Il covid19 e la percezione del trade-off tra salute ed economia

I governi si trovano a fronteggiare il più grave shock sanitario dell’epoca moderna prendendo decisioni difficili che devono bilanciare la salute pubblica con la salvaguardia dell’economia. Diversi governi hanno scelto di graduare diversamente tali priorità, ma non è chiaro se questo corrisponda alle priorità dei governati che, peraltro, potrebbero non avere chiare le idee sul trade-off tra economia e salute. Checchi, De Paola, Dachille e Fontanarosa presentano i risultati di una survey condotta da INPS in cui sono state poste alcune domande tese ad esplorare la coerenza delle preferenze espresse dagli intervistati, registrando una sostanziale incoerenza in metà delle risposte.

* Questo articolo esce in contemporanea anche su lavoce.info (www.lavoce.info)

I suoi autori sono: Daniele Checchi, Maria De PaolaGiuseppe Pio Dachille, Francesca Fontanarosa

Il governo Conte 2 ha dovuto fronteggiare il più grave shock sanitario dell’epoca moderna prendendo decisioni difficili che dovevano bilanciare la salute pubblica con la salvaguardia dell’economia. Infatti, se da una parte restrizioni alle libertà individuali e alle attività produttive permettono di salvare vite umane, dall’altra esse producono, almeno nel breve periodo, ingenti costi economici; così come al contrario politiche meno restrittive permettono una ripresa dell’economia, ma al contempo facilitano la trasmissione del virus. Inizialmente il governo italiano ha dato priorità assoluta alla riduzione delle occasioni di contagio (il decreto Cura Italia del 17/3/20 prevedeva uno stretto lock-down delle famiglie ed il blocco dei settori produttivi non essenziali) e poi, durante la seconda ondata, ha cercato di contenere i costi economici con l’individuazione di aree regionali sottoposte a restrizioni differenziate. Una scelta che non solo ha dovuto, come si diceva prima, bilanciare questioni economiche e di salute (sulla base delle informazioni e delle opinioni fornite da medici ed economisti), ma che ha anche richiesto di interpretare e tener conto della valutazione dei cittadini del trade-off tra salute e economia. Se quest’ultima è in linea con le scelte del governo si otterranno benefici quantificabili non solo in maggiore popolarità, ma anche in termini di rispetto delle regole, poichè sarebbe estremamente difficile imporre restrizioni e farle rispettare se i benefici attesi dalle stesse non sono condivisi.

Nonostante ciò, le preferenze degli individui su temi complessi come quello in questione potrebbero non essere così chiare (tipicamente si vorrebbero meno contagi ma anche più posti di lavoro). Il trade-off alla base delle stesse coinvolge elementi emotivi e psicologici che possono indurre diversi tipi di distorsioni e generare preferenze instabili, incoerenti e soggette all’influenza di fattori irrilevanti che potrebbero far sì che ci sia divergenza tra ciò che gli individui preferiscono e ciò che effettivamente massimizza il loro benessere (si veda Kahneman, 2011; Thaler, 2015; Ariely, 2009). Questo tipo di problema può essere tanto più rilevante quanto meno le persone sono abituate a ragionare in termini di confronto tra costi e benefici.

Allo scopo di offrire evidenza su questi aspetti, utilizziamo le risposte fornite a due domande sul trade-off salute e economia proposte nell’ambito dell’indagine reputazionale condotta dall’INPS nel settembre 2020. In queste due domande è stato chiesto di esprimere una preferenza riguardo alle politiche tese a gestire l’emergenza Covid valutate rispetto al contenimento dei contagi o alla tutela dell’occupazione. La prima domanda è stata formulata in termini di minori contagi in cambio di maggiore disoccupazione, mentre la seconda è stata formulata in termini di minore disoccupazione in cambio di maggiori contagi.

Più precisamente la prima domanda chiedeva: “Ad oggi i casi di contagio in Italia per Covid-19 sono circa 565.000. Si stima che le misure adottate per contenere la pandemia comporteranno la perdita di circa 750.000 posti di lavoro in Italia entro dicembre 2021. Immagini un ipotetico piano di contenimento più stringente che permetta di evitare 50.000 nuovi contagi, ma con un costo addizionale in termini di posti di lavoro persi. Qual è il numero massimo di posti di lavoro persi che sarebbe disposto a sopportare per approvare il piano? (Nessuno; Fino a 4.000; Fino a 10.000; Fino a 20.000; Fino a 40.000; Tutti quelli necessari)”. Subito dopo si proponeva un’altra domanda in cui si chiedeva: “Immagini ora al contrario un ipotetico piano di contenimento della pandemia meno stringente che eviti la perdita di 20.000 posti di lavoro, ma che abbia un costo in termini di contagi aggiuntivi. Qual è il numero massimo di contagi aggiuntivi che sarebbe disposto sopportare per approvare il piano? (Nessuno; Fino a 25.000; Fino a 50.000; Fino a 100.000; Fino a 250.000; Tutti quelli necessari)”.

Utilizzando le risposte fornite a queste domande abbiamo ordinato le risposte in base alla priorità assegnata alla salute (con valori da 1 (min) a 6 (max). Nella tabella 1 è rappresentata la distribuzione congiunta del numero di rispondenti per questi due indicatori. Si può notare che la priorità assegnata alla salute rispetto all’economia è influenzata dal modo in cui il trade-off viene proposto; gli individui danno priorità maggiore alla salute quando si chiede di indicare il numero massimo di contagi aggiuntivi che si è disposti ad accettare in cambio di un maggior numero di posti di lavoro (domanda 2) rispetto a quando il trade-off viene proposto in termini di numero massimo di posti di lavoro che si è disposti a perdere in cambio di un minor numero di contagi (domanda 1; si noti che un’evidenza simile emerge da Carrieri et al. 2020).

Indice priorità salute Domanda 2
Indice priorità

salute Domanda 1

1 (min)23456 (max)Totale
1 (min)1206

(6.5%)

39

(0.2%)

77

(0.4%)

171

(0.9%)

757

(4.1%)

5091

(27.4%)

7341

(39.5%)

2120

(0.6%)

27

(0.1%)

57

(0.3%)

90

(0.5%)

620

(3.33%)

531

(2.9%)

1445

(7.8%)

379

(0.4%)

9

(0.0%)

63

(0.3%)

200

(1.1%)

504

(2.7%)

343

(1.8%)

1198

(6.4%)

476

(0.4%)

21

(0.1%)

90

(0.5%)

195

(1.0%)

273

(1.5%)

159

(0.9%)

814

(4.4%)

549

(0.3%)

38

(0.2%)

63

(0.3%)

80

(0.4%)

127

(0.7%)

91

(0.5%)

448

(2.4%)

6 (max)3982

(21.4%)

56

(0.3%)

101

(0.5%)

152

(0.8%)

446

(2.4%)

2596

(14.0%)

7333

(39.5%)

Totale5512

(29.7%)

190

(1.0%)

451

(2.4%)

888

(4.8%)

2727

(14.7%)

8811

(47.4%)

18579

(100.0%)

Poiché entrambe le domande propongono lo stesso trade-off, se gli individui si comportassero in modo razionale e non fossero affetti da bias cognitivi di nessun tipo, le risposte fornite dovrebbero essere tra loro coerenti (ad esempio, un individuo che alla prima domanda risponde “Nessuno” è coerente se alla seconda risponde “Tutti quelli necessari” mentre è totalmente incoerente se risponde “Nessuno” in entrambi i casi). Tuttavia, da quanto riportato in Tabella è evidente che in molti casi le risposte fornite sono incoerenti (ciò emerge anche da altri lavori che esaminano trade-off simili): circa il 49% degli intervistati fornisce risposte totalmente incoerenti, mentre circa il 23% degli individui mostra scelte perfettamente coerenti (la parte restante si distribuisce in maniera abbastanza uniforme a livelli di incoerenza intermedi). Il 62% si posiziona sulle opzioni estreme.

Attraverso un’analisi di regressione abbiamo cercato di identificare le caratteristiche individuali che si associano ad una maggiore incoerenza. I risultati ottenuti tendono a segnalare che quando si tratta di valutare scenari che coinvolgono un trade-off tra costi e benefici un ruolo importante è svolto dalle competenze individuali. Si evidenzia, infatti, una relazione positiva tra livello di istruzione e l’espressione di preferenze coerenti. Inoltre, le donne, i residenti al centro-sud e gli stranieri tendono a presentare un maggior grado di incoerenza. Poiché l’istruzione, per quanto rappresenti una proxy delle competenze individuali, non costituisce affatto una misura perfetta delle stesse, il segno negativo attratto dalla dummy donna potrebbe derivare dal gender gap nelle competenze matematiche, evidenziato da una vasta letteratura economica. Simile interpretazione può essere data anche riguardo alla differenza territoriale evidenziata dalle nostre stime, poiché il centro-sud, secondo molti studi, presenta un ritardo in termini di competenze rispetto al nord Italia. Infine, dalle minori competenze potrebbe dipendere anche la correlazione positiva tra lo status di immigrato e il livello di incoerenza; infatti, gli immigrati in Italia si caratterizzano tipicamente come una popolazione low-skilled.

Questa evidenza, pur se solo indicativa (anche perché non si possono escludere spiegazioni alternative), suggerisce che un miglioramento nelle competenze possedute dalla nostra popolazione (il cui livello secondo, ad esempio, l’indagine PIAAC è piuttosto basso rispetto ad altri paesi OCSE), non solo permetterebbe benefici in termini di benessere individuale e prospettive di crescita economica, ma consentirebbe anche un dibattito politico più proficuo poiché basato su una migliore comprensione delle problematiche in campo. Inoltre, in caso di trade-off complessi, che pongono confronti tra aspetti che coinvolgono anche elementi emozionali, è importante porre attenzione a come i quesiti vengono presentate cercando di fare in modo da ridurre l’influenza di fattori irrazionali e cercare di cogliere le reali preferenze degli individui.

Schede e storico autori