La percezione delle disuguaglianze e le politiche redistributive: un recente rapporto dell’OCSE

Marco Sarandrea si occupa del recente Rapporto dell’OCSE sulla percezione delle disuguaglianze e ne riassume i contenuti: la tendenza di quella percezione a riflettere, in generale, l’ effettiva dinamica dei due fenomeni, pur con eccezioni; la preoccupazione per queste dinamiche che è crescente ma con differenze spesso dovute al rilievo dato al ‘merito’; le differenti posizioni all’interno di gruppi socio-economici omogenei e il complesso rapporto tra percezione delle disuguaglianze e favore per la redistribuzione.

Il recente report dell’OCSE Does Inequality Matter? How People Perceive Economic Disparities and Social Mobility fa il punto sulla percezione delle disuguaglianze, sul grado di preoccupazione che esse suscitano e sull’atteggiamento nei confronti delle politiche dirette a correggerle nei 32 paesi che fanno parte dell’Organizzazione. Il report considera la disuguaglianza sia nei risultati (più precisamente, dei redditi) sia nelle opportunità, quindi la persistenza intergenerazionale e la mobilità sociale.

Innanzitutto, il report fornisce informazioni da cui risulta che la percezione del livello delle disuguaglianze si è mossa, in generale, in modo coerente con l’effettivo peggioramento delle sperequazioni verificatosi nel recente passato. Complessivamente, i livelli percepiti non sono molto diversi da quelli effettivi.

Nei paesi considerati, il livello di disuguaglianza percepito è mediamente in linea con quello effettivamente rilevato, sia per quanto riguarda la disuguaglianza di reddito che la sua persistenza intergenerazionale. Dunque – e si tratta di un punto interessante – pur essendo fondate su informazioni inevitabilmente incomplete, le percezioni tendono a ricalcare l’andamento effettivo dei vari indici statistici nella grande maggioranza dei paesi.

Vi sono, tuttavia, alcune eccezioni. Una di esse riguarda proprio l’Italia, dove è diffusa la percezione che le disuguaglianze siano significativamente inferiori al loro livello effettivo; questo è vero per ogni tipo di disuguaglianza considerato dal report. In particolare, nel nostro paese si tende a considerare una bassa persistenza intergenerazionale, nonostante il suo livello reale sia molto alto. Anche la Francia – che, comunque, ha una disuguaglianza inferiore a quella italiana – è percepita come un paese più equo di quanto in realtà non sia. Invece, l’unico paese dove sia la disuguaglianza di reddito sia la persistenza intergenerazionale sono percepite come più alte dei loro effettivi livelli è la Grecia.

Vi sono, quindi, significative differenze tra paesi; ma importanti sono anche le differenze di percezione all’interno dei singoli stati. In molti di essi, la varianza delle risposte alla domanda riguardante la quota di reddito percepita dal 10% più ricco è molto ampia. Danimarca e Grecia sono due dei pochi paesi in cui queste opinioni sono invece relativamente uniformi. Di interesse è anche il fatto che le differenze di percezione sembrano dipendere soprattutto dalla forte varianza che si registra all’interno di gruppi socio-economici omogenei, piuttosto che tra gruppi diversi. Questa alta dispersione within ha influenza, come sottolinea il report, anche sulla creazione di un largo consenso per politiche di contrasto delle disuguaglianze.

Vediamo ora qual è il grado di preoccupazione manifestato nei confronti delle disuguaglianze. Gli attuali livelli di disuguaglianza economica sono reputati troppo elevati nella maggioranza dei paesi OCSE. Infatti, secondo i dati raccolti nel 2017 dall’International Social Survey Programme (ISSP) e dall’Eurobarometro, l’80% degli intervistati considera eccessive le disuguaglianze di reddito nel proprio paese. In questa analisi, sono però importanti alcune specificazioni. La prima riguarda l’importanza che viene riconosciuta al “duro lavoro” come fattore alla base delle disuguaglianze. Ritenere che esso sia dirimente equivale a considerare la disuguaglianza nei redditi più giusta, perché meno condizionata dalla disuguaglianza nelle opportunità. Di conseguenza, credere nel “duro lavoro” comporta una minore preoccupazione verso le disuguaglianze. La seconda specificazione riguarda il ruolo che svolge la posizione che si ha, o si pensa di avere, nella scala dei redditi.

Come prevedibile, da più fonti emerge che le persone collocate più in basso nella scala dei redditi si mostrano generalmente più preoccupate verso le disuguaglianze. Ciò si spiega facilmente con il fatto che non soltanto rileva il valore assoluto del reddito, ma anche la posizione nella scala distributiva, ovvero il rapporto tra il proprio reddito e quello altrui; o, se si vuole, quello medio.

Ciò contribuisce a spiegare perché, con qualche eccezione, dalla fine degli anni ’80 la preoccupazione per le disuguaglianze è aumentata di più nei paesi in cui l’aumento delle disuguaglianze è stato più marcato. Se la disuguaglianza cresce, aumenta infatti il numero di chi riceve un reddito inferiore alla media, che quindi avverte un peggioramento relativo, senza che il proprio reddito sia necessariamente diminuito in valore assoluto.

A questo riguardo, è rilevante chiedersi se non possa esservi una divergenza tra la percezione che si ha della propria posizione nella scala dei redditi e la posizione effettivamente occupata; e come questa eventuale discrepanza influenzi l’atteggiamento verso le disuguaglianze. In questo ambito è interessante verificare quali cambiamenti comporta l’acquisita consapevolezza che la posizione reale nella scala dei redditi non è quella che si pensava di occupare.

Chi aveva sovrastimato il proprio reddito – e la propria posizione nella distribuzione nazionale dei redditi – tende a mostrare una maggiore preoccupazione per le disuguaglianze; chi invece lo aveva sottovalutato tende a non cambiare la propria posizione.

Spesso, il mutamento del grado di preoccupazione non comporta tuttavia un cambiamento nelle richieste di intervento per correggere le disuguaglianze. Proprio rispetto al supporto espresso nei confronti delle politiche di correzione delle disuguaglianze – in particolare quelle redistributive -emerge un punto di interesse.

Se l’attenzione e la preoccupazione verso le disuguaglianze crescono, le politiche redistributive dovrebbero godere di maggiori consensi e quindi essere adottate dai governi con più frequenza e intensità. In realtà, una crescente attenzione per le disuguaglianze non si traduce necessariamente in un corrispondente maggior consenso per le politiche redistributive. Il report, richiamando i risultati del sondaggio “2020 OECD Risks that Matter”, ricorda che solo il 60% degli intervistati è favorevole a un’estensione degli interventi statali diretti a ridurre i divari economici.

Sulle ragioni per cui l’attenzione e la preoccupazione per le disuguaglianze economiche non si traducono direttamente in una più intensa domanda di ridistribuzione si stanno già interrogando vari ricercatori. Nell’ambito, i fattori rilevanti sono numerosi. Uno di essi sembra essere l’ignoranza riguardo l’impatto che la ridistribuzione ha sulla riduzione delle disuguaglianze. L’incapacità degli organi pubblici di comunicare chiaramente i benefici delle misure redistributive riduce la domanda di ridistribuzione. Sembra, infatti, che una volta informata sugli effetti di specifiche riforme, l’opinione pubblica si mostra più incline a supportarle.

Inoltre, la discrepanza tra l’attenzione per le disuguaglianze e la domanda redistributiva sembra legata anche alle opinioni che si hanno sul ruolo dello stato e sull’efficacia dei suoi interventi. Questo spinge, talvolta, a considerare altri soggetti – ad esempio i sindacati – più affidabili per conseguire una riduzione delle disuguaglianze.

Infine, rilevante è anche l’idea che si ha della disuguaglianza nelle opportunità. Come si può immaginare, la convinzione che il “duro lavoro” sia la chiave del successo incide sul supporto verso le politiche redistributive. Il report ricorda che da un sondaggio svolto dall’ISSP nel 2019 è emerso che un aumento di un punto percentuale nella diffusione della convinzione che il “duro lavoro” sia collegato alle disuguaglianze è associato ad una riduzione di 0.49 punti percentuali nel numero di persone che pensano sia compito dello stato ridurre le disuguaglianze. Peraltro, coloro che ritengono non realizzata l’eguaglianza delle opportunità frequentemente ritengono che la politica principale dovrebbe riguardare il sistema educativo.

Nella parte finale, il report fornisce linee guida utili a identificare i fattori da cui dipende la domanda di ridistribuzione nazionale, con lo scopo ultimo di facilitare il disegno di riforme che rispecchino le preferenze della popolazione. In questo ambito, viene sottolineata l’importanza sia della disponibilità di informazioni più precise e copiose sulla relazione tra percezioni delle disuguaglianze e richieste di specifiche politiche redistributive, sia della capacità dei governi di comunicare in modo chiaro costi e benefici delle politiche che propongono. Il report sottolinea inoltre la necessità di una raccolta sistematica di dati granulari; informazioni sulla percezione delle disuguaglianze a livello regionale consentirebbero di delegare alcune politiche redistributive ai governi locali. Ricerche più approfondite andrebbero svolte anche su cosa l’opinione pubblica si aspetta da soggetti economici quali le aziende e i sindacati nella lotta alla riduzione delle disuguaglianze.

Nel complesso, il report offre informazioni e spunti di grande interesse sul cruciale tema delle disuguaglianze, per meglio conoscerlo e, soprattutto, contrastarlo. Uno dei meriti dell’articolo è di indicare le questioni su cui sono necessari ulteriori approfondimenti. Tra di esse vi è, ad esempio, la grande varietà di posizioni adottate da individui appartenenti allo stesso gruppo socio-economico. Un altro aspetto è quello dei fattori che portano ad avere opinioni diverse sul ruolo del merito (il “duro lavoro”) nel determinare le disuguaglianze.

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