“Il solo merito forma distinzione tra gl’ individui di S. Leucio. Perfett’uguaglianza nel vestire. Assoluto divieto contra del lusso”. Così si legge in un testo del 1789 dal titolo lunghissimo: Origine della popolazione di S. Leucio e suoi progressi fino al giorno d’oggi colle leggi corrispondenti al buon governo di essa. Di Ferdinando IV. Re delle Sicilie., che contiene preziose, inaspettate e forse sconosciute considerazioni e previsioni in tema di merito, uguaglianza e felicità. Leggendolo, molte analisi e raccomandazioni recenti rischiano di apparire ben poco originali e decisamente datate.
Cominciamo ricostruendo brevemente la storia di questo testo e di San Leucio. La colonia reale di San Leucio, situata sull’omonima collina, attualmente frazione del comune di Caserta, era il piccolo nucleo cittadino che, nelle intenzioni di Ferdinando IV di Borbone, sarebbe dovuto diventare la città modello di “Ferdinandopoli”. Il sito era stato acquistato dai Borbone come residenza di caccia ma Ferdinando, dopo la morte prematura del suo primogenito, lo adibì a sito per la lavorazione su scala industriale della seta. Oltre alle abitazioni per i lavoratori, il progetto prevedeva strutture educative e sanitarie. Una siffatta città ideale necessitava di un codice di leggi contenente i principi fondamentali che avrebbero dovuto guidare la comunità e favorirne il florido sviluppo. Fu così che nel 1789 nacque lo Statuto di San Leucio o Codice Leuciano, un chiaro esempio di dispotismo ispirato ad ideali di uguaglianza sociale e di solidarietà.
Diverse fonti riportano che il codice fu redatto dall’intellettuale Antonio Planelli, appartenente all’entourage della regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena. Gli approfonditi studi della giornalista Nadia Verdile (Utopia sociale, utopia economica. Le esperienze di San Leucio e New Lanark, Roma, 2009 e L’utopia di Carolina. Il Codice delle leggi leuciane, Napoli, 2007) suggeriscono, invero, che il Codice Leuciano, con la sua visione lungimirante e progressista, fu fortemente voluto proprio dalla regina, donna raffinata e colta, e non dal marito Ferdinando, uomo per nulla colto o avvezzo alle questioni di corte (sebbene propenso al contatto diretto con i suoi sudditi).
Il Codice Leuciano, composto di 5 capitoli e 24 brevi paragrafi, descrive una società fondata sul lavoro, in particolare sulla pari dignità tra i lavoratori, e sul merito, nella quale sono riconosciuti il diritto all’abitazione (fornita dal sovrano al momento del matrimonio, insieme a ciò che è “necessario pe’ comodi della vita”), il diritto all’istruzione gratuita per uomini e donne, la libera scelta del coniuge garantita dal sovrano – contro ogni interferenza della famiglia di origine (per poter contrarre liberamente matrimonio oltre ad aver compiuto 20 anni per gli uomini e 16 anni per le donne, occorreva essere in grado di mantenersi con il proprio lavoro) – l’abolizione della dote femminile e la parità di genere nell’asse ereditario. Inoltre, il Codice definisce un sistema di assistenza sociale straordinariamente avanzato per l’epoca: si prevede una “casa degli infermi” per i malati (e per l’annuale vaccinazione dei giovani contro il vaiolo) e una cassa comune “di carità” per i lavoratori “non istato di potersi lucrare il pane” (per vecchiaia, per infermità o invalidità). Da ultimo, il Codice prevede la garanzia di impiego per tutta la popolazione e l’integrazione dei lavoratori stranieri, che potevano acquisire gli stessi diritti dei cittadini leuciani se i loro costumi erano adeguati e se si applicavano assiduamente al lavoro, e stabilisce le pene per i trasgressori delle leggi.
Dunque – e prevedibilmente – il Codice Leuciano è caratterizzato da un’impostazione fortemente paternalistica ma volta a realizzare una rivoluzione sociale “dall’alto”, diretta a costruire un sistema economico, urbanistico e sociale in grado di scongiurare la miseria e il degrado della popolazione, realizzando quella che appariva essere una “società giusta”.
L’esperimento sociale innovativo e pioneristico di San Leucio non fu mai pienamente realizzato, a causa, prima, della discesa di Napoleone in Italia – e, in particolare, della nascita della Repubblica Partenopea nel 1799 – e, poi, della Restaurazione. Con l’Unità di Italia esso morì definitivamente. Tutto ciò non importa molto ai nostri fini, che sono soprattutto quelli di illustrare le idee contenute nel codice e la loro modernità.
Al riguardo, un giudizio generale illuminante è quello dell’intellettuale meridionale Matteo Angelo Galdi, che nel 1790, nell’introduzione alla sua “Analisi ragionata del Codice Ferdinandino per la popolazione di San Leucio”, richiamando un bisogno di certo ancora attuale, scrive:
“L’Europa intera desidera leggi chiare, brevi, eseguibili: odia i comentatori come capaci di adombrare il lume del vero, e d’involgere nelle tenebre dell’incertezza i principj più solidi della ragione. Un Codice che gode di sì rari privilegi, i cui dettami parlano al cuore, persuadono la mente, alimentano i semi dell’industria, e che con dolce inusitata forza dirigendo l’uomo lo costringono ad essere felice; un Codice tale dalla sterile loquacità, dalla inopportuna erudizione non potrebbe che rimanere profanato.”
Tornando al merito e all’eguaglianza, Galdi – influenzato dalle dottrine egualitarie francesi che aveva appreso dal giurista e filosofo Gaetano Filangieri – sostiene che il precetto che abbiamo riportato in apertura deriva dalla volontà di allontanare il grave pericolo costituito dall’eccessiva disuguaglianza, soprattutto nelle proprietà, fonte di odio e conflitto tra il ricco e il povero. L’eccessiva disuguaglianza cagionerebbe infatti la corruzione delle virtù sociali, alimentando, da un lato, alterigia e disprezzo nel ricco, in virtù della sua potenza, e, dall’altro, avvilimento e umiliazione nel povero, a causa della sua debolezza. Peraltro, a ricchezze eccessive, voluttà e lusso si accompagnano sempre povertà, delitti e avvilimento, con effetti particolarmente nocivi per l’economia dello Stato.
D’altra parte, Galdi specifica che l’eccessiva – non la modica – disuguaglianza va bandita dalla società: un’uguaglianza perfetta, sebbene desiderabile, appare incompatibile con lo stato civile, dove la diversità delle cariche, degli impieghi, delle attività e dei talenti, tendono continuamente a distruggerla. Inoltre, il perseguimento della perfetta uguaglianza implicherebbe anche una rinuncia al miglioramento. Infatti, in una società dove ognuno vive del proprio lavoro e dove si vuole scongiurare il pericolo dell’eccessiva disuguaglianza, è fondamentale premiare l’amore e la pratica costante del lavoro, così come la perspicacia dell’ingegno. In altre parole, è necessario riconoscere il merito, risultato dello sforzo e dell’abilità degli individui.
Sulla base delle norme contenute nel Codice Leuciano, il raggiungimento di risultati illustri nel lavoro ed il loro progressivo perfezionamento deve essere collegato ad un sistema di premialità, che, attraverso un concorso, porta al riconoscimento sociale, ovvero all’assegnazione di una medaglia d’argento o d’oro da portare in petto e che dà accesso, in Chiesa – luogo di aggregazione dell’intera comunità – al cosiddetto “Banco del Merito”. L’estrema importanza del merito e, in particolare dello sforzo, è ribadito anche nelle norme che prevedono la permanenza nella “Casa di correzione”, col divieto di ritornare alle proprie case, per i giovani di entrambi i sessi che, giunti all’età di 16 anni, non abbiano imparato il mestiere e non siano in grado di essere impiegati nella manifattura della seta, per mancanza di volontà. Diversamente, per coloro che, nonostante l’impegno non abbiano comunque appreso il mestiere, si prevede la permanenza nella “Casa di educazione”, col divieto di far ritorno a casa propria finché non siano sufficientemente istruiti.
San Leucio doveva dotarsi anche di un adeguato sistema di assistenza sociale basato su uno spirito solidaristico che deve diffondersi nell’intera comunità. Seguiamo il Codice: “Per effetto di quell’amore, ch’è l’anima di questa Società, e per quello spirito di fratellanza, che a ciascuno di voi deve far riguardare questa Popolazione, come una sola famiglia, giusto è ancora, che se tra voi si trovi un’artista, privo di moglie, e di figli, o con questi, ma non in istato di lucrarsi il pane per loro, e pel povero padre caduto in miserie o per vecchiaja, o per infermità, o per altra fatal disgrazia, ma non mai per pigrizia, ovvero per infingardagine; sia da tutti comunemente soccorso, acciò non si riducano nello stato di andar mendicando, ch’e lo stato più infame, e detestabile, che sia sulla terra. Perciò siavi tra voi una Cassa, che chiamerassi della Carità, dalla quale sian codest’infelici comodamente soccorsi o per tutto il tempo della vita, o fino a che non sian rimessi in istato di potersi lucrar il pane.”
Pertanto, è dovere di ciascuno risollevare le sorti di chi fosse povero per disgrazia o infermità, mai comunque per pigrizia o per dolo, affinché nessuno sia costretto a mendicare. A tale scopo è istituita una “Cassa di carità”, in cui confluisce una parte dei guadagni di ciascun lavoratore, nella forma di una contribuzione in somma fissa ogni mese, con la previsione di una somma maggiore per chi percepisce guadagni al di sopra di una certa soglia. Tale cassa è amministrata dal Parroco, dai “Seniori” del popolo (i cinque saggi eletti ogni anno col compito di risolvere le controversie e di vigilare sui costumi, sull’igiene, e sullo stato di salute dei cittadini e sul flusso di stranieri) e dai direttori delle arti, che registreranno in un libro lo “stato” di ciascun lavoratore rispetto ai versamenti dovuti e nella “tabella de’Contumaci”, i nomi degli inadempienti, da esporre pubblicamente.
Dunque, il Codice Leuciano tratta e cerca di dare soluzione ad alcuni dei problemi ancora oggi più intensamente dibattuti a proposito di disuguaglianza e società giusta. Anzitutto, il riconoscimento e il ruolo del merito. Nell’accezione oggi dominante, il merito è funzione dell’abilità individuale e dello sforzo (Cfr. M. Franzini, E. Granaglia, M. Raitano, Dobbiamo preoccuparci dei ricchi? Le disuguaglianze estreme nel capitalismo contemporaneo, Il Mulino, 2014) e se oggi il premio per il merito è un reddito più alto, nel mondo di San Leucio consisteva essenzialmente nel riconoscimento sociale. D’altra parte, oltre a prevedere un livellamento delle posizioni iniziali degli individui (il cosiddetto level playing field) che consenta le medesime opportunità di successo “sociale” a tutti, il Codice Leuciano tiene conto anche dell’eventuale ruolo della sfortuna, nella distribuzione delle abilità e nel causare imprevisti che possono condurre alla povertà. In generale, la visione meritocratica è mitigata dalla preoccupazione per la disuguaglianza negli esiti, cui corrisponde la previsione di un’azione redistributiva basata su un principio solidaristico.
Inoltre, nel Codice, l’eccessiva disuguaglianza è considerata un male per le conseguenze negative che essa avrebbe. Questa preoccupazione – benché controversa – è oggi diffusa tra molti studiosi della disuguaglianza, che mettono in guardia contro il suo alto prezzo in termini di coesione sociale, tasso di criminalità ed altri problemi sociali che compromettono il benessere della società nel suo complesso (si veda, fra tutti, J. Stiglitz Il prezzo della disuguaglianza, Einaudi, 2013).
In conclusione, sebbene il Codice Leuciano sia rimasto un progetto utopico, rileggerlo serve a rendersi conto che il tema della società giusta e di come realizzarla ha radice lontane. E provoca un leggero senso di vertigine il pensiero che un monarca – forse neanche troppo illuminato, ma abbastanza fortunato da poter contare su una consorte illuminata – abbia proposto e cercato di attuare una società che appare molto più giusta e avanzata di quella che sembrano in grado di proporci politici espressi da una democrazia che ha avuto, nel frattempo, qualche secolo a disposizione per “maturare”. Con questo pensiero nelle mente vale la pena di rileggere le parole che concludono il Codice Leuciano: “Questa è la legge, ch’Io vi dò per la buona condotta di vostra vita. Osservatela, e sarete felici.”
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