ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 215/2024

13 Maggio 2024

Contrattazione decentrata? Molto promettente, ma ancora per pochi.

Giuseppe Croce argomenta che nelle condizioni attuali del mercato del lavoro la contrattazione decentrata può offrire soluzioni in grado di conciliare benessere delle persone al lavoro, rilancio della produttività e gestione delle transizioni demografica, tecnologica e verde. Tuttavia, la sua diffusione è scarsa e diseguale. Tra le ipotesi di intervento per favorirne la diffusione, Croce critica l’ulteriore detassazione della retribuzione variabile e ritiene preferibile il sostegno alla contrattazione decentrata territoriale.

Nella fase attuale del mercato del lavoro è particolarmente forte l’esigenza di conciliare in modo creativo il benessere delle persone al lavoro con l’obiettivo di ridare slancio alla produttività e la necessità di gestire le transizioni demografica, tecnologica e verde. In questo quadro è prezioso il contributo che può dare la contrattazione decentrata. Tuttavia, nei fatti il suo ruolo rimane gravemente limitato dalla sua scarsa e diseguale diffusione.

Dalla fine del Covid i dati dell’occupazione continuano a indicare che ci troviamo in una fase per molti aspetti nuova. Ciò non significa che si stanno magicamente risolvendo le problematiche del mercato del lavoro italiano, tuttavia emergono elementi importanti che non possono essere trascurati. 

Dal 2022, malgrado i tassi di interesse ancora alti e la perdurante instabilità geopolitica, i posti vacanti presso le imprese sono su livelli storicamente elevati. Nella media del biennio 2022-23 il tasso dei posti vacanti è stato pari al 2,2% e a fine 2023 era al 2,4%, il doppio della media del periodo 2016-19 (Istat). Va notato che l’aumento riguarda tutti i settori. Data la disponibilità relativamente ampia di occasioni di lavoro non è sorprendente che continuino a essere molti i lavoratori che lasciano volontariamente il posto di lavoro in cerca di migliori condizioni. Le dimissioni volontarie da rapporti a tempo indeterminato sono aumentate del 14% nel 2021 e del 26% (36% nelle imprese con più di 15 dipendenti) nel 2022 rispetto al 2019. Allo stesso tempo, è in aumento anche la quota di coloro che dopo essersi dimessi risultano di nuovo occupati come dipendenti entro i tre mesi successivi, cosa che indica che si tratta di una ricollocazione nel mercato anziché un’uscita da esso. E infatti i ricollocati, che erano il 63,2% nel 2019, hanno sfiorato il 67% nel 2022 (Inps, Rapporto annuale 2023). Inoltre, nel biennio 2022-23 è aumentato di 907mila il numero degli occupati a tempo indeterminato mentre sono diminuiti di 92mila quelli a termine. In questa maggiore propensione delle imprese a offrire contratti permanenti si intravede il tentativo di attrarre il personale. Peraltro, malgrado l’insieme di queste condizioni favorevoli, fino ad oggi la dinamica dei salari non sembra averne risentito positivamente in alcun modo. 

Sebbene non sia facile valutare in che misura queste dinamiche abbiano natura meramente congiunturale, ad esempio per la parte collegata ai bonus nell’edilizia, l’impressione è che esse siano in misura prevalente strutturali. Dal lato dell’offerta di lavoro l’invecchiamento e la diminuzione della popolazione attiva sono destinati a perdurare nel tempo e a contrarre il volume di lavoro a disposizione delle imprese. Allo stesso tempo l’affermazione di più esigenti atteggiamenti nei confronti del lavoro, soprattutto da parte dei giovani, non sembra possa essere considerata una moda passeggera. Dal lato della domanda di lavoro, le transizioni ambientale e tecnologica, rappresentano processi lungo periodo.

Pertanto è prevedibile che il mismatch tra domanda e offerta sia destinato a divenire ancora più acuto sovrapponendosi all’atavica problematica di sottoccupazione del lavoro disponibile. I lavoratori sono più esigenti e in molti casi si trovano nelle condizioni di poter scegliere considerando anche che per i giovani il mercato del lavoro di riferimento non è più quello locale ma quello europeo, come mostra l’aumento dell’emigrazione di giovani dall’Italia. Le imprese, dal canto loro, hanno necessità di trovare, formare e trattenere il personale. A questo scopo sono in qualche modo costrette ad assecondare le esigenze delle persone. Allo stesso tempo si trovano a dover gestire processi di innovazione e transizione che si annunciano tutt’altro che indolori. 

La contrattazione aziendale si colloca oggi all’incrocio di queste tensioni e può contribuire in modo creativo e pragmatico alla conciliazione delle diverse esigenze in gioco. In linea di principio essa può risultare in molti casi più avanzata, efficace e bilanciata tanto rispetto a iniziative unilaterali delle imprese quanto a interventi legislativi. Si può avere un riscontro di ciò dall’ultimo Rapporto sulla contrattazione decentrata della Uil, che offre uno spaccato molto ampio di questa realtà. 

In diversi ambiti di grande attualità la contrattazione decentrata potrebbe giocare un ruolo ancora più incisivo di quello che sta già svolgendo. Pensiamo al tema del lavoro da remoto. Le esperienze e gli studi internazionali suggeriscono che esso può rappresentare un’occasione, inattesa fino all’avvento del Covid, per aumentare la produttività e il benessere per ampie categorie di lavoratori. Eppure, i dati dicono che in Italia esso ha un peso molto limitato nei confronti internazionali. Difficilmente senza uno sforzo congiunto di datori di lavoro e lavoratori sarà possibile rimuovere gli ostacoli che ne bloccano lo sviluppo. Ancora più complessa si preannuncia l’introduzione nelle imprese dell’intelligenza artificiale. Questa non sarà un’operazione deterministicamente preordinata da mere coordinate ingegneristiche. Al contrario è una partita nella quale, anche a livello aziendale, si dovrà scegliere in che modo sfruttare le opportunità che essa offre per cambiare il lavoro e crearne di nuovo, e limitarne gli effetti di mera sostituzione del lavoro. Sembra difficile poter impostare e gestire questa trasformazione senza il contributo attivo della voce dei lavoratori (su questo ad es. D. Acemoglu, Automation, AI, and wages, American Enterprise Institute, 2024).

Si pensi anche al tema della formazione. Nello scenario di skill shortage che abbiamo descritto i fabbisogni professionali e formativi delle imprese crescono e, se non soddisfatti, possono “strozzare” le transizioni con riflessi anche macroeconomici pesanti. D’altra parte, in un contesto di elevata mobilità del lavoro, la formazione decisa unilateralmente dalle imprese risulta scoraggiata. Diventa quindi decisivo cercare altre strade. Certamente servono interventi generali, a partire dallo sviluppo effettivo del sistema degli Istituti tecnici superiori (ITS Academy) che rischia invece di rimanere sottodimensionato, anche perché bloccato da interessi particolari e veti a livello locale. Ma serve anche un maggior ricorso alla formazione gestita in forma bilaterale, a partire dai Fondi interprofessionali. A questo scopo la contrattazione decentrata può dare una spinta decisiva.

Tuttavia, guardando alla realtà non si può non prendere atto che tutte le attese rivolte nei confronti della contrattazione aziendale sono destinate a rimanere largamente frustrate a causa della scarsa e molto diseguale diffusione che, a distanza ormai di tre decenni dal varo del sistema contrattuale a due livelli con l’Accordo del 1993, essa continua ad avere. In uno scenario in cui la contrattazione aziendale diventi più incisiva ma continui a riguardare solo una parte minoritaria (per quanto non trascurabile) dei lavoratori, risulterebbe ancor più approfondito il dualismo del mercato del lavoro, tra una minoranza che si trova in imprese che offrono condizioni relativamente elevate e la maggioranza impiegata in imprese che per motivi diversi perseguono la strada della compressione dei costi del lavoro. Un dualismo aggravato dalle difficoltà della contrattazione di primo livello, oggi esacerbate delle conseguenze dell’inflazione, nel garantire una dinamica di base dei salari.

Sarebbe auspicabile, quindi, una più ampia diffusione della contrattazione decentrata. Ma al di là degli auspici, come riuscirci? Tra le idee in circolazione ce n’è una che sembra riscuotere ampi consensi ma che tuttavia suscita più di un dubbio. È l’idea di rafforzare la detassazione già vigente delle retribuzioni variabili pagate ai lavoratori in base ad accordi di secondo livello. Attualmente è prevista l’applicazione di una aliquota agevolata al 10%, poi ridotta al 5%, fino a un importo pari a 3000 euro. Inoltre, l’applicazione è ora subordinata al raggiungimento di risultati, ad esempio di produttività, predeterminati dagli accordi aziendali e incrementalirispetto al periodo precedente. 

Da diverse parti ora si propone un rafforzamento ulteriore di questa misura di incentivazione fiscale arrivando a una detassazione totale, eventualmente abolendo anche il limite dei 3000 euro e il criterio dell’incrementalità. Tuttavia, come detto, questa proposta suscita diversi dubbi.

In primo luogo, è difficile credere che spingere ancora sull’incentivo fiscale possa davvero servire ad avviare una buona contrattazione aziendale là dove non è riuscita a favorirla fino ad oggi l’incentivo già disponile. Gli ostacoli alla contrattazione aziendale sono di natura strutturale, relativi alla piccola dimensione aziendale, a caratteristiche settoriali e a problemi di margini aziendali ridotti, che difficilmente potranno essere superati con interventi di questo tipo. Questo significa che la misura avrebbe l’effetto di aumentare il vantaggio fiscale nelle imprese che già ne godono senza riuscire ad allargarne significativamente il numero. 

Il secondo dubbio riguarda il rischio che l’eliminazione di una soglia massima della retribuzione detassata e del criterio di incrementalità finisca per spiazzare il contratto di primo livello. Considerando anche le difficoltà di rinnovo dei contratti nazionali, le parti potrebbero ritenere conveniente trasferire quote di salario dal primo al secondo livello. 

Entrambi questi dubbi fanno temere che si possa finire per aggravare il dualismo del mercato del lavoro anziché diffondere la contrattazione decentrata.

Infine, assumendo che un obiettivo della detassazione sia di incentivare il raggiungimento di migliori risultati aziendali ci si deve chiedere se puntando tutto su una misura di detassazione del salario non si rischi di concentrare eccessivamente l’attenzione sull’”impegno” dei lavoratori quale chiave degli incrementi di produttività. 

Un’alternativa da considerare e valutare attentamente potrebbe consistere, data l’agevolazione fiscale già disponibile, nel dirigere selettivamente le risorse a sostegno della contrattazione territoriale, a favore proprio delle aree e dei settori dove questa fatica di più ad affermarsi, affidando alle rappresentanze datoriali e sindacali territoriali il ruolo di attori di un processo che a livello aziendale troppo spesso sarebbe destinato a scontrarsi con ostacoli difficilmente superabili.

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