Come è cambiata nel tempo la geografia dei lavoratori super-ricchi?

Alessandra Casarico, Edoardo Di Porto, Salvatore Lattanzio e Paolo Naticchioni si occupano di top earner, i lavoratori che percepiscono super-stipendi. Utilizzando i dati INPS relativi ai lavoratori dipendenti del settore privato, gli autori mostrano come la quota di top earner in Italia sia concentrata al Nord e nella finanza. Disuguaglianze geografiche sono presenti anche nel numero di imprese che impiegano questo gruppo di lavoratori, contribuendo ad ampliare i divari territoriali nel nostro paese.

I lavoratori che percepiscono super-stipendi e occupano la parte alta della distribuzione dei salari sono stati al centro del dibattito accademico e di policy in anni recenti, alla luce delle evidenze che mostrano il loro contributo all’elevato livello e alla crescita della disuguaglianza dei redditi. In particolare, la ricerca accademica si è concentrata sulle ragioni che possono spiegare la progressiva concentrazione dei redditi di lavoro nelle mani di pochi. Alcune delle spiegazioni proposte si soffermano sul ruolo del progresso tecnologico che favorisce i lavoratori istruiti rispetto a quelli che non lo sono; sull’importanza delle superstars in un mercato globalizzato; sull’assenza di un mercato del lavoro concorrenziale per i lavoratori che ricevono super-stipendi e hanno discrezionalità nella determinazione della loro stessa remunerazione (si vedano i contributi in Symposium: the top 1 per cent). Ad esse si affianca una politica tributaria che ha portato ad una riduzione significativa – in particolare in alcuni paesi – delle aliquote marginali più elevate, con effetti di rinforzo dei comportamenti opportunistici dei titolari di super-redditi e riduzione della capacità delle politiche pubbliche di contrastare l’aumento nella disuguaglianza stessa (si vedano ad esempio Atkinson et al. 2011, Franzini, Granaglia e Raitano, 2014 e Franzini e Pianta, 2016).

Sebbene in Italia la quota di reddito di lavoro detenuta dall’1 per cento più ricco dei lavoratori sia ampiamente inferiore a quella osservata per Regno Unito e Stati Uniti, i due paesi occidentali in cui questa quota è più alta e cresciuta più rapidamente, anche nel nostro paese la concentrazione dei redditi nel top 1 per cento è aumentata sensibilmente, come già descritto nella Relazione INPS di luglio 2019: nel 2017 la quota di reddito di lavoro del top 1 per cento è stata pari al 7,2 per cento, a fronte di un corrispondente valore nel 1978 del 5 per cento. Quote detenute e loro dinamica nel tempo non sono però gli unici aspetti rilevanti per avere un’immagine completa dei super-stipendi e del loro possibile impatto economico e sociale: la distribuzione geografica dei top earner, ad esempio, e la sua variazione nel tempo segnalano come la concentrazione spaziale del reddito sia cambiata e, al contempo, la capacità di diverse aree del paese di attrarre i salari, le competenze e le possibilità di consumo dei lavoratori con super-stipendi.

In questo articolo ci proponiamo di fornire nuove evidenze descrittive sulla distribuzione geografica, settoriale e a livello di impresa dei top earner in Italia nel periodo 1985-2017. Ci focalizziamo sui lavoratori dipendenti del settore privato, utilizzando gli archivi amministrativi dell’Inps – che registrano le retribuzioni al lordo delle imposte sui redditi e dei contributi a carico dei lavoratori -, accessibili attraverso il programma VisitInps.

Poco si conosce sulla distribuzione geografica dei lavoratori con super-stipendi. La letteratura accademica si è focalizzata in particolare su come le aliquote fiscali locali influenzino la distribuzione di lavoratori “ricchi” tra paesi o all’interno di un territorio nazionale (Kleven et al., 2019, per una rassegna) e su come la mobilità dei super-stipendi in risposta a variazioni delle imposte possa essere un vincolo per gli sforzi redistributivi di un governo, nazionale o locale. La tassazione è chiaramente solo una delle ragioni che possono spiegare la concentrazione spaziale dei super-redditi. Altre potenziali spiegazioni risiedono nei benefici derivanti dalle economie di agglomerazione, che implicano la presenza di guadagni in termini di produttività dalla concentrazione di lavoratori più istruiti in specifiche aree geografiche. Guadagni che possono materializzarsi anche per via della specializzazione in determinati settori economici (si pensi, ad esempio, a Seattle per internet e software, a Boston per le biotecnologie o a Londra per la finanza). Infine, i top earner potrebbero preferire alcune città o aree geografiche ad altre per via della disponibilità di servizi più efficienti o amenities più attraenti.

In Italia la concentrazione geografica dei redditi di lavoro è particolarmente evidente. La figura 1 mostra la distribuzione dei top earner per area geografica e per diversi percentili di reddito. Il grafico mostra come i redditi di lavoro più alti siano concentrati al Nord-Ovest, sia che si consideri il 10 per cento, l’1 per cento o lo 0,01 per cento più ricco della distribuzione. Inoltre, la concentrazione al Nord-Ovest tende ad aumentare al crescere del percentile considerato, a dimostrazione di come le disuguaglianze geografiche si accentuino man mano che ci si muove lungo la distribuzione dei redditi. Nello specifico, intorno al 44 per cento dei lavoratori appartenenti al 10 per cento più ricco lavora al Nord-Ovest, una percentuale che sfiora il 70 per cento nel gruppo di lavoratori appartenenti al top 0,01. Per intenderci, la soglia per accedere al top 0,01 per cento nel 2017 è pari a 533 mila euro. Quasi il 70 per cento di questi lavoratori (ossia 980 individui) è concentrato al Nord-Ovest e guadagna almeno questa cifra.

La distribuzione diseguale dei top earner sul territorio può riflettere differenze nella struttura produttiva e del mercato del lavoro delle diverse aree geografiche. Infatti, rispetto al totale dei lavoratori, i top earner tendono a concentrarsi in misura maggiore in alcuni settori rispetto ad altri. Se diverse aree geografiche sono caratterizzate dalla presenza di settori diversi, parte delle disuguaglianze territoriali possono riflettere differenze settoriali. In effetti, il peso dei settori nell’economia italiana non è omogeneo e la concentrazione settoriale dei lavoratori è cambiata nel tempo, come mostra la figura 2, che riporta la frequenza con cui si osservano i lavoratori nel loro complesso (“Totale dei lavoratori”) e quelli appartenenti al top 1 per cento in sei macro-settori, nel 1985 e 2017 (da qui in poi utilizzeremo il termine top earner per riferirci al top 1 per cento dei lavoratori). In entrambi gli anni si nota come i top earner siano sovra-rappresentati nel settore della finanza e dell’informazione e comunicazione (ICT). Nel 2017, i top earner sono sovra-rappresentati anche nell’industria (che include la manifattura), molto probabilmente a causa del calo generalizzato del peso della manifattura in termini di occupati nel mercato del lavoro italiano. Una possibile spiegazione della dinamica osservata nell’industria risiede nel cambiamento tecnologico che ha interessato il settore, che si è spostato verso produzioni ad alta intensità di capitale (per esempio, robot o macchinari) rispetto al fattore lavoro (Chiacchio et al., 2018). La quota di lavoratori impiegati nel settore è dunque calata (perché rimpiazzati dalle macchine), ma i lavoratori con super-stipendi – complementari all’automazione perché più qualificati – hanno mantenuto costante la loro quota di impiego nel settore, traendo i maggiori benefici dall’effetto positivo della robotizzazione sulla produttività.

Possiamo indagare più nel dettaglio la distribuzione geografica e settoriale dei top earner, analizzando congiuntamente in quali settori e aree geografiche è maggiore la loro concentrazione o, in altre parole, fornendo una scomposizione settoriale della figura 1. La figura 3 mostra come la percentuale di lavoratori appartenenti al top 1 per cento sia concentrata particolarmente nei settori dell’industria, della finanza e del commercio al Nord-ovest. È peraltro evidente come la finanza al Nord-ovest abbia attratto più lavoratori con super-stipendi intorno all’inizio degli anni 90, quando la percentuale di top earner è passata dall’8,5 al 13,4 per cento tra il 1990 e il 1995. È possibile che la liberalizzazione del settore bancario avviata nel 1990 con la legge Amato e la successiva revisione del Testo Unico Bancario possano spiegare questa dinamica. Sebbene questi cambiamenti si applichino su tutto il territorio nazionale, possono aver inciso maggiormente nei territori in cui era più elevata la concentrazione di banche e assicurazioni, in linea con la teoria delle economie di agglomerazione: infatti, nel 1985 il Nord-ovest era la sede del 38 per cento delle banche e assicurazioni presenti sul territorio nazionale. La crescita di un settore può dar luogo a sua volta a fenomeni di attrazione, per via della domanda di servizi complementari al settore in crescita. In maniera del tutto suggestiva, potremmo tentare di spiegare in questo modo la successiva crescita della percentuale di top earner nei settori di informazione e comunicazione e dei servizi professionali e amministrativi, probabilmente complementari alla finanza e alle assicurazioni nella fornitura di alcuni servizi.

I lavoratori ricchi possono essere concentrati non solo geograficamente o settorialmente, ma anche in un numero ristretto di imprese che, per loro caratteristiche specifiche – ad esempio perché più produttive o perché impiegano lavoro più qualificato –, possono assorbire la gran parte dei lavoratori con salari più elevati (e dunque probabilmente più produttivi). Poco si sa, non solo per l’Italia ma anche per gli altri paesi, sulla relazione che esiste tra imprese e lavoratori con super-stipendi: sono poche o molte le imprese che pagano super-stipendi? La numerosità di queste imprese cambia a seconda dell’area del paese a cui guardiamo? La figura 4 mostra nel pannello di sinistra il numero totale di imprese che impiegano almeno un lavoratore appartenente al percentile più ricco della distribuzione dei redditi di lavoro. Il numero assoluto di queste imprese è aumentato a livello nazionale, ma l’aumento è stato nettamente più marcato al Centro-Nord rispetto al Mezzogiorno. Il numero assoluto potrebbe tuttavia riflettere un incremento generalizzato del numero di imprese sul territorio. Per questo motivo, il pannello di destra mostra il rapporto tra le imprese che impiegano un top earner e il numero totale di imprese dell’area. Le differenze geografiche sono evidenti, e tendono a crescere nel tempo per via di un calo nel Mezzogiorno nella presenza di imprese che impiegano lavoratori “ricchi” e per un aumento nella presenza di tali imprese al Nord, al netto del calo generalizzato registrato tra il 1990 e 1995.

Le stesse conclusioni sono raggiunte se, invece di guardare alle imprese che impiegano almeno un top earner, analizziamo le imprese che ne impiegano più di dieci. Avere un top earner potrebbe infatti non essere particolarmente informativo su quanto siano concentrati i lavoratori ricchi in un ristretto gruppo di imprese. Le differenze territoriali sono comunque presenti anche per il gruppo di imprese che impiegano più di dieci top earner e, anzi, emerge ancora di più il gap tra le regioni del Nord e le altre. Infatti, la percentuale di imprese capaci di attrarre più di dieci top earner cresce tra il 1985 e il 2017 solo al Nord-Ovest (dallo 0,23 allo 0,27 per cento) e al Nord-Est (dallo 0,1 allo 0,13 per cento), mentre diminuisce sia al Centro (dallo 0,16 allo 0,12 per cento) sia nel Mezzogiorno (dallo 0,06 allo 0,02 per cento).

Le evidenze descrittive proposte illustrano come sia opportuno tenere in considerazione non solo la crescita dei salari dei lavoratori ad alto reddito, ma anche la loro distribuzione geografica, settoriale e per impresa, se l’obiettivo è comprendere le diverse dimensioni della disuguaglianza nel mercato del lavoro. Dall’analisi dei dati emergono importanti fenomeni di concentrazione territoriale e settoriale dei lavoratori con super-stipendi e delle imprese che li impiegano. In un mercato del lavoro in cui i benefici della prossimità geografica sono sempre più importanti, pur in un’epoca in cui tecnologia e globalizzazione hanno permesso di ridurre le distanze materiali, la domanda su quali siano le politiche efficaci per diffondere un benessere che appare sempre più concentrato è aperta.

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