Democrazia culturale: i millennial nel vuoto politico

Annalisa Cicerchia dopo aver illustrato i dati sulle caratteristiche della pratica e della partecipazione culturale dei Millennial italiani, sostiene che i giovani sono la parte della popolazione italiana più coinvolta nelle arti e nel patrimonio e richiama l’attenzione sull’assenza di politiche a sostegno della domanda culturale, le cui conseguenze sono non soltanto il crollo dei consumi culturali fra gli adulti, ma anche e soprattutto il permanere di forti barriere e di disuguaglianze sociali profonde.

La pratica e la partecipazione artistica e culturale, soprattutto per le persone giovani, oltre a contribuire a determinare la qualità del loro tempo libero, arricchiscono le loro conoscenze, abilità e competenze. Ancora: alimentano la loro curiosità, la loro fiducia in se stessi, lo spirito critico e la capacità di immaginazione e di pensiero creativo. Hanno, come ormai è abbondantemente dimostrato, un effetto positivo sul loro senso di benessere, e, in qualche caso, perfino sul loro stato di salute percepita.

Eliminare le disuguaglianze nelle opportunità di pratica e partecipazione culturale e artistica dovute a motivi fisici, economici e sociali, abbattere le barriere di accesso, tangibili e intangibili, è la forma più compiuta di democrazia culturale. Che, peraltro, può contribuire non poco a favorire la mobilità sociale, così debole nel nostro paese.

Chi si prende, in Italia, questo compito? Le politiche culturali per i giovani, nel nostro paese, sono terra di nessuno. A livello centrale, le risorse a copertura del pur esile e simbolico Bonus 18 anni sono state appena dimezzate. A livello regionale, si procede in ordine sparso, con molte assenze totali.

Nessuna sorpresa, quindi, se mancano indagini conoscitive sulla vitalità culturale dei nostri giovani. Un buon segnale in controtendenza è, però, il Rapporto appena pubblicato dall’Associazione Civita (Valeri, Millennials e Cultura nell’era digitale. Consumi e progettualità culturale tra presente e futuro, 2019), che riprende e approfondisce con nuovi dati una esplorazione tentata per la prima volta sei anni prima (Cicerchia, La partecipazione culturale dei giovani in Italia: la musica e l’arte contemporanea, 2013) e che conforta, con nuove evidenze, una tesi anti-intuitiva: i giovani sono tutt’altro che estranei alla partecipazione e alla pratica artistica e culturale. Il problema, semmai, sono gli adulti.

Millennial, tempo libero e partecipazione culturale nei dati della statistica ufficiale. Si definiscono Millennial le persone nate fra il 1980 e i primi anni 2000. In assenza di una vera e propria classificazione universalmente accettata, si può ragionevolmente delimitare questo insieme a chi nel 2018 aveva tra 15 e 32 anni.

Al 1 gennaio 2017, vivevano in Italia circa 11,2 milioni di ragazze e ragazzi nati tra il 1986 e il 2003: il 19,4% della popolazione totale. La classe dei più giovani, fra 15 e 17 anni, è ovviamente la meno numerosa (meno del 4%). La classe 18-24 anni si aggira sul 6% della popolazione italiana e quella dei giovani adulti, 25-32 anni, arriva quasi al 9%.

Cercando dati sulla cultura nei sistemi statistici di diversi paesi, ci si accorge che la “geografia tematica” in cui essa è collocata varia notevolmente. L’indirizzo più recente, ben strutturato e conosciuto, è quello dell’economia della cultura, interessato soprattutto a politiche, imprese, occupati, spesa e prodotti. Una seconda posizione fa riferimento alla distinzione fra tempo del lavoro e tempo libero, collocando organizzazioni, processi, flussi di spesa e pratiche culturali accanto a quelli motivati da interessi spirituali e religiosi, sportivi, di gioco (anche d’azzardo!) e alle attività ricreative, nonché al turismo. Il terzo posto, il più antico, è costruito sulla parentela fra le statistiche culturali e le politiche dell’istruzione e dell’educazione: il tema è il capitale umano.

Oggi la nozione di tempo libero avrebbe bisogno di una ridefinizione, perché il suo complemento, il tempo del lavoro, soprattutto nella fascia di età che ci interessa, si è drasticamente ridotto. Nel 2018, in Italia, gli occupati di età tra 15 e 34 anni sono 4 su 10 e meno di 2 su 10 nella fascia 15-24 anni. In parte, questo è dovuto al protrarsi degli studi, ma è bene ricordare che poco meno di 2,2 milioni di giovani fra 15 e 29 anni – cioè un quinto dell’intero universo che stiamo considerando – sono NEET (not in education, employment or training), cioè non lavorano e non frequentano alcun corso di istruzione o formazione. Tra i NEET, l’incidenza delle donne è più elevata: 26,3% (contro il 22,4% degli uomini) e nel Mezzogiorno raggiunge il 34,2%. Nonostante il leggero calo degli ultimi due anni, l’Italia è al primo posto nella graduatoria dei 28 paesi europei per numero di NEET (la media europea è del 14,2% e dopo di noi vengono Bulgaria e Grecia).

L’ Istat non fornisce una definizione di tempo libero, ma distingue quello attivo da quello passivo. Possiamo, per esclusione, considerare tempo libero dei giovani quello non dedicato al riposo, alla cura personale, alla scuola, alle occupazioni domestiche, agli spostamenti. Secondo il Rapporto Istat I tempi della vita quotidiana, diffuso nel novembre 2016, tra il 2003 e il 2014 è aumentata la quota di giovani di 15-24 anni quotidianamente impegnati in attività formative (da 44,7% a 54,5%) e si è ridotta quella di chi svolge un lavoro retribuito (da 22% a 13,5%). I giovani guadagnano, inoltre, 23’ di tempo libero al giorno (da 5h10’ a 5h33’). Sin da bambine, le femmine svolgono più lavoro familiare e hanno meno tempo libero dei coetanei. La differenza comincia a manifestarsi già tra gli 11 e i 14 anni e aumenta sensibilmente al crescere dell’età.

Per quanto riguarda l’uso del tempo libero al primo posto, tra i 15-24enni si colloca la vita sociale (27,2% del tempo libero di un giorno medio settimanale, pari a 1h30’). Al secondo posto c’è la tv (24,7%, pari ad 1h22’), al terzo posto (13,2%) si trovano le attività sportive e all’aperto (44’), al quarto l’utilizzo del PC, di Internet e la messaggistica, che occupa il 9,6% del tempo libero dei giovani di 15-24 anni, superando la mezz’ora in media (32’) e coinvolgendone oltre un terzo (34,5%).

Più marginale il tempo per i consumi culturali, che coinvolgono soprattutto le ragazze nelle classi di età di 11-14 e 15-24 anni: circa un quinto di loro passa almeno 10’ leggendo (rispettivamente il 23% e il 19,4%), contro il 13% per il complesso della popolazione di 3-24 anni; il 5,2% delle giovani di 15-24 anni dedica del tempo ad attività culturali (cinema, mostre, musei, ecc.), contro il 3,8% della popolazione 3-24 anni.

Nel 2017, quasi 9 ragazzi su 10 di età tra i 15 e i 19 anni sono stati al cinema almeno una volta nei 12 mesi precedenti l’intervista. La quota per la fascia 20-24 anni è leggermente più bassa (8 su 10) e quella per i 25-34 scende ancora (7 su 10), ma la media della popolazione italiana di tutte le età – in calo rispetto al 2016 – è appena del 50%. Musei e mostre sono stati visitati almeno una volta dal 56% dei 18-19enni, dal 45% dei 20-24enni e dal 34% dei 25-34enni. Le percentuali sono tutte ben superiori alla media della popolazione totale (31%), e in crescita rispetto al 2001, a coronamento degli sforzi congiunti di scuole e istituzioni museali. Per il teatro, il tasso di partecipazione è cresciuto rispetto al 2001 per i più giovani, che sono passati dal 24 al 29% e per i ragazzi di 18-19 anni (dal 27 al 30%), mentre i 20-24enni sono rimasti stabili; la quota dei giovani adulti ha perso tre punti ed è perfino scesa al di sotto della media nazionale (19%). Per i concerti di musica classica, si registrano consensi inferiori al 12%, che però sono sufficienti per collocare tutti i Millennial al di sopra della media nazionale (9%). Gli altri concerti sfiorano il 40% nel gruppo dei 20-24enni, staccando di 20 punti la media italiana complessiva.

La completa inattività culturale, definita come la condizione di chi, negli ultimi 12 mesi, non ha fruito di spettacoli o intrattenimenti fuori casa e non ha letto quotidiani o libri, caratterizza un italiano su cinque, con punte del 45% tra gli ultra settantacinquenni. I ragazzi e i giovani fino a 24 anni totalmente inattivi sono tra il 5 e il 6%, ma nella fascia di età 25-34 la quota sale al 13%.

Custodi, artefici, cercatori e funamboli. Il Centro Studi “G. Imperatori” dell’Associazione Civita ha promosso nel 2018 una indagine sui consumi e la progettualità culturali dei Millennial italiani. Lo studio, con rilevazioni qualitative in profondità e rilevazioni quantitative, ha affrontato temi come identità e autorappresentazione; valori e aspettative; significati e ruolo della cultura nei contesti personali e sociali; attitudine al consumo culturale e propensione alla produzione creativa. Tra i risultati del lavoro, c’è una lettura suggestiva degli stili di pratica, consumo e produzione culturale dei giovani articolata, in quattro cluster principali:

– “Custodi” (38% del campione, fra i 25 e i 32 anni, con prevalenza femminile): ragazzi per i quali la cultura è un sistema di saperi codificati ereditati e trasmessi dalle generazioni precedenti e, pertanto, di stampo conservativo-tradizionalista;

– “Artefici” (30%, fra i 15 e 17 anni, in prevalenza maschi) per i quali la cultura è esplorazione di proposte e soluzioni originali e personali, in discontinuità con i modelli trasmessi dai genitori e dalle agenzie istituzionali;

– “Cercatori” (17%, in prevalenza di genere femminile, residenti nel Mezzogiorno) in bilico tra frustrazione per la complessità della propria condizione di vita e desiderio di stabilità, che vivono la cultura come risorsa per la propria affermazione sociale e potenziale leva di crescita;

– “Funamboli” (15%, cluster più istruito, residente nel Nord Ovest e dedito al lavoro) che percepiscono la cultura come complesso di conoscenze aperto e dinamico, in equilibrio fra tutela della tradizione e sperimentazione innovativa.

 L’educazione culturale che non c’è. In Italia, lo spazio per la cultura nelle politiche giovanili va comprimendosi e si appiattisce sempre di più sulla spendibilità occupazionale delle competenze culturali e creative, delle quali non è peraltro chiaro come i giovani dovrebbero entrare in possesso. La retorica dei talenti che si accompagna a questo spostamento di obiettivo è pericolosa, perché avalla l’idea che la creatività e la sensibilità artistica nei giovani siano doni di natura, che vanno solo scoperti e raffinati, e non il risultato di lunghi, articolati e pazienti percorsi educativi apparentemente inutili, in ambienti formali e informali adatti, alimentati da investimenti di risorse di ogni tipo, e anche da studio, apprendimento, sperimentazione, ricerca, fatica.

Le politiche giovanili sono oggetto di attività specifica in 16 Regioni. Quelle che comprendono programmi rilevanti di natura culturale, artistica, creativa, si riducono però a Lazio, Liguria, Marche, Sardegna, Toscana e Trentino-Alto Adige.

Al territorio spetterebbe il compito di creare per i giovani, anche quelli che non studiano, e quelli le cui famiglie non hanno abitudini di partecipazione, opportunità di essere coinvolti dall’arte e dalla cultura, di appassionarsene e di impadronirsene, di sentirsi a proprio agio, a casa propria, per goderne e per crearne di nuova. Difficile ricostruire un quadro delle esperienze dei Comuni, ma a questo livello istituzionale si trova ancora qualche residuo di politiche a sostegno della domanda e della partecipazione culturale grazie all’impegno dell’ANCI, che a questo dedica risorse proprie aggiuntive rispetto alla quota del Fondo per le politiche giovanili.

Alla fine di tutto, però, l’istituzione sulla quale in Italia ricade la parte più grande della responsabilità dell’educazione culturale resta la famiglia. La conseguenza principale dell’accentramento sulla famiglia, oltre che la polverizzazione, è la perpetuazione delle disuguaglianze, a partire dalla formazione del gusto e a seguire con i gradi di libertà di scelta dei comportamenti culturali.

Il senso delle politiche culturali, la loro direzione principale, dovrebbe essere invece la correzione degli squilibri, la riduzione delle distanze, l’inclusione degli esclusi, l’abbattimento delle barriere.

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