ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 216/2024

1 Giugno 2024

Il part-time involontario sotto una duplice lente: lavoratori e imprese*

Daniela Luisi, Matteo Luppi e Federica Pintaldi analizzano il fenomeno del part-time involontario in Italia guardando alle caratteristiche dei lavoratori e a quelle delle imprese e a quanto emerge da alcune testimonianze di vita quotidiana. I principali risultati sono che la incidenza del part-time involontario è maggiore fra le donne, tra i giovani e gli stranieri e nel Mezzogiorno. Inoltre il 12% delle imprese usa strutturalmente il part-time e dalle testimonianze individuali emerge che è difficile liberarsi dal part-time involontario.

Il recente Report del Forum Disuguaglianze e Diversità “Da conciliazione a costrizione: il part-time in Italia non è una scelta” approfondisce un fenomeno del mercato del lavoro in crescita nell’ultimo decennio è che ormai ha assunto carattere strutturale: il part-time involontario. Il rapporto mira a comprendere il paradosso alla base di tale fenomeno nel mercato del lavoro italiano. Il lavoro a orario ridotto è una delle strade a cui, nel mondo, molti guardano per consentire che la riduzione dei tempi di lavoro, anziché provocare disoccupazione, si trasformi per tutti, indipendentemente dal genere, in un riequilibrio fra tempi di vita e tempi di lavoro. Tale condizione, invece, in Italia molto spesso è l’esito involontario di una marginalizzazione del lavoro che colpisce soprattutto le donne. Dal confronto tra l’Italia e l’Unione Europea, malgrado la quota di lavoro a tempo parziale sia pressoché analoga (rispettivamente, nel 2022, 18,2% e 18,5%), nel nostro paese è ben più alta la percentuale di coloro che lavorano in part-time per la mancanza di un impiego alternativo a tempo pieno: oltre uno su due (56,2%) contro meno di un quarto (19,7%) nella media UE. Ciò segnala che il ricorso al part-time in Italia è legato più a strategie delle imprese volte a ridurre i costi di lavoro che alle esigenze degli individui di conciliare lavoro e vita privata.

Il part-time involontario: le principali caratteristiche dei lavoratori. I dati della Rilevazione sulle forze del lavoro dell’Istat permettono di stimare quanto questo fenomeno presenti tratti strutturali e non congiunturali. Come si è detto, più della metà dei 4 milioni e 203 mila lavoratori e lavoratrici part-time rilevati dall’Istat nel 2022, ossia il 56,2%, non ha scelto questa forma contrattuale ma l’ha accettata o subita per necessità o per assenza di altre possibilità; dunque, si trova in una condizione di part-time involontario. Nel 2023 la situazione non è granché cambiata: la quota di lavoratori che non hanno scelto volontariamente il regime a orario ridotto in Italia supera ancora la metà di coloro che hanno un lavoro part-time (53,2% rispetto al 18,3% nella media UE).

Sul piano individuale, i dati Istat relativi al 2022 evidenziano che la marcata caratterizzazione di genere del lavoro part-time – 31,8% delle occupate contro l’8,3% per gli uomini – riguarda anche la sua componente involontaria. Tale condizione, infatti, pesa per il 16,5% sul totale delle donne occupate contro il 5,6% degli uomini. Più in particolare, sotto ogni profilo – socio-demografico, territoriale, di tipologia contrattuale o di settore di attività – le donne sono sempre maggiormente colpite degli uomini dal fenomeno del part-time involontario (Figura 1).

Tra le persone impiegate in professioni non qualificate si osserva il differenziale più alto: 38,3% per le donne contro il 14,2% gli uomini. Il part-time involontario, inoltre, è più frequente tra le giovani donne: si tratta del 21% delle occupate di 15-34 anni rispetto al 14% di quelle di 55 anni e oltre. I dati mostrano altresì che il part-time involontario è più frequente nel Mezzogiorno, tra le persone straniere, tra chi possiede un basso titolo di studio e tra le persone con un impiego a tempo determinato: il 23%, contro il 9% nel caso dei contratti a tempo indeterminato, e il 7% nel caso degli e delle indipendenti.

Figura 1: Incidenza del part-time involontario sul totale occupati per genere e diverse caratteristiche. Anno 2022 (valori percentuali)

Fonte: Rilevazione sulle forze di lavoro, elaborazioni degli autori.

Ponendo l’attenzione sulle attivazioni lavorative, i dati Inps evidenziano quanto la componente femminile del mercato del lavoro sia connotata da una condizione di particolare debolezza dovuta alla compresenza di due fattori di criticità: la forma precaria contrattuale e il tempo parziale. Nel primo semestre del 2022 risultano attivati 4.269.179 contratti, di cui solo il 41,5% a donne. La quota di contratti stabili è del 20% per gli uomini e solo del 15% per le donne. Su tutti i contratti attivati nel primo semestre 2022 il 35,6% è a part-time, con forti differenze di genere: per le donne quasi la metà (il 49%) è a tempo parziale per gli uomini il dato corrispondente è il 26,2%. Inoltre, i contratti a tempo indeterminato rappresenta solo il 15% dei contratti attivati a donne e oltre la metà di essi (il 51,3%) è a tempo parziale.

L’utilizzo del part-time nelle unità locali italiane. Al fine di ottenere una visione complessiva del fenomeno il rapporto presenta un’analisi anche dal lato della domanda di lavoro, analizzando i dati della V indagine Inapp (condotta nel 2021) sulla qualità del lavoro nella sua componente relativa alle unità locali (UL), che si riferiscono sia a imprese monolocalizzate (il 65% delle imprese italiane nel 2021) sia a imprese plurilocalizzate, cioè con più unità locali (pari al residuo 35%). Per semplicità di seguito unità locali e imprese saranno usati come sinonimi.

Osservando il ricorso al part-time in termini di incidenza dei dipendenti a tempo parziale rispetto alla totalità dei dipendenti, si identificano quattro tipologie di UL. Il 54,8% non ricorre al part-time per nessun lavoratore; il 19,4% delle imprese fa un ricorsoparziale o limitato al part-time, in quanto meno del 30% dei dipendenti ricade in tale regime orario. Al part-time ricorre, invece, in modo “sostanziale o funzionale” il 14% delle UL nazionali, nelle quali tra il 30% e il 70% dei dipendenti è a part-time. Colpisce, infine, il dato relativo all’UL che presentano un utilizzo del part-time “strumentale”, ossia quelle UL dove oltre il 70% dei dipendenti è inquadrato con un contratto a tempo parziale: ciò avviene in più di una impresa su 10, per la precisione nel 11,9% dei casi.

La fotografia delle imprese rispetto al part-time conferma che la quota di donne è predominante: nel 61,5% delle imprese le persone occupate part-time sono quasi esclusivamente o esclusivamente donne (oltre il 95% dei part-timers), mentre nel 20% la quota di lavoratrici part-time supera, anche ampiamente, la metà del totale dei part-timers; solo nel 17,3% dei casi si registra una prevalenza di lavoratori part-time uomini. Inoltre, seppur con qualche variazione rispetto al dato nazionale complessivo, l’incidenza femminile tra chi ha un impiego part-time è elevata in tutti e tre i gruppi identificati in precedenza.

L’utilizzo di set di modelli di regressione logistica multinomiale, aventi come variabile dipendente l’incidenza del personale in part-time nell’UL, permette di caratterizzare tali imprese, specialmente delle realtà produttive che fanno un ricorso strutturale a tale strumento. Quest’ultime operano con più alta probabilità nel Sud e nelle Isole e tendono a polarizzarsi rispetto alla dimensione di impresa: la probabilità è elevata sia per le micro-imprese che per le UL con oltre 250 addetti. Inoltre, esse fanno forte ricorso non soltanto al part-time ma anche ai contratti atipici (es. co.co.co, collaboratori occasionali, agenti) e tempo determinato; infatti, in queste imprese sono più elevate le probabilità di avere alte incidenze sia di lavoratori atipici rispetto al totale dei dipendenti (50%-100% e oltre il 100%), che di dipendenti a tempo determinato sul totale dei dipendenti (oltre il 40%). Queste imprese, infine, si caratterizzano per essere relativamente giovani: è molto bassa la probabilità che tali realtà siano attive da oltre 28 anni.

Figura 2: Determinanti strutturali delle imprese appartenenti ai 3 gruppi di incidenza dei dipendenti a part-time rispetto alle imprese che utilizzano part-time. Anno 2021

Note: elaborazione degli autori, banca dati indagine INAPP Qualità del Lavoro lato unità locali

Passando alle caratteristiche delle imprese rispetto alla gestione delle risorse umane la Figura 3 indica che le imprese in cui l’utilizzo del part-time è strutturale presentano la probabilità inferiore di rientrare nel cluster delle imprese definito “smart”, in cui cioè si registra una elevata qualità del lavoro, mentre presentano una buona probabilità di ricadere nel cluster ibrido in cui il grado di tutela e partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici risulta essere nettamente inferiore (si veda qui per un approfondimento). Inoltre, tali realtà produttive si caratterizzano: i) per una bassa propensione all’utilizzo di strumenti di flessibilità a supporto dei lavoratori e di azioni che favoriscono il lavoro agile; ii) per le limitate attività formative rivolte ai dipendenti; iii) per una bassa responsabilità verso la conciliazione lavoro-vita privata. Colpisce inoltre la bassissima probabilità che in queste imprese siano presenti rappresentanze sindacali (RSA – RSU), e che tra i temi di contrattazione di secondo livello, quello dell’orario di lavoro sia scarsamente preso in considerazione, mentre sia centrale quello della stabilizzazione contrattuale (“occupazione” nel grafico).

Figura 3: Determinanti della gestione delle risorse umane delle unità locali appartenenti ai 3 gruppi di incidenza di dipendenti part-time rispetto alle unità locali che utilizzano lavoratori e lavoratrici a part-time. Anno 2021.

Note: elaborazione degli autori, banca dati indagine INAPP Qualità del Lavoro lato unità locali

Inoltre, l’analisi descrittiva rispetto ai settori Ateco (2 digit) evidenzia chiaramente che nel settore della grande distribuzione e in quello dell’alloggio e ristorazione la concentrazione di unità locali che presentano un ricorso strutturale al part-time è nettamente maggiore di quella relativa all’intera distribuzione.

A completamento di quanto si è potuto desumere dai dati, sono state realizzate cinque interviste a donne occupate con un contratto part-time di tipo involontario, dalle quali sono emerse storie lavorative con caratteristiche comuni anche a molte altre donne lavoratrici.

Le storie lavorative di tutte le donne intervistate sono frammentate e iniziano subito dopo il diploma, con lavori precari e spesso mal retribuiti, evidenziando il forte legame tra debolezza nell’accesso al mercato del lavoro e precarietà. Per molte lavoratrici, dopo anni di precariato e percorsi diversificati, il part-time sembra essere la prospettiva occupazionale migliore: permette di conciliare vita professionale e lavorativa ed è regolato da contratti di lavoro a tempo indeterminato. Il part-time si configura spesso come una soluzione momentanea, una opportunità mascherata dal contratto a tempo indeterminato che la rende maggiormente attraente; opportunità, però, che diventa una promessa mancata di conversione del contratto da part-time a full-time. Il part-time diventa quindi un “inciampo”, dal quale è difficile uscire.

Le maggiori criticità riguardano l’organizzazione dell’orario di lavoro e dei turni, la retribuzione e la remunerazione degli straordinari, la gestione di un doppio lavoro, la tutela previdenziale e la configurazione del part-time ciclico. A fronte di tali difficoltà le prospettive delle lavoratrici continuano a essere fragili, e l’unica prospettiva possibile sembra essere legata a stabilizzazioni strutturate, attraverso processi di internalizzazione e superamento del sistema delle gare di appalto che contraddistinguono gran parte dell’erogazione dei servizi da parte del terzo settore.

Le evidenze presentate mettono in luce il carattere strutturale del fenomeno nel mercato del lavoro italiano e illustrano come uno strumento pensato per essere di sostegno per il lavoratore sia stato oggetto di una distorsione che lo ha trasformato in elemento funzionale alla riduzione del costo del lavoro. In tale ottica, un intervento sul part-time che sia specifico e non penalizzante della componente “volontaria” appare più che mai necessario.


* Le opinioni espresse in questo lavoro impegnano la responsabilità degli autori e non necessariamente riflettono la posizione dell’Ente di appartenenza.

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