L’Istat è da sempre impegnata nello studio delle disuguaglianze. E’ è sufficiente richiamare il nome del primo presidente dell’Istituto: Corrado Gini, autore di una delle misure di concentrazione (Variabilità e mutabilità, 1912) ancora oggi più utilizzata e diffusa al mondo nella rappresentazione e nello studio di questo fenomeno.
Il legame tra studio della disuguaglianza e qualità dei dati statistici è un tema cruciale. Già nel 1920 H. Dalton (The Measurement of the Inequality of Incomes, The Economic Journal, Vol. 30) rilevava che la scarsa conoscenza delle disuguaglianze dei redditi – a quei tempi – fosse riconducibile, anche, all’inadeguatezza delle statistiche disponibili.
Dal 1920 molto è cambiato. Lo stesso A. Deaton nel suo discorso tenuto a Stoccolma in occasione della consegna del premio Nobel ( Measuring and Understanding Behavior,Welfare, and Poverty; American Economic Review, 2016) ha ribadito l’importanza dell’utilizzo delle indagini sulle famiglie per rilevare e misurare le loro condizioni di vita (disuguaglianza, esclusione sociale, povertà), informazioni che non sarebbe possibile ottenere dai tradizionali indicatori macroeconomici. Allo stesso tempo ha sottolineato, però, l’importanza della qualità dei dati; in alcuni casi, infatti, gravi problemi possono minacciare la comprensione dei fenomeni osservati.
L’Istat ha recentemente avviato un progetto strategico per lo sfruttamento del sistema di indagini e delle fonti amministrative a disposizione per la misurazione della disuguaglianza, proprio con l’obiettivo di sviluppare e valorizzare l’informazione statistica sul tema. Questo progetto è in linea con il piano di modernizzazione dell’Istituto che mira all’integrazione ex ante delle fonti di dati al fine di consentire analisi di tipo micro-longitudinale.
Questa esigenza di integrare sempre di più le diverse fonti di dati disponibili è, del resto, al centro anche del recente Memorandum di Vienna, con il quale la Conferenza dei direttori generali degli Istituti nazionali di statistica dell’Unione europea ha sottolineato come reddito, consumo e ricchezza rappresentino congiuntamente tre dimensioni chiave per studiare il benessere economico delle persone e le disuguaglianze materiali. La conoscenza della loro distribuzione congiunta è un elemento fondamentale per comprendere i fattori di crescita e gli sviluppi macroeconomici, le dinamiche delle disuguaglianze, gli effetti sociali delle riforme economiche e la misurazione dei progressi compiuti nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Nelle statistiche ufficiali attualmente prodotte dal sistema statistico europeo (ESS), le informazioni su reddito, consumo e ricchezza sono rilevate separatamente da tre diverse fonti di dati sulle famiglie: in Italia l’Istat raccoglie i dati sul reddito dall’indagine Eu-Silc e quelli sui consumi dall’Indagine sulle spese, mentre Banca d’Italia rileva i dati sulla ricchezza tramite l’Indagine sui bilanci delle famiglie.
Altro importante fronte di lavoro, per il miglioramento della qualità dell’informazione statistica ufficiale, è quello della coerenza fra indagini campionarie sulle famiglie e aggregati macroeconomici realizzati all’interno del Sistema dei Conti Nazionali. L’attività in questa direzione si svolge sotto l’egida di Ocse-Eurostat: l’obiettivo finale è sia quello di pervenire a un quadro omogeneo tra distribuzione funzionale (contabilità nazionale) e distribuzione personale/familiare (indagini), sia di migliorare la qualità dell’informazione sulla distribuzione dei redditi, superando i noti limiti che caratterizzano le fonti da indagine: under-reporting, missing top incomes reporting ed evasione totale. Tali limiti condizionano, come sottolineato anche nella letteratura di riferimento (cfr S.Jenkins, Taking better account of top incomes when measuring inequality levels and trends, 2nd Meeting of Providers of OECD Income Distribution Data, 2016), le analisi sui top income, che hanno assunto negli ultimi anni un ruolo predominante sia per la misurazione della diseguaglianza sia per la comprensione della sua dinamica più recente. Si tratta, quindi, di analisi che potrebbero rivelarsi molto utili per gli studi inerenti a queste tematiche.
A breve l’Istat diffonderà un report sulla distribuzione del reddito e gli effetti redistributivi dell’intervento pubblico, con dati aggiornati al 2016, realizzato con il modello di micro-simulazione dell’Istat sulle famiglie FaMiMod.
Le stime mostrano che nel 2016 la disuguaglianza, misurata dall’indice di Gini, si riduce per effetto dei trasferimenti pubblici dallo 0,45 dei redditi primari guadagnati sul mercato allo 0,30 dei redditi netti (Tabella 1). L’effetto equitativo dei trasferimenti, che riducono la diseguaglianza di 0,11 punti, è prevalente rispetto a quello del prelievo tributario e contributivo, che invece la riducono di 0,4 punti. I dati confermano inoltre che, nel Mezzogiorno, la diseguaglianza dei redditi primari è più alta rispetto al resto del Paese e il sistema di tasse e benefici ha un impatto redistributivo relativamente maggiore, soprattutto per effetto dei trasferimenti.
Tabella 1: Diseguaglianza prima e dopo i trasferimenti e il prelievo, per ripartizione – Anno 2016
Disuguaglianza (indice di gini) | ||||
Nord | Centro | Mezzogiorno | Italia | |
Reddito Primario | 0.41 | 0.43 | 0.48 | 0.45 |
Effetti dei trasferimenti | -0.1 | -0.1 | -0.12 | -0.11 |
Reddito Lordo | 0.31 | 0.33 | 0.35 | 0.34 |
Effetti del prelievo | -0.04 | -0.04 | -0.04 | -0.04 |
Reddito Netto | 0.27 | 0.29 | 0.31 | 0.3 |
Effetti dei trasferimenti e del prelievo | -0.14 | -0.14 | -0.17 | -0.15 |
Fonte: modello di microsimulazione delle famiglie FaMiMod
Negli ultimi anni, poi, il rapporto fra il reddito totale percepito dal quinto più ricco e quella del quinto più povero della popolazione (S80/S20 ) evidenzia un ritorno ai livelli di diseguaglianza pre-crisi (5,2 nel 2016); tale andamento è per la maggior parte riconducibile a un miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro (la diseguaglianza era passata nel periodo 2007/2013 da 5,2 a 5,8).
Come è noto la diseguaglianza è stata spesso messa in relazione con altri fenomeni al fine di individuare un possibile nesso di causalità. Ad esempio, Stiglitz in The price of inequality sostiene che la disuguaglianza ha effetti sulla società perché un suo incremento influenza negativamente la coesione sociale, la criminalità, lo stato di salute, e anche altre dimensioni sociali.
Il livello e la realizzazione delle opportunità socioeconomiche dipendono, quindi, da un complesso sistema di dimensioni, anche non-monetarie, sulle quali l’Istituto è fortemente impegnato a fornire un quadro statistico, anche in linea con quanto indicato dalla Commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi (Report on the Measurement of Economic Performance and Social Progress). A questo proposito, è importante ricordare la novità dell’inclusione degli indicatori di benessere equo e sostenibile tra gli strumenti di programmazione e valutazione della politica economica nazionale, come previsto dalla riforma della Legge di Bilancio, entrata in vigore nel settembre scorso. La sfida posta dalla nuova legge di bilancio, e in cui l’Istat è pienamente impegnata, è quella di fornire un quadro di indicatori che supporti il governo nell’identificazione delle priorità e dei problemi principali del Paese e, in prospettiva, nella valutazione degli effetti degli interventi di politica economica.
* Questo articolo riproduce l’intervento tenuto alla Facoltà di Economia della Sapienza, il 3 maggio 2017 in occasione della Tarantelli Lecture, del prof. Stiglitz