il crack dei mutui. Al tempo, un aumento dei tassi d’interesse di mezzo punto percentuale mandò in confusione la matematica alla base dei CMO (Collateralized Mortgage Obligations), prodotti finanziari divisi in diverse tranche con diversi rate d’investimento, a seconda che fossero più o meno garantiti. La critica dell’autore in questo caso, come per il caso dei derivati in genere, si rivolge al sistema di ingegnerizzazione finanziaria che, secondo la sua opinione, proponendo modelli matematici sempre più complessi, ha dato l’illusione che i “rischi fossero ben compresi e sotto controllo”. Egli fa notare che la psicologia umana fa sì che i calcoli riferiti a questi prodotti non possano essere assolutamente esatti.

Continuando con gli altri fattori che hanno portato l’economia in crisi, Morris analizza la bolla creditizia immobiliare del terzo millennio. Egli, dati alla mano sulla crescita esponenziale dei casi d’insolvenza, critica la reingegnerizzazione del credito su misura, causa del peggioramento della qualità di quest’ultimo. Un altro importante fattore su cui l’autore punta il dito, è rappresentato dal finanziamento del consumismo americano, operato oggi da paesi un tempo debitori, ovvero la Cina, i paesi OPEC, la Russia. Ciò ha causato un aumento della liquidità di queste nazioni, che si stima abbiano riserve per circa 5000 miliardi di dollari. Morris fa notare che paesi come la Cina “non hanno un sistema creditizio forte per dar vita a un incremento dei consumi interni”, ma con l’andare del tempo potrebbero decidere di avvicinarsi al modello consumistico americano rivalutando lo Yuan, svalutando di converso il dollaro, e rendendo oltretutto gli USA passibili di “signoraggio monetario”. Morris arriva a definire “finta” la prosperità statunitense degli anni duemila, alimentata da prezzi di asset gonfiati, che con la crisi stanno inevitabilmente scemando. L’autore, a questo punto, decide di proseguire con un’analisi dettagliata dei CDO (Collateralized Debt Obligations), vero fulcro della crisi a quanto si apprende dalle sue parole. Il grande problema di questi prodotti finanziari è palesato dalle tranche rischiose oggi definite “rifiuti tossici”, comprati da investitori nei cosiddetti hedge fund. I clienti degli hedge fund sono le maggiori banche: ad esempio Morgan Stanley, Goldman, Deutsche Bank. L’autore teme poi una sferzata letale verso una depressione più acuta, vista la possibile reingegnerizzazione di nuovi prodotti creati per evitare insolvenze, i quali potrebbero portare la curva del debito all’infinito, originando una “spirale della morte”. In termini di stime, per dare un’idea della ricaduta sull’economia reale, nei prossimi due anni, a giudizio di Morris, a causa delle insolvenze derivanti dai mutui subprime, negli USA, circa 2.000.000 di persone potrebbero perdere la casa.

L’autore individua una responsabilità tra le politiche operate dalle banche, che parte dalla Goldman Sachs, la capostipite tra queste nello spostare “l’enfasi sulla speculazione fine a se stessa”. La responsabilità della classe politica,invece, è descritta da un parallelo con il Giappone, il quale ancora oggi subisce gli effetti delle crisi degli anni ’80: i politici giapponesi, come spiegato dall’autore, hanno avuto la colpa di nascondere i problemi, a differenza di Volcker che li affrontò. È opinione di Morris che i politici americani stiano agendo alla stregua dei loro colleghi nipponici un quarto di secolo fa, alimentando in tal maniera il rischio che la crisi si protragga, addirittura, per qualche decennio.

L’autore fa intendere che i postulati della scuola di Chicago, sostenuti dalla classe dirigente americana (difesa a spada tratta del libero mercato e della deregolamentazione), costituiscono uno dei problemi maggiori. La sua conclusione è che questi siano “gli ultimi giorni di un altro ciclo politico-ideologico durato venticinque anni: il rantolo del capitalismo finanziario selvaggio”. Egli dichiara infatti, che “il libero mercato è diventato il problema, non la soluzione”.

Morris sostiene di non avere una ricetta esatta per risolvere la crisi, ma ritiene necessario proporre un ritorno ad un’economia fondata sul risparmio, così come sostiene sia indispensabile dedicare una particolare attenzione alla leva finanziaria implicita nei bilanci. Crede poi che sia utile concentrare l’immissione di liquidità nelle banche deposito, al fine di controllarne il percorso: un’immissione generale infatti può spesso non avere gli effetti auspicati. Consiglia infine di concentrarsi su due settori: infrastrutture e sanità. In particolare quest’ultimo, ritenuto uno dei settori più dinamici e innovativi.

Riassumendo, il libro, visto in chiave storica, contiene una lucida analisi degli avvenimenti successi da 40 anni a questa parte. Riconoscendo l’iniziale valore delle tesi monetariste, ne profetizza la fine dovute alla degenerazione del mercato. È notevole la cura con la quale sono descritte le attività finanziarie, che risultano abbastanza chiare anche ad un lettore che si avvicina per la prima volta a questo mondo. Risultano altresì molto utili le cifre proposte lungo tutto lo scritto a favore delle sue tesi; esse danno un’idea concreta della portata del disastro finanziario. Gli ammonimenti rivolti al Governo statunitense non risultano essere né esagerati né fuori luogo, visto il rischio che la crisi possa avere certe ricadute sull’economia reale. Le proposte sono molto costruttive, specie quando si esamina la sanità americana, settore la cui riforma è discussa, proprio in questi giorni, dal governo Obama.

 

Jacopo Moretti

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