La questione della produzione e della distribuzione dei vaccini in questi giorni è al centro dell’attenzione in Europa in seguito ai ritardi nella loro consegna da parte delle case farmaceutiche con cui erano stati stipulati contratti. Ciò ha, in vario modo, spinto a guardare con maggior favore a soluzioni ‘nazionali’ e ‘competitive’ perché queste avrebbero permesso di disporre, anche se a costi maggiori, dei vaccini in tempi più brevi. Sia fondata o meno questa conclusione con riguardo a uno o più paesi, certamente essa non può valere per tutti i paesi soprattutto se vi sono vincoli nella produzione che rallentano la disponibilità di vaccini. Come abbiamo argomentato nella prima parte di questo articolo pubblicato sullo scorso numero del Menabò affrontare questo problema sulla base di politiche ispirate a ristrette ottiche nazionali rischia di produrre non soltanto una catastrofe morale a livello mondiale ma anche conseguenze economiche e sanitarie assai negative per chi adottasse quelle politiche. Al riguardo è opportuno qualche approfondimento e alcune proposte.
La razionalità dei paesi ad alto reddito (HIC). Se l’immunizzazione dei paesi a basso e medio reddito (LMIC) e in particolare dell’Africa ritarda, il benessere economico dei paesi avanzati ne soffrirà in modo molto rilevante, per ragioni economiche e sanitarie.
Sotto il profilo economico studi recenti hanno mostrato, con metodi diversi, che quel ritardo verrebbe a costare molto caro proprio ai paesi a più alto reddito a causa delle reti globali di produzione. In particolare, secondo Cakmali et al.* (2021), in uno scenario totalmente non coordinato (paesi avanzati che procedono all’immunizzazione totale e LMIC che seguono la strada naturale dell’immunità di gregge senza intervento) le economie avanzate sopporterebbero fino al 49% della riduzione del PIL mondiale. L’intervallo di variazione di queste simulazioni è molto ampio e oscilla tra 0,2 e 2,6 trilioni di dollari a seconda degli effetti sulle catene globali del valore. In confronto, l’ACT-Accelerator per migliorare le strutture sanitarie e coordinare la vaccinazione nei paesi LMIC costerebbe circa 30 miliardi di dollari, ovvero almeno 10 volte di meno!
Vi sarebbero, poi, ricadute di carattere sanitario. Considerata la sua alta trasmissibilità e velocità di evoluzione, le conseguenze di SARS-CoV-2 non resterebbero confinate ad alcune regioni del mondo, come invece è avvenuto per il virus HIV e l’AIDS o per la malaria, che è stata debellata ovunque eccetto che in Africa e in poche regioni del Sud America (come risulta da questa mappa). Le recenti mutazioni del virus che hanno generato varianti di interesse (variants of concerns) in grado di attenuare l’efficacia dei vaccini confermano la concretezza di questi rischi, rispetto ai quali non costituirebbe una soluzione cercare di impedire l’accesso nei paesi a chi non sia vaccinato. Come prova l’esperienza di Europa e Stati Uniti, i disastri naturali sono tipici detonatori di movimenti migratori e il tentativo di confinamento potrebbe perfino incentivare spinte migratorie difficili da controllare e potenzialmente molto pericolose da un punto di vista sanitario.
In conclusione, forme oculate di cooperazione e ‘solidarietà’, da parte dei paesi più ricchi, nel garantire l’accesso ai vaccini sarebbero giustificate anche in un’ottica di egoismo auto-interessato (ma illuminato).
La situazione si è, però, sviluppata in modo molto diverso. In luogo di una efficace cooperazione internazionale si è assistito, a livello mondiale, a una competizione sostenuta dal potere economico o da quelle che potremmo chiamare risorse geopolitiche. Chi ha vaccini in eccesso li offre a chi è in situazione di debolezza, che di buon grado li accetta, ma pagando spesso prezzi elevati in termini di cessione di sovranità nella quale può farsi rientrare anche rendersi disponibile a fungere da cavia per i vaccini, come è avvenuto per il Cile, che rappresenta un caso di interesse anche per le ragioni più positive di cui si dirà più avanti.
La produzione dei vaccini svolge un ruolo cruciale in tutta questa storia, da essa dipendono in larga misura anche le conseguenze che il difetto di coordinamento avrà sui paesi più poveri. Vale la pena approfondire brevemente la questione.
Organizzare la produzione di vaccini per una pandemia. La produzione dei vaccini anti-COVID richiede una tecnologia molto sofisticata, soprattutto per i vaccini Pfizer e Moderna basati sull’RNA messaggero. Sono poche le imprese al mondo che hanno a disposizione tali tecnologie e in alcuni casi hanno stipulato accordi per aumentare la produzione, come Sanofi con BioNtech o come AtraZeneca con il Serum Institute of India. La rilevanza del problema – è la cronaca di questi giorni – sta spingendo, però, molti paesi, tra cui il nostro, a cercare di dotarsi di quelle tecnologie per poi procedere alla produzione grazie ad accordi tra le case farmaceutiche detentrici dei brevetti e imprese ‘terziste’. Ma si tratta di una soluzione tardiva; ben altra strategia sarebbe stata necessaria anche per concludere contratti diversi con le case farmaceutiche.
Per illustrare il punto è utile partire dalla proposta (l’Advance Market Commitment – AMC) che l’economista e premio Nobel Michael Kremer fece per velocizzare la produzione del vaccino contro lo pneumococco per i paesi più poveri nel 2007. AMC prevede che un ente (lo Stato o le organizzazioni internazionali) si impegni a prenotare molte dosi in anticipo incentivando l’investimento costoso iniziale (pull funds) e riducendo significativamente i tempi di produzione e vaccinazione. Nel caso dello pneumococco il vaccino già esisteva e, dunque, AMC agiva con successo sui costi della produzione per accelerarla eliminando l’incertezza sulla domanda.
Nel caso di COVID-19 all’incertezza sulla domanda si è abbinata quella relativa alla scoperta del vaccino. Quindi il problema ha assunto una particolare complessità, dato anche il regime di protezione della proprietà intellettuale. In un lavoro di gennaio 2021 Ahuya e coautori mostrano come sarebbe stato opportuno non solamente prenotare dosi future, nello spirito di AMC (pull funds), ma anche contrattare la futura capacità di produzione (indipendentemente dall’eventuale successo della ricerca del vaccino) prevedendo il rimborso dei costi di installazione di tale capacità assicurando sia contro il rischio di fallimento del tentativo di scoperta del vaccino, sia contro il rischio di carenza di domanda (push funds).
Nel 2020 questa doppia strategia pull-push è stata seguita dagli USA per il vaccino sviluppato da Johnson&Johnson e dal Regno Unito per AstraZeneca, ma ad esempio non ha riguardato Pfizer che ha invece contato solamente sui pull funds degli ordini, chiedendo ora un prezzo più elevato per aver sopportato interamente i costi iniziali, ma sperimentando serie limitazioni nella capacità di produzione.
Altro problema è quello della complessità della catena di produzione e del collo di bottiglia che alcune fasi possono creare, ad esempio quello dell’infialatura e della carenza di vetro, che si è già manifestato. L’insegnamento per il futuro, in una sacrosanta logica precauzionale, è che occorre assicurare tempestivamente il funzionamento efficiente delle catene di produzione e l’adeguata costituzione di scorte di materiali.
I problemi di produzione che ora si profilano non possono risolversi con la sospensione dei diritti di proprietà intellettuale sui vaccini, che è stata formalmente richiesta a marzo del 2020 da India e Sud Africa al TRIP Council dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e che non è stata sottoposta nei tempi dovuti (dicembre 2020) alla deliberazione definitiva del General Council in cui i paesi LMIC avrebbero potuto sfidare i paesi industrializzati.
La sospensione di quei diritti oggi non costituirebbe un’automatica risposta all’esigenza di accrescere la capacità di produzione dei vaccini. L’eventuale rigidità di quest’ultima vanificherebbe, peraltro, gli effetti della maggiore domanda, anche quella che i LMIC potrebbero esercitare grazie ad aiuti monetari internazionali. Al massimo potrebbero appropriarsi di una piccola fetta di una torta di grandezza data e a prezzi molto elevati. Al riguardo appaiono rilevanti le seguenti considerazioni.
Il vaccino contro il COVID non è un bene omogeneo. Le tre tipologie principali – mRNA, a vettori virali e a virus inattivi – hanno con caratteristiche diverse in quanto a trasportabilità (la questione dell’elevata refrigerazione) oltre che efficacia. La prima conseguenza è che gli acquirenti possono esercitare una domanda diversificata. La strategia della diversificazione è quella scelta dal Cile che negli ultimi mesi del 2020 ha concluso contratti con AstraZeneca, Pfizer, Johnson&Johnson e la Cina (per Sinovac) per coprire quasi due volte e mezzo la sua popolazione. Ad oggi il Cile è uno dei paesi più virtuosi avendo immunizzato il 5,6% della popolazione (10 febbraio 2021), sebbene con vaccini non ancora approvati da enti internazionali.
Ma al di là di ciò la diversificazione può consentire di porre rimedio, almeno parzialmente, al formarsi di colli di bottiglia nella produzione di uno specifico vaccino. In effetti, la diversificazione vaccinale può aumentare l’elasticità dell’offerta e probabilmente ha contribuito a elevarla al di sopra di quello che ci si attendeva. In ogni caso, come sottolineato anche da Ahuya e coautori, accrescere sia le capacità di produzione che l’elasticità dell’offerta è cruciale per superare le esternalità negative derivanti un’offerta rigida e scarsa che attiva forme di competizione a tutto vantaggio dei produttori. Accrescere quella elasticità è un obiettivo prioritario per la politica economica a livello nazionale e internazionale.
Che fare nello spazio politico disponibile? Per aiutare i paesi LMIC è necessario agire lungo varie linee di intervento, tenendo conto dell’insieme delle scelte politicamente disponibili ai governi dei paesi HIC in cui la vaccinazione procede talvolta a rilento, come in Europa.
1) Finanziare più velocemente e massicciamente Access to COVID-19 Tools (ACT) Accelerator, per migliorare le strutture sanitarie nei paesi LMIC. Questa azione può servire sia per limitare i contagi e i decessi, sia per preparare questi paesi alla campagna vaccinale. Il finanziamento potrebbe avvenire attraverso i fondi di organizzazioni multilaterali (la Banca Mondiale ha già impegnato 12 miliardi di dollari e le Banche regionali). La struttura demografica più giovane può fornire un vantaggio per l’attesa dell’aumento della produzione globale dei vaccini e della loro distribuzione.
2) Rafforzare le iniziative multilaterali come COVAX-AMC per l’ordinazione di vaccini attraverso cartelli di domanda in grado di contrattare con le case farmaceutiche per assicurare percentuali di copertura della popolazione ben più alte del 20% che si era proposta. Per i paesi più piccoli e con istituzioni più deboli questo canale sarebbe l’unico in grado di evitare che vengano discriminati o cadano nelle mani di broker internazionali.
3) Sostenere l’ampliamento di capacità produttiva dei vaccini spingendo, al tempo stesso, i paesi HIC a cedere tempestivamente una parte dei loro vaccini in eccedenza per coprire nei LMIC il personale sanitario (le morti di medici in quei paesi sono un fenomeno grave) e la popolazione fragile (ad esempio sopra i 65 anni). La distribuzione dovrebbe essere coordinata e organizzata da un’organizzazione multilaterale come COVAX.
4) Avviare una politica di diversificazione nella domanda e nella produzione di vaccini. Diversi vaccini possono essere adatti a situazioni diverse (ad esempio, i vaccini conservabili a temperature di refrigerazione modeste sono più adatti ai paesi LMIC) e risultare diversamente efficaci rispetto alle varianti più pericolose (variants of concerns).
5) Aumentare le risorse dei paesi LMIC con lo scopo di co-finanziare iniziative del Access to COVID-19 Tools (ACT) Accelerator attraverso l’assegnazione straordinaria di Diritti Speciali di Prelievo (DSP), ormai di più facile realizzazione dopo il cambiamento di opinione sui DSP della nuova amministrazione USA.
Nelle ultime settimane si sono verificati eventi che possono alimentare speranza. Il 23 febbraio COVAX ha consegnato al Ghana le prime 600.000 dosi di vaccino e al G7 sono state fatte dichiarazioni che sembrano mostrare almeno sensibilità al problema. Ma la situazione è ancora tale da giustificare le preoccupazioni del capo di ACT-Accelerator il grido di allarme del segretario dell’ONU, anch’esso di pochi giorni fa.
*Cakmakli, C, Demiralp, S, Kalemli-Ozcan, S, Yesiltas, S and Yildirim, M. 2021. ‘The Economic Case for Global Vaccinations: An Epidemiological Model with International Production Networks’. London, Centre for Economic Policy Research.