ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 216/2024

1 Giugno 2024

Federica, lavoratrice a tempo parziale e sospeso

Maurizio Franzini e Michele Raitano raccontano di Federica che lavora in una mensa scolastica con un contratto di lavoro part-time ciclico. Il contratto viene sospeso nei mesi di chiusura delle scuole, e in quei mesi Federica non percepisce retribuzione né può accedere ai sussidi di disoccupazione. Un lavoro di chiara rilevanza sociale si svolge, dunque, in condizioni ben poco dignitose per il lavoratore. Franzini e Raitano sostengono che è urgente intervenire e indicano alcuni modi in cui è possibile farlo.

Della storia (e del mondo) di Federica siamo venuti a conoscenza assistendo a un suo intervento in un seminario sul lavoro povero.

Federica fa uno di quei lavori che sono essenziali per garantire diritti sociali ma che sono anche esposti a veri e propri ‘mal-trattamenti’, senza che nessuna norma – se non quelle di giustizia sociale – venga violata.

Di che lavoro si tratti, ce lo spiega Federica. Lavora in una mensa scolastica, dunque il suo lavoro è essenziale perché in quelle mense molti bambini consumano il loro unico pasto decente e ben dosato e, in più, apprendono stili di vita salutari. Federica ci dice che fa questo lavoro da molti anni, che il suo salario orario è di 8 euro, che lavora in media 4 ore al giorno. Ma lavora per una piccola parte dell’anno perché, quando le scuole sono chiuse – ovvero da giugno a settembre inclusi –, il suo lavoro viene sospeso e ciò vuol dire che non riceve alcuna compensazione, nemmeno come ammortizzatore sociale. Nei mesi in cui le scuole sono chiuse e lei, dunque, non può lavorare, Federica ha un rapporto di lavoro attivo e, quindi, non può accedere alla Naspi, e tanto meno alla Cassa Integrazione Guadagni, perché non si tratta di un evento imprevisto e la sospensione è un aspetto strutturale del contratto di part-time “ciclico”.

Siamo di fronte a un caso fulgido di part-time involontario, con riferimento sia al numero di ore lavorate al giorno sia al numero di mesi lavorati nell’anno. Inoltre è frequente che alcuni di queste lavoratrici e lavoratori part-time lavori per circa 3 ore soltanto e, addirittura, il loro orario di lavoro è spesso spezzato nel corso della giornata. Non è peraltro raro il caso di stagiste che lavorano meno di due ore al giorno.

Nei mesi di sospensione ad essere sospesa non è solo l’occupazione ma anche la vita di queste persone. E tutto questo è previsto da un contratto nazionale, quello del turismo addetti alla mensa. In quei mesi non resta, dunque, che mettersi in cerca di qualche lavoro saltuario (ad esempio sostituire cuochi o lavapiatti che vanno in ferie) e magari anche al nero. Ma è assai difficile poter fare a meno dell’aiuto dei propri familiari, quando questi sono in grado di offrirlo. E la conseguenza, abbastanza paradossale, è che, usando la definizione di povertà come in-work poverty (che fa riferimento al reddito familiare), laddove il reddito degli altri percettori del nucleo fosse decente queste lavoratrici ‘mal-trattate’ non sarebbero neanche considerate lavoratrici povere. E, a seconda del livello del reddito e dell’ISEE familiari, potrebbero non rispettare i requisiti per accedere al reddito al minimo (nel caso del Reddito di Cittadinanza, dato che i requisiti categoriali dell’ADI finiscono per escludere quasi sempre i working poor). Federica, ad esempio, non poteva accedere al Reddito di Cittadinanza perché era parte di un nucleo familiare in cui era incluso anche il figlio che percepiva una retribuzione tale da portare il reddito familiare oltre il minimo per accedere a quel sussidio.

Federica ci dice che si stima che in queste condizioni si trovino circa 97.000 tra lavoratori e lavoratrici, in grande maggioranza donne ultra-cinquantenni, come lei. E spesso si tratta di donne sole, separate, vedove o divorziate. Gli uomini forse trovano più facilmente di meglio, magari anche in nero, nel mondo del lavoro umiliato.

Di fronte a questa situazione così poco assimilabile a qualsivoglia idea di lavoro dignitoso occorre chiedersi cosa si potrebbe fare. Anzitutto si potrebbe elevare il salario orario. Una misura, questa, che non presenta particolari difficoltà tecniche ma potrebbe incontrare ostacoli politici, come mostrano le vicende recenti del salario minimo. Ma il problema principale è quello della ciclicità del lavoro e della sospensione della retribuzione. La questione è stata affrontata in Spagna introducendo la figura del contratto fisso discontinuo. Ma si potrebbero modificare la Naspi e la Cassa Integrazione per permettere l’erogazione dei sussidi anche in casi come questi.

Il punto essenziale è che il costo della ciclicità non può essere messo interamente a carico dei lavoratori. Il principio generale è che si tratta di ripartire diversamente fra i soggetti interessati quello che sembra essere un vero e proprio costo sociale; e – anche ricordando che ora il settore delle mense è dominato da 8 grandi imprese private – si possono immaginare diverse soluzioni che avrebbero una dimensione, appunto, sociale e questo sarebbe anche il doveroso riconoscimento del fatto che si tratta, appunto, di un lavoro di elevato valore sociale.

Peraltro queste attività nascono da commesse pubbliche e, dunque, la sospensione dei lavoratori (oltre che il numero limitato di ore per cui sono retribuiti) permette agli enti locali (dai bilanci quasi sempre disastrati) di risparmiare risorse pubbliche o di non inasprire tariffe e imposte locali. Inoltre, tra i costi dei lavoratori potrebbe esservi anche quello della perdita del posto di lavoro alla scadenza della concessione perché – a seconda di come viene disegnato il bando di gara – l’impresa eventuale vincitrice della nuova gara potrebbe non avere l’obbligo di confermare i contratti con il personale già occupato.

Federica con la sua storia ci fa capire che il mondo del lavoro precario è un universo variegato e, desolatamente, spesso è addirittura assai peggiore di quello che si riesce ad immaginare. E chiunque abbia a cuore la dignità delle persone e non conceda nulla all’idea che chi sta peggio è sempre l’artefice del proprio destino non può non chiedere che venga fatto qualcosa, presto e bene.

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