Lettere dall’Europa

Elena Paparella ragiona sulle polemiche suscitate dalla lettera inviata il 22 ottobre dal Commissario Katainen al ministro Padoan per chiedere chiarimenti sul rinvio del raggiungimento degli obiettivi di medio termine della finanza pubblica, ritenendo il caso meritevole di attenzione al di là dell’accordo poi raggiunto. Paparella puntualizza, da un lato, che la lettera di Katainen non può essere accostata a quella che Trichet e Draghi spedirono al governo italiano nell’agosto del 2011 e, dall’altro, che non vi sono norme che prevedano la segretezza pretesa dal presidente Barroso.

I chiarimenti richiesti dal Commissario Katainen nella lettera inviata il 22 ottobre scorso al Ministro Padoan – in ordine al rinvio al 2017 del raggiungimento degli obiettivi di medio termine e al rallentamento della correzione del deficit strutturale – sono giunti a destinazione da pochi giorni e l’accordo raggiunto sembra essere fonte di non poca soddisfazione per il governo italiano, anche se i numeri non sono esattamente quelli di partenza, la correzione passa infatti dallo 0,1% indicato nel d.d.l. Stabilità allo 0,3% effettivamente concordato.

Il clamore suscitato dalla “lettera Katainen”, oltre che far riflettere per alcune sfasature istituzionali ad opera degli organi di vertice del governo nazionale e sovranazionale, induce più in generale ad interrogarsi sullo scopo e sul livello effettivo di trasparenza nei processi decisionali tra Ue e Stati membri.

I fatti sono noti. All’indomani della ricezione il governo italiano, senza consultare la mittente Commissione, ha deciso di rendere nota la lettera del Commissario Katainen benché questa fosse bollata con un inequivocabile “strictly confidential”.

Il Presidente del Consiglio ne ha deciso la pubblicazione – concedendo scoop alla stampa internazionale e nazionale – in nome di una “open transparency piú totale” e di un’altrettanto “totale apertura dei dati per l’Italia”, dichiarando lapidariamente: “Penso che sia finito in questo palazzo il tempo delle lettere segrete” (Consiglio europeo di Bruxelles, Corriere della Sera online, 23 ottobre 2014). Appare evidente come tali esternazioni evochino, e neanche tanto velatamente, un’altra rinomata lettera dall’Europa inviata nell’agosto del 2011 dai banchieri centrali Trichet e Draghi al Presidente del Consiglio italiano allora in carica e resa nota solo un mese più tardi, non ufficialmente, attraverso la stampa.

Alla reazione di Renzi ha fatto seguito l’accesa contro-reazione del Presidente uscente della Commissione Barroso, che ha contestato la decisione unilaterale del governo italiano di pubblicare la lettera, ribadendo che “La Commissione non era favorevole” (Corriere della Sera online, 23 ottobre 2013).

Entrambe queste reazioni appaiono fuori fuoco e pertanto meritano una riflessione.

A cominciare dalla contro-reazione di Barroso, occorre puntualizzare che l’art. 7, 2 c. del Regolamento Ue n. 473/2013 (“sulle disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti programmatici di bilancio e per la correzione dei disavanzi eccessivi negli Stati membri della zona euro”, che rientra nel pacchetto dei sei provvedimenti di contrasto alla crisi in vigore da maggio 2013, meglio conosciuti come “SIx Pack”), richiamato nella lettera Katainen, non prevede che le richieste di chiarimenti e le consultazioni tra gli Stati membri e la Commissione in questa fase debbano essere coperte da segreto (“.. nei casi eccezionali in cui, previa consultazione dello Stato membro interessato .. “), per cui la pretesa di “stretta confidenzialità” si rivela sostanzialmente illegittima e l’indignazione di Barroso non fondata.

D’altro canto anche la reazione di Renzi e il sostanziale accostamento della “lettera Katainen” alla “lettera Trichet-Draghi” meritano qualche precisazione, poiché le due lettere si caratterizzano per una natura molto diversa, sia sul piano formale che su quello dei contenuti.

La prima trova la sua base giuridica nelle disposizioni del Regolamento Ue n. 473/2013, e attiene a modalità referenti caratterizzanti l’intera procedura del Semestre europeo e, più in generale, la complessiva azione di monitoraggio in via preventiva svolta dalla Commissione Ue in ordine alle scelte di finanza pubblica degli Stati. Il suo scopo dichiarato era quello di consultare il governo italiano sulle ragioni del mancato rispetto del Patto di Stabilità per il 2015 e di ottenere informazioni, nell’intento di un “dialogo costruttivo”, sulle misure che il nostro esecutivo avrebbe adottato per rispettare i suoi obblighi.

La “lettera Trichet-Draghi” era, al contrario, priva di qualsiasi fondamento giuridico, sia per l’incompetenza (assoluta) dei soggetti che l’hanno prodotta, che per la prescrittività degli indirizzi presentati al governo italiano entro una gamma molto ampia e dettagliata di ambiti di intervento’, letteralmente definita come “…necessaria … complessiva, radicale e credibile strategia di riforme”, rivelatasi decisiva per le politiche adottate di li a poco nel nostro paese, alcune di queste non a caso presentate come misure “straordinarie”.

Passando dalle “sfasature” al punto più generale della trasparenza, preme osservare che questa avrebbe ragione di essere invocata se posta in funzione del controllo dei processi di decisione politica da parte dell’opinione pubblica e degli organi rappresentativi. Tuttavia, lo scambio tra governo italiano e Commissione nell’ambito della procedura di valutazione dei documenti programmatici di bilancio non è – potrebbe dirsi malauguratamente – destinata ad essere sottoposta all’esame del Parlamento, e quindi neanche indirettamente, dell’elettorato.

È fuori discussione che una componente non certo irrilevante del deficit democratico dell’Ue sia da imputare proprio a passaggi procedurali e decisionali non sempre accessibili o resi pubblici. Si pensi, tra l’altro, alle numerose eccezioni al diritto di accesso agli atti del Consiglio Ue (cfr. European Parliament, Openness, transparency and access to documents and information in the Eu, 2013, 34), all’annunciata ma non ancora realizzata pubblicazione dei resoconti delle sedute del Consiglio direttivo della Bce e, di ben altro calibro, alla stesura del Trattato di Lisbona ad opera degli “esperti giuridici” del Consiglio Ue, veri autori della metamorfosi del Trattato costituzionale europeo nel Trattato sull’Unione Europea e nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea; ma se si intende affrontare tale problema non si può non farlo radicalmente – e non certo nella sede di trattative che hanno ricadute immediate sullo status dei cittadini italiani – interrogandosi a fondo sui motivi per i quali un livello di trasparenza spesso non elevato e, per converso, un buon livello di secrecy generalmente non formalizzata nella normativa, continuano ad oliare i complessi ingranaggi del sistema di governo tra Ue e Stati membri.

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