Già i primi economisti, da Nicolas de Condorcet a John S. Mill, avevano capito l’importanza cruciale dell’educazione in ambito famigliare e dell’istruzione generalizzata alla popolazione (cfr. ad esempio, Guarini, G. “Stato e istruzione: riflessioni di A. Smith, Menabò 13/1/2008). I motivi indicati erano molteplici: riscattare i più poveri dalla miseria, aumentare le loro capacità di lavoro, svelare i talenti per far avanzare la frontiera delle conoscenze, ridurre il problema sociale delle dipendenze, come quella dall’alcool. Nei nostri giorni, l’espansione dei mercati a livello globale e la cosiddetta rivoluzione dell’ICT (tecnologie dell’informazione e comunicazione) hanno spinto l’istruzione in una direzione diversa, quella della specializzazione, peraltro riservata a chi può.
Negli Stati Uniti, in cui il fenomeno è particolarmente evidente, la spinta all’istruzione si è trasformata nella corsa di molte famiglie per far laureare i propri figli nelle università e nei corsi di studio che più garantiscono un lavoro prestigioso, a costo di indebitarsi pesantemente. Questo ha contribuito alla cosiddetta ‘sovra-istruzione’, resa evidente dal ridotto utilizzo delle competenze acquisite da parte dei nuovi occupati. Il numero di laureati sembra essere infatti aumentato al punto da renderli eccedenti, riducendo in tal modo le loro remunerazioni rispetto alle aspettative. Il sistema universitario si è orientato sempre di più alla specializzazione, e si sono moltiplicati i corsi post-laurea. Anche il sistema scolastico si è adeguato a questo orientamento, cosicché le famiglie cominciano a preoccuparsi del prestigio sociale dei loro figli quando questi sono ancora piccoli.
D’altra parte, l’ammissione ai college universitari è diventata molto più difficile, e questo ha scoraggiato gli studi tra gli studenti delle scuole. Un’evidenza di questo è data dal declino della quota dei giovani americani che hanno conseguito il diploma di scuola secondaria superiore.
Il fenomeno della sovra-istruzione fu osservato oltre tre decenni fa da Tibor Scitovsky, economista ungherese emigrato negli Stati Uniti negli anni ‘30, il quale ne diede anche una spiegazione particolarmente radicale. Infatti, capì subito che la sovra-istruzione non era un problema di aggiustamento troppo lento dell’offerta di giovani specializzati alla domanda proveniente dalle imprese. Secondo Scitovsky, i giovani ambivano ai posti di lavoro prestigiosi perché questi erano così riconosciuti socialmente. Infatti, oggi ancora più di allora, la corsa all’istruzione specialistica è una corsa allo status, oltre che ad un’elevata remunerazione. Ma nella corsa allo status il gioco è a somma zero: chi vince un posto prestigioso spiazza qualcun altro. Dunque, la sovra-istruzione non è un fenomeno transitorio, secondo Scitovsky, ma potrebbe anche aggravarsi.
Questa spiegazione è particolarmente radicale perché considera la corsa allo status come una forma di dipendenza, come fosse un comportamento di cui non si può fare a meno, mettendo così in evidenza la mancanza di autonomia nelle proprie scelte di vita e di consumo. Invece – sostiene Scitovsky – questa autonomia potrebbe essere sviluppata attraverso un’opportuna formazione generalista (sul tema, cfr. Pugno M. On The Foundations of Happiness in Economics: Reinterpreting Tibor Scitovsky, Routledge, 2016).
La differenza cruciale tra istruzione specialistica e formazione generalista può essere descritta come una diversa capacità di scelta che si può acquisire. Mentre nel primo caso, la capacità riguarda la scelta tra opzioni che richiedono una conoscenza approfondita ma che sono molto sostituibili tra loro, come la scelta tra input produttivi. Nel secondo caso, le opzioni in ballo hanno conseguenze molto incerte e soddisfano bisogni molto diversi, come ad esempio le scelte che riguardano la famiglia, gli studi, la mobilità geografica.
Oggi scegliere appare più complicato di una volta perché l’orizzonte delle scelte si è ampliato a dismisura ed è diventato più incerto, mentre le competenze si sono concentrate su singoli e ben definiti segmenti a seconda della carriera professionale e dell’esperienza di consumo. Ad esempio, sono ben diffuse le competenze necessarie per aggiornare le proprie pagine di Facebook, o per acquistare il prodotto dietetico più gradito. Invece, a quanto ci dicono le statistiche sugli Stati Uniti, le generazioni più giovani si sentono meno capaci, rispetto alle generazioni precedenti, di determinare la propria vita. Più che la mancanza di reperire informazioni sulle opzioni disponibili, il problema maggiore sembra essere quello di conoscere poco le proprie capacità e potenzialità, e di conseguenza di non saper fare le scelte giuste per gli obiettivi di vita che ci si è dati. Interessanti sono in proposito gli studi degli psicologi su quanto si pentono le persone per le scelte fatte in passato, ad esempio riguardo all’istruzione o al partner, oppure quanto peggio ci si sente per aver preferito l’inazione, invece di aver sbagliato per aver agito.
Si può dunque affermare che oggi anche nei paesi più avanzati c’è un deficit di formazione generalista che aiuti le persone a fare le scelte più importanti per la loro vita. L’istruzione specialistica può aiutare, ma non è sufficiente. Spingere solo sull’istruzione specialistica può persino allargare la forbice rispetto a coloro che abbandonano ogni tipo di carriera scolastica.
Ma in che cosa consiste esattamente la formazione generalista? Perché gli economisti tendono a trascurarla e ne sanno così poco?
Cominciamo dalla seconda domanda. Mentre l’istruzione specialistica è considerata dagli economisti come acquisizione di competenze cognitive utili per aumentare la produttività del lavoro, la formazione generalista viene essenzialmente limitata alla prima fase scolastica, in modo che le preferenze delle persone adulte possano essere considerate invarianti per il resto della loro vita. Le caratteristiche più emotive delle persone, come i tratti di personalità e la socievolezza, sono perlopiù ignorate dagli economisti a fronte dell’obiettivo onnicomprensivo di migliorare la condizione economica individuale, essendo questa il miglior mezzo per qualsiasi fine.
Scitovsky non era dello stesso parere. Secondo Scitovsky, la formazione generalista deve cominciare molto presto, durante l’infanzia, al fine di imparare la gioia di apprendere, che è un prerequisito per mettere alla prova nel corso della vita ciò che si è già appreso, nonché quello che si ritiene di saper fare. Questa stessa funzione può essere sviluppata con gli studi di tipo umanistico, e artistico in particolare. Infatti, oltre alla cognizione Scitovsky considera l’immaginazione come ingrediente essenziale per un solido sviluppo delle capacità delle persone, in quanto l’immaginazione aiuta a scegliere quando mancano informazioni sulle conseguenze. E’ appunto il caso delle scelte di vita, ben diverse dalle scelte fatte negli acquisti dei prodotti domestici.
La posizione di Scitovsky e quelle dei primi economisti anticipano diversi risultati ottenuti di recente. Tra questi, i più sorprendenti sono dovuti alle ricerche econometriche di James Heckman, Premio Nobel per l’economia, e della sua squadra, formata anche da psicologi (cfr. Heckman, J.J., Humphries J.E., Veramendi, G. “Returns to education” NBER WP 22291, 2016). In sintesi, i loro risultati sono i seguenti. In primo luogo, abilità e preferenze, competenze cognitive, emotive e sociali sono interconnesse, e si possono modificare anche in età adulta. In secondo luogo, il ruolo educativo dei genitori è cruciale affinché i figli realizzino buoni risultati a scuola, sul lavoro, nella società, ed evitino comportamenti a rischio, come fumare. In terzo luogo, gli investimenti nella formazione dell’infanzia favoriscono sia l’equità con i bambini più dotati, sia l’efficienza per il sistema nel suo complesso, cosicché gli investimenti educativi nelle età successive possono moltiplicare ulteriormente i risultati. Infine, costituisce uno spreco sia non portare al diploma anche gli studenti meno dotati, sia indurli a conseguire la laurea.
Pertanto, ci sarebbero molti vantaggi se la formazione generalista diventasse una priorità, tra cui anche quello di allocare meglio le risorse per l’istruzione specialistica. Ma far questo, occorre sciogliere il nodo di una genitorialità che sia all’altezza delle sfide delle società moderne, nonché il nodo di una scuola che sia in grado di scoprire e motivare i talenti e la creatività più o meno nascosti nelle persone, così da renderle più autonome, e metterle in corsa più con sé stesse che con gli altri.