La questione organizzativa italiana. In Italia l’emergenza Covid-19 è caduta su un sistema produttivo debole dove i livelli di produttività sono fra i più bassi d’Europa, dove è basso pure il posizionamento internazionale delle imprese tranne che per le aree delle 4A (Alimentare, Arredamento, Abbigliamento, Automazione), e sono bassi l’attrazione di investimenti stranieri, i salari, i titolari di istruzione terziaria universitaria e non, le competenze digitali. Più elevate rispetto a molti paesi europei sono solo diseguaglianza, disoccupazione e sottoccupazione.
Lo tsunami del Covid-19 ha mostrato, al duro prezzo di vite umane e di penose malattie, la inadeguata configurazione organizzativa e l’altrettanto inadeguato finanziamento della sanità pubblica italiana, lo scarso finanziamento e la dispersione delle strutture di ricerca e universitarie, la fragilità delle Piccole e Medie Imprese, l’insostenibile burocrazia pubblica, i lacci e lacciuoli del sistema normativo, l’attenzione spesso timida delle grandi imprese al bene comune, i problemi di coordinamento istituzionale fra Stato, Regioni, Comuni: si è manifestata drammaticamente quella “questione organizzativa” italiana che richiederebbe azioni potenti di rigenerazione delle organizzazioni pubbliche e private (cfr. F. Butera Organizzazione e Società. Marsilio 2020)
L’emergenza Covid-19 ha però anche mostrato alcuni punti di forza per avviare con successo processi a “doppia elica”, cioè interventi di ristoro e di investimenti, per un futuro diverso:
a. il “sistema professionale” del mondo sanitario, dell’ordine pubblico, dell’istruzione, della logistica, dei servizi pubblici, della grande distribuzione non solo ha mostrato commoventi atti di eroismo, ma anche una straordinaria consistenza deontologica e tecnico-scientifica, malgrado le rigidità delle burocrazie in cui i professionisti, sia quelli titolati sia quelli umili, hanno lavorato;
b. la vitalità delle organizzazioni del terzo settore che si sono prese in carico molte emergenze;
c. le eccellenze delle migliori grandi e medie imprese che, operando nelle fasi alte delle catene del valore, hanno pensare subito a nuovi prodotti e servizi e a ricollocarsi su nuovi mercati;
d. I sindacati hanno difeso insieme le aziende e la salute dei lavoratori;
e. e, non da ultimo, punti di forza sono alcune organizzazioni pubbliche di servizio che hanno mostrato nell’emergenza una “prontezza intrinseca” per far fronte all’inaspettato, come la Protezione Civile, l’Arma dei Carabinieri e la Polizia di Stato, come alcune Amministrazioni regionali (ad esempio l’Emilia-Romagna e il Veneto) e alcuni Comuni;
f. ma, soprattutto, i cittadini italiani di fronte all’emergenza hanno mostrato straordinarie doti di coraggio, resilienza, disciplina, come ai tempi del secondo conflitto mondiale: gli italiani sono apparsi migliori delle loro istituzioni e organizzazioni.
Che fare per l’Italia delle organizzazioni? Tre cose principali:
A. Occorrerebbe studiare, raccontare, tipizzare queste nuove forme organizzative virtuose e i percorsi che le hanno generate nei tanti casi esemplari italiani, ma anche internazionali, e farli diventare cultura e metodi generalizzabili. Questo era avvenuto nel secolo passato con l’amministrazione di Maria Teresa d’Austria, con la fabbrica Ford, con il gruppo di via Panisperna, con la fabbrica Toyota, con il sistema del cinema di Hollywood, con gli Exceptional Teams (X Teams) della Nasa: modelli che si erano diffusi marcando un’epoca. E ora si può fare lo stesso con il WCM di FCA; con le fabbriche gioiello di Ferrari, Ducati, Dallara; con l’impresa rete governata di IMA e di Bonfiglioli; con l’Impresa integrale di Zambon; con la azienda generativa di Loccioni; con il cambiamento mission driven della Regione Emilia Romagna; con l’organizzazione scientifica planetaria, a cui ha contribuito l’Italia, che ha trovato i vaccini anti Covid in un anno e tante altre ; oltre che con il modello storico e mai dimenticato della Olivetti degli anni ‘60 e ‘70.
B. Occorrerebbe aiutare le PMI e le piccole amministrazioni pubbliche a rigenerarsi sviluppando insieme tecnologia, organizzazione, lavoro. Si dovrebbe promuovere un piano perché Università, società informatiche, di consulenza e di formazione, ossia KIBS (Knowledge Intensive Business Support) offrano supporti professionali di qualità alta a costi sostenibili. Occorre promuovere un Fraunhofer italiano per il trasferimento tecnologico ( Bentivogli et al. “Un modello a rete per la ricerca e l’innovazione del Paese”, Harvard Business Review it., Giugno 2021). Per l’ lstat, come ricorda Dario Di Vico (Corriere Economia 11 gennaio 2021), sono solo il 25,64% le imprese “proattive in espansione o avanzate” che sanno cosa fare e prosperano malgrado la crisi: le altre che sono il 74,36% (denominate statiche in crisi, statiche resilienti, proattive in sofferenza) avrebbero bisogno di cambiare strategia, mercato, organizzazione, sistema tecnologico, competenze: è difficile che ce la facciano senza aiuti qualificati.
C. Soprattutto occorrerebbe che la politica, i rappresentanti dell’economia, il mondo universitario assumessero la questione organizzativa non come l’”intendenza che seguirà” ma l’oggetto di politiche con investimenti e programmi specifici. Lo aveva fatto Roosevelt con il New Deal, lo ha fatto De Gasperi con la ricostruzione post bellica, lo aveva fatto Schimdt con la Mittbestimmung, lo aveva fatto Palme con l’Industrial Democracy, lo avevano fatto Clinton e Gore con il “Reinventing Governement”. E ora chi e come può farlo in Italia, che pure nel periodo postbellico aveva avuto figure come De Gasperi, Trentin, Olivetti, Mattei, Saraceno?
Innovare i modelli di organizzazione come base della democrazia e della qualità della vita sociale
La questione organizzativa è cruciale per la produttività, l’innovazione, la qualità della vita di lavoro.
Ma è cruciale anche per la democrazia e per l’ordine sociale. L’organizzazione è stata tradizionalmente un antidoto a due fonti di disordine e distruzione sociale, la sete di potere e la follia degli individui.
La legge al posto dell’arbitrio del re, del padrone è alla base della civiltà occidentale. Ma la legge, anche quando è giusta, va attuata attraverso la progettazione e gestione dell’organizzazione reale: essa può avere diverse versioni, quelle che limitano l’arbitrio con altre leggi e norme rigide oppure quelle che si avvalgono di sistemi di regolazione flessibili e democratiche.
Le organizzazioni burocratiche e fordiste per esempio hanno svolto funzioni di regolazione tentando di espellere la società dall’organizzazione, assegnando il potere solo alla gerarchia, consentendo la follia solo a chi comanda e creando un sistema per sorvegliare e punire tutti gli altri.
Le nuove forme di organizzazioni flessibili e democratiche che includano la società – con il suo disordine ma anche con la sua libertà e creatività- ammettono il potere e la follia ma tendono a controllarli e a mitigarli attraverso il comune orientamento al fine e agli obiettivi e attraverso il controllo sociale attivo dato dalla cooperazione autoregolata, la condivisione piena delle conoscenze, la comunicazione estesa e soprattutto attraverso la continua crescita di comunità performanti, ossia il modello 4c proposto da chi scrive fin dagli anni 2000 (F. Butera, “L’organizzazione a rete attivata da cooperazione, conoscenza, comunicazione, comunità: il modello 4C, Studi Organizzativi, 1999).
Il modello 4C è caratterizzato dalle seguenti dimensioni:
- una cooperazione intrinseca, per cui le persone lavorano insieme con obiettivi comuni e condivisi, con comunità di pratiche, con regole sviluppate in parte dai membri stessi dell’organizzazione;
- una comunicazione estesa, basata su varie forme di comunicazione supportate da adeguati media che si estende oltre i confini dell’organizzazione;
- una conoscenza condivisa, ossia la condivisione, promozione e governo fra tutti i membri del processo (sia interno che esterno alla organizzazione) di una grande varietà e formati di conoscenza;
- una comunità performante orientata all’innovazione, ossia una organizzazione razionale e naturale fatta di organizzazioni socialmente capaci, team autoregolati, comunità che apprendono, corporazioni cosmopolite, ecc.
Questo modello è alla base delle organizzazioni integrali emerse negli ultimi 20 anni con le esperienze e i nuovi modelli di imprese responsabili, di amministrazioni centrate sui servizi, di piattaforme innovative, di ecosistemi inclusivi, di organizzazioni a rete governate, di sistemi sociotecnici autoregolati, di ruoli responsabili, di professioni a larga banda e molto altro. Essi sono stati l’esito di processi di progettazione e realizzazione ottenuti attraverso innovazione, coesione e partecipazione. Ma non sono ancora diventati un sistema.
Modelli organizzativi democratici sono necessari ma non sufficienti: il problema dell’abuso di potere e della follia. In ogni caso prevale ancora la inesausta tendenza di moltissimi ad esercitare il potere non solo assumendo e gestendo in modo privatistico i ruoli di comando nelle organizzazioni private e pubbliche ma soprattutto agendo attraverso associazioni segrete, mafie, cosche, clan, cricche. Le svariate forme di abuso di potere e le “organizzazioni informali” che hanno fini diversi da quelli ufficiali delle organizzazioni sono una costante minaccia anche per le più innovative e democratiche organizzazioni, che rimangono una minoranza .
D’altra parte, i comportamenti individuali caratterizzati da egoismo, opportunismo, asocialità, autoritarismo, violenza, narcisismo, irrazionalità rimangono largamente diffusi dentro e fuori le organizzazioni.
In una parola organizzazioni integrali e democratiche sono in grado, meglio di quelle burocratiche, di contenere l’abuso di potere e la follia individuale, ma occorre intervenire sempre e continuamente anche specificatamente su questi due grandi nemici della coesione sociale e della difesa del bene comune: contrastare in primo luogo l’appropriazione privatistica e l’abuso del potere legittimo, l’incursione del potere illegittimo, combattere i poteri occulti. Non ci si può stancare nel praticare politiche e comportamenti basati sul bene comune e la legalità; non si può non tenere in considerazione e prendersi cura delle fragilità e dalla follia delle persone. Al centro dell’azione organizzativa bisogna quindi mettere la persona vera, con le sue potenzialità e i suoi difetti, e predisporre una difesa organizzativa contro i comportamenti lesivi.
In sintesi la questione organizzativa italiana è cruciale per una nuova fase politica. In un momento in cui si discute del cambiamento delle Pubbliche Amministrazioni e della rigenerazione delle imprese sono necessarie tre linee d’azione sinergiche: a) progettare e sviluppare organizzazioni flessibili e democratiche; b) disegnare politiche per il bene comune e la difesa sociale dai poteri arroganti visibili e occulti; c) provvedere alla formazione e sviluppo di persone integrali.
Costituzione materiale e organizzazioni integrali. Tutto ciò si applica sia a livello macro che micro: la democrazia di un grande paese che gode di una costituzione democratica deve essere vitalizzata da una “costituzione materiale” come la definì Costantino Mortati e deve essere difesa dall’abuso di potere e dalla follia individuale (anche se una totale assicurazione è impossibile); un’impresa deve essere regolata da leggi e regolamenti interni giusti e animata da una “organizzazione integrale”, ossia integra e integrata. La integrità di queste organizzazioni implica quattro dimensioni: integrità di economia e socialità, integrità verso l’ambiente, integrità verso tutti gli stakeholder, integrità etica, come ho già sostenuto sul Menabò.
Nel caso di Trump il sistema non si è protetto da un abusatore di potere e da una personalità disturbata. La domanda è: le istituzioni americane erano sufficientemente autonome e resilienti di fronte all’evenienza di un capo di questa fatta? Ci avevano provato venti anni fa nel “reinventing government Clinton e Gore, ma nessuno ha poi continuato.
Nel caso di Calisto Tanzi che ha abusato criminosamente della più grande azienda casearia europea da lui stesso fondata e che la magistratura ha condannato (dopo) a diverse decine di anni di reclusione, la domanda è se l’azienda, che poi venne gestita da un grande manager come Enrico Bondi, fosse stata una “impresa integrale” sarebbe stato altrettanto facile per lui commettere i reati che gli sono stati riconosciuti, pur se forse nulla sarebbe cambiato nella sua personalità disturbata?
Nel desolante spettacolo dei vertici della magistratura che non sono capaci di assicurare alla giustizia una organizzazione tempestiva e efficiente ma in compenso si sbranano in pubblico con combattimenti di potere, personalismi, accuse reciproche come quelli andati in scena non molto tempo fa a Piazza Pulita, emergono elementi di disturbi mentali e di abusi di potere cresciuti sull’humus di una organizzazione giudiziaria tutta da riorganizzare con nuovi paradigmi.
La progettazione e sviluppo di organizzazioni responsabili e democratiche, il controllo sociale e giudiziario contro gli abusi di potere, la difesa sociale dalla follia individuale sono la frontiera di una rigenerazione della “Italia delle organizzazioni” guidata dall’etica, dall’efficienza, dalla sostenibilità, dalla crescita delle persone.
La rigenerazione di pubbliche amministrazioni, imprese, dei sistemi educativi e del terzo settore è inoltre il requisito chiave, lo strumento e lo scopo, per il successo del PNRR.