ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 213/2024

13 Aprile 2024

Lo “spettro” del XXI secolo: l’imposta patrimoniale (prima parte)

Ruggero Paladini, nella prima delle due parti del suo articolo, dopo aver osservato che l’imposta sulle grandi ricchezze è tornata d’attualità ed ha ottenuto un via libera all’ONU, oltre che l’appoggio di alcuni milionari e miliardari, descrive la situazione attuale con particolare riferimento all’Europa dove esistono quattro wealth tax e, nel caso della Francia, un’imposta sul solo patrimonio immobiliare. Quanto al nostro paese, non mancano le imposte sui redditi patrimoniali, ma esse soffrono di molte distorsioni.

Una decina di anni fa il libro di Thomas Piketty, Il capitale nel XXI secolo, suscitò un grande interesse; si descriveva la tendenza in atto ad una crescita della diseguaglianza nella ricchezza e si proponeva di introdurre un’imposta sul patrimonio, a livello mondiale, per contrastare tale processo. L’imposta cui pensava Piketty l’aveva sotto gli occhi, cioè l’impôt de solidarieté sur la fortune, che all’epoca si applicava a tutta la ricchezza del titolare, posseduta in Francia o altrove. Anche l’imposta di Piketty prevedeva un livello esente, ad esempio fino al milione di euro, e successivamente due scaglioni, con aliquote dell’1% fino a cinque milioni e del 2% dai cinque milioni in su. 

Un’imposta così congegnata, sosteneva Piketty, pur colpendo solo una minoranza di contribuenti (circa il 2,5%) poteva fornire il 2% del Pil, poiché questa minoranza possiede una quota elevata della ricchezza totale (mediamente il 40%). Tuttavia, l’imposta francese, anche prima che Macron la limitasse al solo patrimonio immobiliare, forniva un gettito che non raggiungeva i cinque miliardi. Ciò anche a causa dell’occultamento di ricchezza in paradisi fiscali (o anche semplicemente in Svizzera) ma soprattutto per il trattamento agevolato (fino all’esenzione totale) della casa d’abitazione, delle piccole società e risparmi finanziari, e altre agevolazioni ancora. Dal 2018 la ISF è divenuta IFI (’impôt sur la fortune immobiliére).

Il tema dell’imposta sui grandi patrimoni non è passato di moda, anche perché la quota di ricchezza al vertice dello 0,1% non si è certo ridotta. All’ultimo World Economic Forum a Davos (gennaio 2024) 268 milionari/miliardari hanno scritto una lettera aperta “Proud to pay more” ai partecipanti al convegno, chiedendo di essere maggiormente tassati (insieme ovviamente a tutti gli altri); questi “patriottici milionari” dichiaravano: “Our request is simple: we ask you to tax us, the very richest in society”. La maggior parte dei segnatari della sono di cittadinanza statunitense o britannica (82%), con una manciata di europei occidentali (soprattutto tedeschi, ma anche tre italiani). 

E’ significativo dell’interesse sul tema il fatto che all’ultimo meeting dei ministri finanziari del G20 a S. Paolo del Brasile (29 febbraio 2024) sia stato invitato Gabriel Zucman, un altro (più giovane) economista francese della scuola di Piketty e Emanuel Saez, insieme ai quali ha compiuto importanti studi sulla distribuzione dei redditi e della ricchezza. Nel suo intervento Zucman propone che, dopo la realizzazione dell’imposta minima del 15% sulle grandi multinazionali, si pensi ad una imposta sulle grandi ricchezze possedute dagli individui: una “global minimum tax on high-net-worth individuals”; l’aliquota proposta è il 2% di Piketty.

Più recentemente (22 marzo) il Tax Justice Network ha comunicato che il comitato fiscale delle Nazioni Unite ha raggiunto un consenso per l’elaborazione di linee guida per l’introduzione di un’imposta sui grandi patrimoni. Istituzioni come OECD, che in precedenti riunioni avevano espresso posizioni contrarie, “not make a decisive intervention during Thursday’s meeting,” e ciò è messo in relazione al ruolo svolto dal Brasile, nel meeting del G20, che ha portato all’intervento di Zucman. Nell’occasione Alex Cobham, chief executive del TJN ha espresso tutta la sua soddisfazione:

“Il processo simultaneo per negoziare una convenzione quadro delle Nazioni Unite sulla cooperazione fiscale internazionale offre al mondo un’opportunità senza precedenti per consolidare questa dinamica e, infine, per correggere le norme fiscali internazionali che costano così tanto a tutti noi”.

Imposte patrimoniali ed imposte sui redditi patrimoniali Attualmente un’imposta sulla ricchezza individuale, sia mobiliare che immobiliare, è presente in tre paesi europei: Norvegia, Spagna e Svizzera. Tra i paesi OECD vi è la Columbia. La Francia, della cui imposta si è detto, ha modificato l’impôt de solidarieté nel 2018 limitandola alla componente immobiliare; al contrario il Belgio ha introdotto nel 2021 una tax on securities accounts (TSA), cioè sull’insieme dei titoli azionari ed obbligazionari delle persone.

L’imposta norvegese, introdotta nel lontano 1892, ha un’aliquota dell’1% con valori superiori a 1,7 milioni di Nok (circa 150.000 euro) fino a 20 milioni di Nok (circa 1,765 milioni di euro). Il 70% va alle municipalità e il resto allo Stato. Sopra i 20 milioni di Nok l’aliquota statale aumenta a 0,4, sicchè l’aliquota complessiva sale a 1,1%.

Anche in Svizzera le origini dell’imposta risalgono al periodo 1789-1803 quando vi era un sistema centralizzato ed uniforme (Helveticism); con la scomparsa di questo sistema i Cantoni riacquisirono l’autonomia fiscale, ed alcuni mantennero l’imposta patrimoniale. Nel XX secolo, in particolare dopo la Seconda guerra mondiale, le imposte dirette ed indirette furono armonizzate, ma le imposte patrimoniali, che si erano diffuse a quasi tutti i cantoni, mantennero un carattere locale, per cui ancora oggi vi sono differenze sensibili. L’imposta più semplice è quella del cantone Nidwalden (sotto il lago di Lucerna) con una deduzione di 35.000 franchi svizzeri (un ChF vale 1,03 euro) e un’aliquota di 0,025%. La più articolata e marcatamente progressiva è quella di Zurigo; consta di una deduzione di 77.000 ChF con tre scaglioni: 0,5% fino a 30.800, 1% da 30.801 a 3.158.000, 3% oltre i 3.158.000. 

L’imposta spagnola è invece di più recente introduzione; nel 1977 il Partito Socialista (Partido Socialista Obrero Español PSOE) introduce l’imposta lasciando alle autonomie regionali libertà di fissazione dell’aliquota con un livello di esenzione di base che è attualmente fissato a 700.000 euro. Quattro Regioni (governate dal Partido Popular) restituiscono totalmente il prelievo ai loro residenti. Tuttavia, il governo PSOE, in coalizione con SUMAR (evoluzione di Podemos) nel 2022 ha introdotto una addizionale di solidarietà biennale con un livello esente fino a 1,7 milioni, e tre scaglioni: 1,7% fino a 5,34 milioni, 2,1% da 5,34 a 10,69, 3,5% oltre i 10,69 milioni. Per questa imposta, se la regione stabilisce una restituzione, la somma va al governo centrale. Tre Regioni, Madrid, Andalusia e Galicia hanno fatto ricorso alla Corte Costituzionale ma il ricorso è stato respinto e le Regioni hanno deciso di prelevare la loro parte, la quali altrimenti sarebbe andato allo Stato. 

Anche la Colombia dal 2023 ha introdotto un’imposta patrimoniale su iniziativa del Presidente Gustavo Petro, un progressista che ha vinto le elezioni nel 2022. Nell’ambito di unampia riforma fiscale viene introdotta anche un’imposta sulla ricchezza netta a partire da 72.000 Tax Units (TU) con due scaglioni: 0,5% da 72.000 a 122.000 TU; 1% da 122.000 a  239.000 TU; 1,5% oltre i 239.000 TU per tre anni (fino al 2026), poi ridotta a 1%. I TU servono a mantenere costante nel tempo il valore delle soglie. Così il livello di esenzione, che nel 2023 equivaleva a circa 3 milioni di pesos, sale a 3,4 milioni nel 2024.

La legge segue la normativa dell’imposta spagnola; vi è una deduzione di 12.000 TU per la casa di residenza. Tenendo presente che una TU equivale a 10 dollari, e che vi è un doppio livello di esenzione, si comprende che l’imposta è rivolta ad una ristretta percentuale di soggetti più facoltosi.  

In realtà a questi tre paesi va aggiunto un quarto paese, l’Olanda. Formalmente infatti dal dopoguerra vige un’imposta sui redditi patrimoniali, ma in realtà si tratta di una wealth tax che ha oggi caratteristiche di progressività. Infatti il reddito veniva calcolato applicando un rendimento nozionale all’insieme dei cespiti patrimoniali (c.d. Box 3); dal 2017 questo rendimento (fino ad allora al 4%) aumenta con il valore complessivo del patrimonio; attualmente oltre ad un livello esente vi sono tre rendimenti, 1,82% per il primo scaglione, 4,37% per il secondo e 5,53%. Pertanto, applicando un’aliquota costante del 31% si ottengono tre aliquote effettive sul valore patrimoniale pari a 0,56 – 1,35 – 1,71 percento (arrotondando), con un sistema a scaglioni.

Vi sono due asset patrimoniali con un trattamento differenziato; il primo è la casa di residenza che viene tassato insieme ai redditi da lavoro (Box 1: l’imposta ha tre aliquote che vanno dal 9,2% al 49,5%), con un rendimento di favore di 0,5%. Il secondo è costituito dalle quote azionarie in cui il titolare ha più del 5% del capitale sociale (Box2); si tratta di società di minori dimensioni, in cui spesso il socio lavora anche nella società. In questo caso fino al 2023 si applicava un’imposta del 26,9%; da quest’anno vi sono due scaglioni, con aliquote di 24,5% sui primi 67.000 euro e di 33% per i livelli più alti.

Il sistema dei tre rendimenti è provvisorio in sostituzione di un sistema che la Corte Costituzionale olandese aveva dichiarato illegittimo; qualora il Parlamento si orienti verso una differenziazione dei rendimenti per tipologia di beni patrimoniali il Box 3 potrebbe divenire, anche di fatto, un’imposta sui redditi patrimoniali. 

Il caso italiano. In tutti gli altri paesi (OECD) esistono imposte che si applicano direttamente ai valori patrimoniali; il principale tipo d’imposta è costituito dalle imposte locali sugli immobili, rilevanti in particolare nei paesi anglosassoni (property tax negli USA e rates nel Regno Unito)) e in Giappone. Vi sono poi imposte sulle attività finanziarie, sugli automezzi e sui trasferimenti di proprietà (imposta di registro, ipotecaria e di successione, quest’ultima particolarmente bassa in Italia). 

Nel nostro paese le imposte patrimoniali più rilevanti sono l’Imu, che ha due caratteristiche negative che non si riscontrano negli altri paesi, e l’imposta di bollo sui prodotti finanziari; a queste due imposte si affiancano le omologhe imposte per i beni detenuti all’estero, cioè l’Ivie per gli immobili (l’aliquota è passata da 0,76 a 1,06 percento con l’ultima legge di bilancio) e l’Ivafe sulle attività finanziarie detenute in Stati a regime fiscale agevolato (anche in questo caso l’aliquota è aumentata dal 2 al 4 percento).

Insieme con le altre imposte patrimoniali il gettito oscilla negli ultimi anni sul 2,5% del PIL e risulta nella media europea (o poco sopra, si veda Massimo Bordignon, Alessio Capacci: Le imposte patrimoniali in Europa 17 novembre 2023 Osservatorio CPI). La metà della quota è costituita dall’IMU. Le criticità di quest’imposta sono costituite dal fatto che la casa di residenza dei proprietari è esente da imposizione (con l’eccezione di poche migliaia di abitazioni classate in A1, considerate di pregio), cosa questa che non si riscontra in nessun altro paese europeo o anglosassone; inoltre il valore dell’immobile è calcolato su rendite catastali molto vecchie (salvo qualche parziale aggiornamento in alcuni grandi Comuni) per cui in media il valore è la metà di quello stimato dall’Osservatorio Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate. Ma la media ha una varianza molto ampia, per cui si passa da rapporti di un quarto a quelli di uno a uno. 

Il risultato è che nei Comuni dove la percentuale di “prime case” è più alta, o le case sono più vecchie e con rendite molto basse, l’incidenza sugli altri immobili viene portata ai massimi per ragioni di gettito, e questo spega come mai il gettito dell’IMU sia paragonabile a quella media europea, dove Francia, Belgio e Regno Unito hanno un gettito maggiore, mentre Germania, Austria lo hanno minore. Anche l’imposta locale in Olanda da un gettito basso, ma, come si è visto nel paragrafo precedente, gli immobili sono tassati sia nel Box 1 (la casa di residenza) che nel Box 3 (tutti gli altri immobili). 

L’imposta di bollo, che ha un’aliquota costante dello 0,2% sul valore, fu introdotta dal governo Monti con un obiettivo di fornire un introito aggiuntivo in una fase di forte stretta di bliancio; la differenza con il caso del Belgio è evidente. Infatti, in questo paese, dal 2021 è stata istituita un’imposta sulle attività finanziarie dello 0,15% sopra il milione di euro (tax on securities accounts, TSA), con un’obiettivo redistributivo; l’imposta fornisce ovviamente un gettito ridotto rispetto ai circa due miliardi dell’imposta italiana, che con 2,4 miliardi è a circa metà del gettito dell’imposta di registro e ipotecaria. 

La quota sul PIL delle imposte di tipo patrimoniali italiane (2,5) è ovviamente inferiore a quella delle imposte su redditi da capitale, così come accade anche negli altri paesi; considerando le maggiori imposte, cioè l’Ires (l’imposta sul reddito delle società), l’Irap (che ormai tassa utili e interessi passivi) e l’Isos (imposta sostitutiva sui redditi finanziari) la quota oscilla negli ultimi anni sul 5 percento. 

Nella seconda parte di questo articolo esamineremo le caratteristiche comuni alle imposte patrimoniali e le problematiche che si presentano.

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