ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 217/2024

15 Giugno 2024

La Nuova via della seta e la narrazione sulla trappola del debito che la circonda

Pompeo Della Posta, dopo avere ricordato che la Nuova Via della Seta (NVS) trova origine in primo luogo nella necessità di collegare le aree occidentali della Cina con l’Europa attraverso l’Asia Centrale, illustra le ragioni per le quali ritiene infondata la narrazione della NVS secondo cui la Cina creerebbe trappole del debito per acquisire gli asset strutturali finanziati e mette in guardia dal bias che le tensioni geopolitiche fra Stati Uniti e Cina possono introdurre nella valutazione della NVS.

La Nuova Via della Seta (NVS), lanciata nel 2013, vede la partecipazione di 154 dei 193 paesi membri delle Nazioni Unite e ha comportato nei suoi primi 10 anni di vita investimenti complessivi per circa 1.000 miliardi di dollari.

Per comprendere le ragioni che hanno condotto alla sua creazione, dobbiamo considerare innanzitutto la politica del ‘Go West, avviata nel 2000 per favorire lo sviluppo delle province occidentali della Cina. Tale sviluppo è possibile solo collegando queste ultime alle regioni landlocked dell’Asia centrale, che separano la Cina dall’Europa. In questo modo, le regioni landlocked diventerebbero land linked.

Peraltro, il fabbisogno di infrastrutture per i Paesi meno sviluppati e in via di sviluppo è certificato dalle banche regionali dei continenti asiatico, africano e latino-americano. La Banca asiatica di sviluppo stima per gli anni 2016-2030 un fabbisogno di 260 miliardi di dollari per colmare il suo gap infrastrutturale, quella africana stima un fabbisogno infrastrutturale compreso tra 130 e 170 miliardi di dollari all’anno (e un gap di finanziamento di 67,6-107,5 miliardi di dollari all’anno) e la Banca interamericana di sviluppo stima un deficit infrastrutturale di 150 miliardi di dollari per anno.

È evidente che nel lancio della NVS hanno giocato un ruolo anche ragioni geopolitiche, inclusa la necessità di garantire alla Cina alcune delle risorse vitali di cui necessita, considerato che il petrolio è importato per il 70%, il gas naturale per il 40%, i fagioli di soia per il 95%, l’olio da cucina per l’80%, e che si importano anche grano, mais e materiali ferrosi. Disporre di una rete di paesi ‘amici’ rappresenta, naturalmente. una forma di assicurazione.

Anche altre ragioni di natura geopolitica hanno contribuito però al varo della NVS, quali il lancio da parte del presidente statunitense Obama, nel 2009, del Partenariato Trans-Pacifico (TPP) e di altre iniziative che fanno perno sull’Asia, ma che prevedevano soltanto la partecipazione di ‘like-minded countries’ (‘paesi che la pensano allo stesso modo’ degli Stati Uniti). Non sorprende che la Cina abbia previsto delle vie d’uscita (la NVS e la Regional Comprehensive Economic Partnership, RCEP) dall’angolo in cui, paradossalmente, si sarebbe trovata nei dintorni di casa propria.

La “trappola del debito” e le altre narrazioni dominanti sulla BRI. La NVS è soggetta a diverse critiche, tra cui quelle di praticare un ‘capitalismo corrosivo’ e concedere ‘prestiti predatori (o quasi-predatori)’; di creare delle ‘trappole del debito’ e mirare alla ‘acquisizione degli asset infrastrutturali’ finanziati; e quelle legate alla “narrazione della segretezza” che implica anche l’accusa di “debito nascosto” e “fallimenti nascosti”. Ulteriore accusa è quella di imporre condizioni preferenziali sui propri crediti rispetto a quelli degli altri creditori cosicché, in caso di insolvenza dei Paesi mutuatari, saranno i debiti verso la Cina ad essere pagati per primi.

Uno dei problemi del ‘debito nascosto’ (Bennon e Fukuyama, in Foreign Affairs, 2023) è che, non venendo dichiarato, durante le ristrutturazioni il Fondo Monetario Internazionale concederebbe ai Paesi debitori la remissione del debito, sostenendone i relativi costi, mentre questi ultimi continuerebbero a rimborsare regolarmente il proprio debito ai creditori cinesi.

Quanto segue è dedicato alla verifica della fondatezza delle critiche sopra esposte.

Una premessa: esiste un pregiudizio negativo nei confronti della Cina? L’esistenza di una ‘trappola del debito’ ordita dalla Cina sembra un fatto acquisito. Il caso dell’intervista della BBC britannica a Deborah Brautigam, una studiosa statunitense che ne contesta la narrazione, è esemplare: nel pezzo andato in onda a conclusione dell’intervista, il giornalista ha riportato solo la descrizione iniziale, fatta dalla stessa Brautigam, della presunta ipotesi di ‘trappola del debito’, omettendo la parte in cui la studiosa argomentava in senso contrario.

Alcuni autori associano inoltre l’origine del termine ‘diplomazia della trappola del debito’ al Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.

Alla luce di quanto sopra, non dovrebbe quindi sorprendere che ci sia chi afferma che la narrazione relativa alla ‘trappola del debito’ cinese in Africa rifletta la rivalità ideologica e strategica sino-americana, piuttosto che la realtà.

La Cina sta intrappolando i Paesi aderenti alla NVS nel proprio debito? Brautigam e Singh contestano quello che la prima definisce il ‘credo comune’ o ‘meme’ sull’esistenza di una ‘trappola del debito’ cinese.

Le ragioni sono riportate di seguito:

1. Il ‘debito cinese’ è in realtà nei confronti di più entità.

2. Le stesse istituzioni cinesi, resesi conto che alcuni dei loro investimenti degli anni 2013-2016 non erano stati ponderati accuratamente, a partire dal 2017 ne hanno corretto il flusso.

3. Autori diversi osservano che i contratti esistenti dimostrano la possibilità per i paesi contraenti di affermare la propria country ownership, come nel caso dell’Uganda e del Cameroon.

4. La Cina non è l’unico creditore dei Paesi beneficiari. Il debito dei Paesi africani nei confronti della Cina è solo il 17% del loro debito totale (quelli di Sri Lanka, Zambia e Pakistan rispettivamente 10%, 15% e 17%). E solo 19 dei 64 Paesi africani hanno avuto difficoltà di indebitamento

 5. Il debito cinese mira alla realizzazione di progetti infrastrutturali produttivi ed è a lungo termine, a differenza del debito preesistente, che è a breve termine.

6. Il debito aggiuntivo verso la Cina ha avuto un effetto molto limitato sul rapporto complessivo debito estero/PIL dei Paesi riceventi. Nella maggior parte dei casi, il loro rapporto debito pubblico/PIL era già superiore alla soglia del 60%.

7. Molte risorse naturali in Africa vengono sfruttate pagando in cambio royalties irrisorie e palesemente ingiuste (come nel caso del rame e del cobalto in Zambia, sfruttati da aziende britanniche). Lo stesso vale per il cobalto in Congo.

I fatti non confermano l’‘acquisizione degli asset infrastrutturali’ a fronte dell’incapacità di rimborsare i debiti. La letteratura esistente mostra anche l’infondatezza dell’accusa mossa alla Cina di volere sostituire l’acquisizione di asset strategici al pagamento del debito (debt-to-equity swap). L’acquisizione dell’85% del porto di Hambantota, messo in vendita dallo Sri Lanka, infatti, ha permesso a quest’ultimo Paese di ripagare il debito con i debitori preesistenti, non di saldare il debito con Eximbank.

Nel caso del porto del Pireo in Grecia, poi, si trascura il fatto che l’indicazione alla Grecia di privatizzare il porto sia arrivata dalla Troika (BCE, Commissione europea e FMI) come condizione per concedere gli aiuti finanziari al Paese durante la crisi dell’area dell’euro del 2011-2012.

Interessante è anche il caso del Montenegro. Una trasmissione televisiva di France 2, poi rilanciata da un media all’altro nel tempo, denunciò come il Montenegro avesse firmato con la Eximbank cinese un contratto contenente una clausola “mai vista prima”. In realtà si tratta di una clausola standard nei contratti fra un’istituzione pubblica e una privata, secondo la quale “il mutuatario rinuncia irrevocabilmente a qualsiasi immunità risultante da ragioni di sovranità o altro (…)”. Quel “per ragioni di sovranità”, che in inglese è scritto “on the grounds of sovereignty”, in francese è stato tradotto letteralmente “sur son territoire souverain” (“sul suo territorio sovrano”), intendendo con ciò che in caso di mancata restituzione del debito il Montenegro avrebbe dovuto cedere parte del proprio territorio alla Cina. Una situazione da teatro dell’assurdo, che ha contribuito però (forse non in maniera del tutto innocente) a diffondere l’idea di una ‘asset seizure’ cinese. Le altre accuse di acquisizione di asset sono state ugualmente dimostrate infondate.

Esiste una evidenza della supposta ‘segretezza’ e dell’evidenza di ‘debito nascosto’? Poiché molti dei contratti sono di natura privata, è normale che le clausole restino confidenziali. Del resto, accuse simili sono state mosse, sia pure in misura ben più contenuta, anche agli investimenti intrapresi nell’ambito del ‘Piano di investimenti infrastrutturali dell’UE’ di Juncker del 2014.

Per quanto riguarda l’accusa di voler celare l’effettiva entità del debito, va riconosciuto che nel 2013 lo Sri Lanka (non la Cina!) ha trasferito alle imprese statali parte del debito estero che aveva nei confronti della Eximbank cinese. Tuttavia, i dati erano disponibili su fonti pubbliche ed è stata facilmente ricalcolata l’entità effettiva del debito statale nei confronti della Cina, pari a circa il 20% invece che 10-15%. Il debito complessivo, del resto, era stato comunque riportato correttamente nell’International Debt Statistics 2020 della Banca Mondiale.

Ristrutturazioni inique? La moratoria sul debito del governo cinese. Secondo quest’ultima accusa, le istituzioni cinesi avrebbero operato in modo da privilegiare i propri crediti, senza applicare la condizione di parità dei creditori di fronte a un debitore insolvente prevista dal ‘Club di Parigi’, né ne avrebbero seguito le indicazioni circa le ristrutturazioni a favore dei paesi debitori (Bennon e Fukuyama, in Foreign Affairs 2023).

Subito dopo lo scoppio della pandemia COVID-19, però, il FMI e la Banca Mondiale hanno lanciato , la Iniziativa per la Sospensione del Servizio del Debito (DSSI) dei 73 paesi più poveri del pianeta, accolta dalle 20 maggiori economie mondiali (G20). La Cina, che già aveva cominciato a condurre ristrutturazioni bilaterali con alcuni dei paesi interessati, ha concesso il 63% del totale delle sospensioni del servizio del debito (pur detenendo credito per una quota nettamente inferiore), prima di decidere di non concederne altre.

Un punto, infine, merita di essere sottolineato. L’accusa rivolta alla Cina di cercare la preferenzialità dei propri crediti, anche nascondendoli, contraddice quella di ‘acquisizione degli asset infrastrutturali’ e di creazione di ‘trappole del debito’ discusse in precedenza: se l’obiettivo è riavere prima degli altri creditori i soldi investiti non si vede perché dovrebbe esservi interesse ad acquisire gli asset infrastrutturali finanziati (o ad ordire ‘trappole del debito’); se invece l’obiettivo è quest’ultimo non si vede perché si cercherebbe preferenzialità nei rimborsi del debito.

Questo affastellarsi di accuse infondate, però, forse dice qualcosa sul bias di fondo che caratterizza i giudizi sulla NVS, le cui radici non possono che risiedere nelle tensioni geopolitiche che oppongono la Cina agli Stati Uniti, confermando così quanto già altri autori affermavano.

Osservazioni conclusive. La Nuova Via della Seta (NVS) trova la sua prima motivazione nella necessità di favorire lo sviluppo delle regioni occidentali cinesi meno sviluppate, collegandole con l’Asia centrale e il Sud-est asiatico. Inoltre, il fabbisogno di infrastrutture di questi ultimi Paesi è ben documentato dalle rispettive banche regionali.

La NVS è accusata, tuttavia, di rappresentare una ‘trappola del debito’ ordita dai cinesi, accompagnata da aspetti correlati come ‘prestiti predatori’, ‘acquisizione di asset infrastrutturali’, ‘debito nascosto’, ‘default nascosto’ e preferenzialità dei crediti.. 

Una parte della letteratura accademica è comunque in forte disaccordo con questa rappresentazione: sono i cinesi stessi ad avere rimodulato la loro azione a partire dal 2017; il debito verso istituzioni cinesi è solo una parte relativamente piccola (ed a lungo termine) del debito complessivo (a breve termine) dei paesi che hanno ricevuto finanziamenti; gli accordi segreti sono la norma nei contratti internazionali di diritto privato e i Paesi aderenti alla NVS possono esercitare la loro ‘country ownership’; non vi è evidenza di ‘acquisizione di asset infrastrutturali’; infine, le rivendicazioni di trattamento preferenziale dei loro crediti e di ‘acquisizione di asset infrastrutturali’ (e, a maggior ragione, quella di ‘trappola del debito’), sono in conflitto tra loro! Questo, a mio modo di vedere, conferma l’esistenza di un bias con il quale si valuta l’iniziativa cinese, dettato dalle tensioni geopolitiche che oppongono gli Stati Uniti alla Cina. Tutto ciò non significa, naturalmente, che la NVS sia esente da errori o problemi, ma questi ultimi vanno evidenziati da fatti puntuali e analisi oggettive, non alimentati da distorsioni interpretative.

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