ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 194/2023

31 Maggio 2023

La riforma spagnola del mercato del lavoro: luci e ombre (prima parte).

Magdalena Nogueira Guastavino in un articolo diviso in due parti illustra e discute la riforma del mercato del lavoro introdotta in Spagna dal governo di coalizione tra Partito Socialista e Unidas Podemos alla fine del 2021. In questa prima parte l’autrice illustra i molteplici contenuti della riforma presentando in modo dettagliato gli interventi diretti a limitare il ricorso al contratto a tempo determinato che la precedente riforma del 2012 aveva fortemente incentivato.

Il Presidente Sanchez ha annunciato le dimissioni del suo Governo in seguito all’esito delle elezioni amministrative del 28 maggio non favorevole ai due partiti – Partito Socialista (PSOE) e dal partito di sinistra Unidas Podemos (UP) – che governano la Spagna dal 2020. Al di là di quelli che saranno gli sviluppi di questa crisi è importante esaminare uno degli atti più significativi di questo governo, la riforma del mercato del lavoro che era stata promessa nella campagna elettorale e che mirava ad abolire la precedente riforma attuata nel 2012 dal governo di destra e a restituire, come si diceva, i loro diritti ai lavoratori. 

Il primo passo in questa direzione è stato il forte aumento del salario minimo, che è stato elevato del 5,5% rispetto all’anno precedente. Tutto ciò è in linea con la strategia perseguita dal PSOE che ha portato il salario minimo a crescere dai 707,60 euro al mese del 2018 (l’anno del loro arrivo al potere) ai 1080 euro al mese (15.120 euro all’anno in 14 rate) di oggi

Durante la pandemia, i diritti sono stati preservati e si sono messi in atto efficaci ammortizzatori sociali attraverso un’intensa azione legislativa mirata specificamente a conservare i posti di lavoro e a evitare i licenziamenti, ma anche attraverso l’approvazione, nel maggio 2020, del reddito minimo vitale (RDL 20/2020; attuale Legge 19/2021) che garantisce, in tempi particolarmente difficili, un reddito minimo a chi si trova in una situazione di vulnerabilità economica.

Inoltre, nel settembre dello stesso anno, è stata approvata la legge sul lavoro a distanza (RDL 28/2020; attuale L. 10/2021) che, tra le altre cose, tutela i minori e le persone con contratti di formazione, limitando il numero di ore di lavoro telematico nell’arco della giornata. Sono state introdotte anche politiche per la parità salariale di genere (RD 901/2020902/2020) ed è stato previsto uno specifico “contributo demografico” supplementare (RDL 3/2021) per ridurre il divario di genere nell’ambito della Previdenza Sociale. Tale contributo supplementare è stato successivamente esteso agli uomini a seguito della sentenza della CGUE del 12 dicembre 2019 (caso WA). È stato anche riformato lo Statuto dei Lavoratori per garantire i diritti delle persone impegnate, attraverso le piattaforme digitali, nelle consegne a domicilio e la cosiddetta “Legge Riders” (Legge 12/2021) ha permesso di proteggere la classe lavoratrice dagli usi distorsivi degli algoritmi. 

Ma, senza dubbio, dopo una serie di interventi volti a ridurre l’uso del lavoro a termine nel pubblico impiego (Ley 20/2021), la misura di tutela più rilevante e nota è stata la riforma dello Statuto dei Lavoratori del dicembre 2021 con il RDL 32/2021, entrato in vigore il 31 dicembre 2021 (ad eccezione delle principali misure relative alle assunzioni temporanee, applicabili dopo il 31 marzo 2022). 

Questa riforma si caratterizza per: 

(a) essere il risultato di un processo di negoziazione con le parti sociali, il che è particolarmente rilevante perché è la prima volta che queste ultime raggiungono un accordo su una riforma di così ampia portata; 

(b) non abrogare la riforma della destra del 2012, nonostante la promessa elettorale, il che è comprensibile trattandosi di una riforma negoziata; 

(c) essere stata approvata, dopo un’ampia discussione politica, con il margine di un solo voto peraltro espresso per errore da un membro del partito popolare che, per l’appunto, era contrario alla riforma; 

(d) prospettare un cambiamento di paradigma su cui basare il diritto del lavoro del XXI secolo, visto che il suo obiettivo dichiarato è quello di fornire un quadro giuridico per “rapporti di lavoro sani, non basati sulla precarietà e che garantiscano diritti”.

La riforma si basa su quattro principi fondamentali: 

(a) riforma dei contratti di lavoro, dando prevalenza ai contratti a tempo indeterminato e semplificando quelli temporanei ma rafforzando le causali;

(b) “Moddernizzazione” della contrattazione collettiva mediante l’introduzione di modifiche nella sua struttura: ritorno all’ultrattività del contratto collettivo e abrogazione della priorità del contratto aziendale in materia salariale (allo scopo di evitare la svalutazione dei salari); 

(c) “Modernizzazione” dell’appalto e del subappalto tra imprese: applicazione dell’accordo relativo all’attività effettivamente appaltata (riprendendo la giurisprudenza sulle imprese multiservizi) a meno che non esista un altro contratto settoriale applicabile in conformità con le disposizioni del Titolo III ET” (v.gr. CCNz per le imprese di pulizia); 

(d) Istituzione di un meccanismo permanente di flessibilità interna per le aziende in situazioni di crisi allo scopo di mantenere l’occupazione. Il meccanismo di flessibilità utilizzato nella pandemia diventa permanente ma deve essere attivato dal Consiglio dei ministri e da quel momento le aziende potranno richiederne l’applicazione. È prevista una doppia modalità: congiunturale (durata massima 1 anno) e settoriale per processi di riqualificazione e transizione professionale (durata massima 1 anno, ma sono ammesse 2 proroghe di 6 mesi ciascuna. Ai datori di lavoro è fatto obbligo di definire un piano di riqualificazione dei lavoratori.

Per quanto riguarda la riforma dei contratti di lavoro, l’obbiettivo, come si è già visto, è il rafforzamento dei contratti a tempo indeterminato come regola generale e la riduzione del campo di applicazione dei contratti a tempo determinato. 

Le misure per rafforzare il reclutamento a tempo indeterminato includono le seguenti: 

(a) Il contratto di lavoro si presume stipulato a tempo indeterminato , e vengono estesi i motivi (formali e causali) per cui si considera automaticamente a tempo indeterminato;

 (b) il ricorso al tempo determinato è ammesso solo per specifiche esigenze produttive o per sostituire un lavoratore; 

(c) Contratti a tempo indeterminato nel settore edile, anche se con una norma speciale per la cessazione del contratto quando le mansioni sono completate e il datore di lavoro non ha la possibilità di ricollocare il lavoratore in un altro sito.

(d) la conversione del contratto temporaneo, se illegittimo per qualsiasi motivo, in contratto a tempo indeterminato (art. 15.1 e 4 ET). È anche previsto – e si tratta di una novità – l’obbligo di giustificare per iscritto la causale del lavoro temporaneo, le circostanze che lo giustificano e l’appropriatezza della durata prevista (art. 15.1 ET); 

(e) la riduzione del periodo di durata massima di una successione di contratti di lavoro temporaneo da 24 mesi (su 30 mesi) a 18 mesi (su 24 mesi). Se si superano i 18 mesi, il contratto è considerato a tempo indeterminato, anche se il dipendente ha lavorato solo due giorni; infatti è stato introdotto il criterio che la successione non si riferisce solo ai contratti, ma anche alle persone che lavorano in modo continuativo nello stesso posto di lavoro. 

Si è anche ridotto il campo di applicazione dei contratti a tempo determinato, attraverso misure quali la previsione del pagamento di un supplemento di contributi previdenziali per i contratti temporanei di durata inferiore a 30 giorni (art. 151 LGSS); l’abolizione del contratto a tempo determinato per un lavoro o un servizio specifico (“de obra o servicio determinado”) che aveva causali poco chiare e si esponeva a molte frodi; l’istituzione della regola generale secondo cui il subappalto non giustifica la stipula di contratti temporanei, la possibilità per i contratti collettivi di ridurre la durata dei contratti temporanei (art. 15.8 ET). La misura cardine è però l’aumento delle sanzioni amministrative in caso di contratti temporanei per lavoro fraudolento, il cui importo varia da 1.000 a 10.000 euro (art. 7.2 e 18.2 LGSS). 

La riforma mira anche a semplificare i contratti a tempo determinato. A parte la riforma dei contratti di formazione, che si concentra sul rafforzamento dell’elemento formativo, l’assunzione a tempo determinato ha carattere eccezionale e deve essere necessariamente legata a un’esigenza aziendale temporanea. In particolare è, come detto, limitata a due casi (art. 15 ET): variazioni produttive e sostituzione di altri lavoratori. 

Il contratto a tempo “determinato” più interessante è quello per variazioni produttive non solo per la sua relazione con il contratto a tempo “indeterminato” adesso “ridisegnato”, il cosiddetto fisso discontinuo, ma anche perché implica il riconoscimento della necessità, pur se in misura limitata, di una temporaneità “causale” (si veda la figura seguente). In particolare, le circostanze in cui tale contratto può essere stipulato sono gli incrementi di attività occasionali e non prevedibili (ad esempio un ordine straordinario che richiede un aumento della produzione), le fluttuazioni nella normale attività dell’azienda che generano un temporaneo disallineamento tra l’occupazione stabile disponibile e quella necessaria (comprese le fluttuazioni dovute alle ferie annuali), e per affrontare situazioni occasionali e prevedibili di durata limitata e circoscritta (ad esempio, una campagna ideata dall’azienda per attirare i clienti o per svolgere un’attività straordinaria ma prevedibile come la fornitura di cibo per un congresso annuale). Questo contratto può essere utilizzato per un massimo di 90 giorni (non continuativi) in un anno solare, indipendentemente dal numero di persone che lavorano in ciascun contratto e il datore di lavoro è obbligato a prevedere il numero di contratti su base annuale.

L’abrogazione del contratto a tempo determinato per un “lavoro o servizio specifico” – rifugio della maggior parte dei contratti causalmente fraudolenti, come si è detto – ha portato il legislatore a ridisegnare il contratto “fisso discontinuo”. Un contratto “a tempo indeterminato”, anche se il lavoro non viene svolto durante tutto l’anno ma solo in periodi ricorrenti, cioè che si ripetono nel tempo. L’immagine seguente, che conclude la prima parte di questo intervento, mostra una sintesi della regolamentazione del contratto a tempo indeterminato “discontinuo”.

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