I costi sociali della trasgressione dell’obbligo di quarantena

Daniele Ingarrica e Simone Tedeschi discutono l’efficienza dell’attività normativa di contenimento del Covid-19. Utilizzando dati ufficiali, calcolano un intervallo di valori – in termini di giorni di lockdown, perdita di Pil e aumento dei disoccupati - per il costo sociale della trasgressione delle norme da parte degli individui contagiati e concludono che, in vista della fase 2, sarebbe opportuno applicare norme più dissuasive, grazie alla maggiore certezza e immediatezza delle sanzioni e al miglior coordinamento tra livelli di governo.

Le sanzioni introdotte dal governo per limitare gli spostamenti degli individui contagiati dal Covid19 quanto sono state efficaci? E se lo sono state in misura limitata, quali costi economici e sociali ne sono derivati per la collettività? Sono queste le domande alle quali si cerca di rispondere in queste note utilizzando dati ufficiali e adottando una prospettiva per la quale le sanzioni rilevano per la loro capacità di prevenire comportamenti che alimentano la diffusione del contagio e generano costi sociali. Come vedremo la questione è molto rilevante anche nella prospettiva della Fase 2.

Il nostro schema concettuale di riferimento è quello secondo cui la decisione di trasgredire una norma scaturisce da un calcolo razionale che tiene conto dei costi e dei benefici (certi e attesi) derivanti dalla trasgressione. Tra i costi rientra non soltanto l’entità della sanzione ma anche quanto si ritiene probabile incorrere in essa in caso di trasgressione, una probabilità che dipende sia dall’intensità dei controlli che dalla pubblicità che viene data ad essi. Dunque, questi costi sono determinati dal prodotto della entità della sanzione per la probabilità di essere scoperti e sanzionati.

Nel nostro caso un costo rilevante è, naturalmente, quello derivante dal rischio di contrarre la malattia e di soffrirne le conseguenze. Conta, dunque, anche la percezione sia della probabilità di restare contagiati sia della gravità della malattia.

Tra i costi (non monetari) possono rientrare anche quelli dettati dalle convinzioni o dal proprio senso etico (“non esco perché metterei a rischio la mia salute e quella degli altri”, oppure “non esco perché non si deve trasgredire la legge”) o dalla sensibilità verso la riprovazione sociale.

Infine, rilevante nel confronto tra costi e benefici è anche il lasso di tempo che intercorre tra il godimento del beneficio derivante dalla trasgressione e la sopportazione del costo connesso alla sanzione: più lungo è questo lasso di tempo, più è probabile che il calcolo porti a scegliere il comportamento trasgressivo.

Il decreto legge 19/2020 del 25/03/2020 al c.7 ha previsto l’applicazione del reato ex art. 260 del Regio Decreto n. 1265/1934 per coloro che, affetti da Coronavirus ed in quarantena domiciliare violano l’obbligo di non muoversi dalla propria abitazione. La sanzione consiste nell’arresto da 3 a 18 mesi e nell’ammenda da 500 a 5.000 euro.

Ad oggi (23 aprile) ben 753 persone sono state denunciate per tale titolo di reato. È facile ipotizzare che il numero di coloro che non hanno rispettato quell’obbligo sia significativamente maggiore. Tutto ciò si può spiegare con il fatto che nella prima fase della crisi, la pericolosità e/o la contagiosità del virus fossero mediamente sottostimate; la percezione che la sanzione fosse poco probabile e differita nel tempo e poco peso fosse dato alla riprovazione sociale. È probabile che col passare delle settimane sia la percezione del rischio che la riprovazione sociale siano aumentate mentre la sanzione – tramutata in sanzione amministrativa – è rimasta di importo abbastanza contenuto e, si può ritenere, ancora percepita come differita nel tempo e poco probabile.

Il numero dei denunciati (753) appare molto alto di per sé. Ma, soprattutto, sembrano essere molto alti i costi che ne sono scaturiti e che ora cercheremo di stimare riferendoci non soltanto al probabile numero di contagiati addizionali ma anche agli effetti che ciò può avere sul prolungamento delle misure di lockdown e, a causa di ciò, sul Pil e altre variabili economiche.

Il nostro primo obiettivo è stimare la data alla quale, date le tendenze in atto, si raggiungerà l’obiettivo di meno di 1000 nuovi casi di contagio giornalieri che possiamo convenzionalmente considerare la condizione per l’avvio della vera e propria Fase 2. Stimeremo quindi di quanto quella data può essere stata posticipata a causa dei 753 trasgressori e dai contagi da loro provocati e infine i costi economici del prolungamento del lockdown.

La figura 1 riporta le serie di dati forniti giornalmente dalla Protezione Civile relativi ai contagi totali, ai guariti, ai deceduti e, come differenza tra la prima serie e le seconde due, agli attualmente positivi.

Le prime due serie mostrano nella fase iniziale il noto andamento esponenziale. Interpolandole poi per mezzo di modelli statistici abbiamo ottenuto una stima del trend e, ex-ante, della loro possibile evoluzione. La diversa natura delle due serie impone la formulazione di differenti ipotesi sulla forma funzionale.

In particolare, secondo le nostre stime, la serie dei casi totali convergerebbe a partire da fine maggio ad un valore osservato di circa 210 mila casi, mentre le seconda serie avrebbe iniziato dal 21 aprile una discesa che, se proseguisse con il trend stimato, porterebbe lo stock di individui attualmente positivi sotto le mille unità giornaliere a partire dal 25 maggio.

La figura 2 mostra, oltre alla curva dei casi totali osservati e previsti di cui alla Figura 1, quella della variazione giornaliera (i nuovi casi) da leggere sull’asse a destra. Anche questa curva, dal 23 aprile si basa su una previsione, fuori dal campione osservato, della dinamica. Abbiamo altresì evidenziato il giorno in cui, qualora il trend procedesse con le medesime caratteristiche osservate sinora, la riduzione dei nuovi casi giornalieri, che oggi si trova intorno ai 2500 casi, scenderebbe al di sotto delle 1000 unità: in media per l’intero paese, sarebbe il 4 maggio.

Figura 1

Figura 2

Alla luce di questi andamenti possiamo ora cercare di stimare i costi sociali determinati dalla trasgressione delle norme da parte degli individui affetti da Covid-19. Tali trasgressioni favoriscono la diffusione dell’epidemia e allontanano la data di raggiungimento dell’obiettivo prima indicato. Semplificando un problema molto complesso, possiamo dire che cruciale al riguardo è la stima del

tasso netto di riproduzione del virus, ovvero il numero medio di persone a cui un individuo infetto può trasmettere la malattia in una popolazione che non ha mai contratto quella malattia, (detto R0).  L’evoluzione dell’epidemia dipenderà dai valori che tale indicatore assume nel corso della crisi, anche e soprattutto, in conseguenza delle misure adottate. Si parla in questo caso di tasso di riproduzione effettivo che per semplicità di notazione continueremo a chiamare R0

Se R0 è maggiore di 0 ma minore di 1, l’impatto di un singolo individuo sulla dinamica epidemica è positivo ma comunque contenuto. Ciò significa che un individuo positivo, non isolato o che non rispetti le regole di distanziamento personale, mette in moto una catena di contagi che anziché proseguire indefinitamente, converge a un valore finito, pari 1/(1- R0).

Il traguardo R0=1 sarebbe stato raggiunto di recente in Italia e, attualmente il valore effettivo si collocherebbe di poco sotto tale soglia. Per semplicità, assumiamo che esso sia pari a 0,9.

Con un simile valor medio, ogni individuo trasgressore, contaminerà nell’immediato, mediamente, poco meno di una persona (0,9) e metterà in moto un processo di diffusione dei contagi che si esaurirà, in un lasso di tempo più o meno lungo, dopo aver contagiato [1/(0,1)]=10 individui.

Ciò vuol dire che i 753 positivi trasgressori avrebbero potenzialmente dato luogo a un focolaio in grado di coinvolgere circa 7500 persone.

Va poi considerato che R0 è caratterizzato da una significativa variabilità (si veda, ad esempio Flaxman et al., 2020), cosicché se esso tornasse ad aumentare anche di poco, i contagi potenziali si impennerebbero, E ciò potrebbe scaturire proprio dalle trasgressioni da parte di individui positivi.

Nella Figura 3 riportiamo la stima della dinamica dei nuovi casi in tre diversi scenari: lo status quo, e due situazioni controfattuali, caratterizzate da assenza di trasgressioni e diverso tasso di riproduzione.

Come si è detto nello status quo il traguardo dei 1000 nuovi casi sarebbe raggiunto il 4 maggio. Se, invece, non si fossero verificate le trasgressioni:

  1. nel primo scenario (R0=0,9, rappresentato da curva e retta verticale verde) la fine del lockdown si sarebbe raggiunta un giorno prima (ovvero il 3 maggio);
  2. nel secondo scenario (R0=0,99, rappresentato da curva e retta verticale viola), l’anticipo sarebbe stato di sette giorni (dunque il 27 aprile).

Dunque, secondo le nostre ipotesi, i 753 positivi trasgressori porrebbero a carico della collettività un costo in termini di incremento della durata del lockdown, compreso tra uno e sette giorni.

Poiché «ogni settimana di blocco dell’attività economica di questa portata comporta, secondo un calcolo meccanico che non considera effetti indiretti, una riduzione del Pil annuale di circa lo 0,5 per cento» (Bancaditalia, 2020), nell’esercizio da noi svolto, il costo in termini di Pil delle 753 violazioni sarebbe compreso tra lo 0,07% e lo 0,5% del Pil, ovvero a tra 1,2 e 8,9 miliardi di euro. Applicando una elasticità del tasso di disoccupazione rispetto al Pil pari a 0,52 (seguendo le ipotesi adottate in un precedente articolo apparso sul Menabò) ne conseguirebbe un aumento del tasso di disoccupazione compreso tra 0,038 e 0,27 punti percentuali e quindi, considerando che il numero di persone in cerca di lavoro è pari a circa 2,5 milioni, corrispondenti a un tasso di disoccupazione pari al 9,7% della forza lavoro, si avrebbero tra i 9.800 e i 70.000 disoccupati incrementali. In termini individuali, il costo in termini di perdita di valore aggiunto, sarebbe compreso tra i 1,6 e i 11,8 milioni di euro.

Naturalmente questi dati varierebbero se R0 risultasse più alto o più basso. Ma ciò che ci preme mettere in luce è l’ordine di grandezza – decisamente ingente- degli effetti della trasgressione.

Figura 3

Questi risultati, unitamente al numero di decessi che si sarebbero potuti evitare, mostrano quanto siano importanti norme con una forza dissuasiva maggiore. Non occorrono sanzioni o pene esemplari ma, piuttosto, azioni immediatamente eseguibili e dunque di maggior impatto. Ed è auspicabile che di questo si tenga conto nel definire le disposizioni che regoleranno la fase 2.

Al riguardo è interessante osservare cosa è accaduto tra il 25 e il 26 marzo quando il Governo ha preso in considerazione la possibilità di procedere al sequestro immediato dell’autovettura o del mezzo utilizzato dal trasgressore: l’intensità del fenomeno è diminuita drasticamente (Figura 4).

Figura 4

Già dal giorno successivo alla pubblicazione del decreto legge che tramutava la sanzione prevista dall’art. 650 c.p. in sanzione amministrativa e non prevedeva il sequestro del veicolo, il numero dei sanzionati è risalito significativamente.

Sembrerebbe che la sola ipotesi del sequestro del mezzo abbia esercitato un efficace effetto dissuasivo. Questa può essere un’utile indicazione per rendere più efficaci le misure di prevenzione nella Fase 2.  Ed è anche utile che il Governo, grazie anche a un comunicazione più chiara ed efficace,  cerchi di persuadere tutti i cittadini ad adottare in modo coordinato nuove forme di comportamento, nella consapevolezza che le disposizioni per la fase 2 risulteranno efficaci se la loro osservanza sarà  compatibile con l’interesse di ogni attore – cittadini, organi di controllo, magistratura e organi di governo –  e ciò avverrà più facilmente se  ciascuno si aspetta, che tutti gli altri le osservino.

 

(Questo articolo si basa su un più ampio lavoro scaricabile al seguente indirizzo: https://bit.ly/2yTuT49)

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