ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 197/2023

15 Luglio 2023

Breve storia del decreto trasparenza: tra omissioni, manomissioni e ipotesi di riforma per liberare il lavoro dal precariato

Feliciano Iudicone ripercorre le vicende del Decreto Trasparenza, contestualizzandone obiettivi e contenuti nelle politiche europee di riferimento ed evidenziando i limiti della prima trasposizione nel nostro paese nonché delle modifiche introdotte di recente con il Decreto Lavoro. Dopo aver presentato la sua analisi critica, Iudicone avanza alcune ipotesi di riforma per migliorare l’informazione dei lavoratori sulle loro tutele e per arginare, con approcci complementari, la precarietà lavorativa.

Il 27 giugno scorso è stato approvato il cosiddetto “decreto trasparenza” (d. lgs. 104/2022), con cui il governo italiano ha trasposto la Direttiva EU 2019/1152 su “condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili”. 

Due i cardini della direttiva: la fornitura di informazioni chiare ai lavoratori sulle loro condizioni contrattuali, quale elemento fondamentale per l’esercizio dei propri diritti, e l’introduzione di nuove tutele lavoristiche, principalmente orientate a contrastare il precariato, in particolare l’abuso dei rapporti a chiamata.

Apparentemente di portata ristretta, la direttiva si inserisce in un ampio spettro di iniziative legislative a rafforzamento delle politiche sociali e del lavoro che le istituzioni europee stanno adottando a seguito dell’approvazione nel novembre 2017 del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali e del successivo Piano di Azione. Tra le tante si ricordano la Raccomandazione sull’accesso alla protezione sociale per i lavoratori subordinati e autonomi, la Direttiva sui salari minimi adeguati, la Raccomandazione su un adeguato reddito minimo, la Direttiva sulla trasparenza retributiva. 

Un cambio di paradigma notevole rispetto alla gestione della crisi del 2008, evidentemente influenzato dalle ricadute negative delle politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro prima e della pandemia poi, che le classi dirigenti del nostro paese sembrano invece aver dimenticato. Già in sede di prima trasposizione, tra marzo e giugno 2022, il Ministero del Lavoro, allora guidato da Andrea Orlando, propendeva per un approccio minimale.

Per quanto riguarda le informazioni che i datori di lavoro devono fornire ai lavoratori in fase di assunzione, il d. lgs. 104/2022 riprendeva sostanzialmente l’elenco della direttiva, tra cui il livello di inquadramento e la retribuzione, la durata delle ferie e dei congedi retribuiti, il contratto collettivo applicato, eventuali diritti alla formazione, istituti previdenziali di affiliazione e altre forme di protezione sociale fornita, aspetti riguardanti l’organizzazione dell’orario di lavoro. La lista, che integra precedenti disposizioni europee e nazionali, mancava, però, di opportuni adattamenti alla realtà italiana. Si rifiutava, ad esempio, l’innocua proposta della Commissione Lavoro della Camera dei deputati di obbligare le imprese edili a comunicare la Cassa Edile di affiliazione. Mancava altresì un chiaro riferimento sull’inclusione degli altri enti bilaterali di cui la contrattazione collettiva dispone nel campo della sanità e della previdenza integrativa, della formazione continua e del sostegno al reddito, parzialmente richiamati solo nella successiva circolare del Ministero del Lavoro numero 19 del 20 settembre 2022.

L’articolo 5 comma 2 con il quale la direttiva invita gli Stati Membri a fornire modelli di informativa ad uso delle imprese veniva ignorato, mentre l’obbligo previsto dal comma successivo di fornire informazioni su un portale online sul quadro giuridico applicabile in modo “chiaro, trasparente, completo e facilmente accessibile” veniva trasposto e poi applicato su base puramente formale. Ancora oggi, la pagina dedicata sul sito del Ministero offre una mera disamina del decreto stesso e i soli riferimenti alle circolari applicative. 

Unico slancio innovatore era l’introduzione di un obbligo informativo a favore del lavoratore e delle rappresentanze sindacali sull’utilizzo di sistemi decisionali, di monitoraggio o valutazione del lavoro algoritmici. 

Sulle nuove tutele lavoristiche, il decreto richiamava le principali disposizioni della direttiva, in parte già disciplinate, riguardanti: la durata massima del periodo di prova (6 mesi), il diritto di svolgere più impieghi in parallelo, il diritto a ricevere la formazione obbligatoria gratuitamente e durante l’orario di lavoro, la possibilità di chiedere la transizione a forme di lavoro più stabili e la possibilità di rifiutare la chiamata al lavoro senza conseguenze in assenza di un preavviso minimo e al di fuori di un periodo predeterminato. 

Rimaneva ignorato, invece, l’articolo 11 della direttiva, che richiede di contrastare l’abuso di contratti a chiamata o analoghi introducendo: limiti all’uso e alla durata di tali contratti, la presunzione di esistenza di un contratto con un minimo di ore garantite sulla base della media delle ore effettivamente lavorate in un periodo precedente (cosiddetto monte ore garantito) e/o altre misure equivalenti. 

Per l’Italia, i documenti preparatori della direttiva individuano il contratto intermittente e il contratto di prestazione occasionale (voucher) come le tipologie più rispondenti al modello del lavoro “a chiamata”. 

Tuttavia, già nella valutazione della legge 92/2012, lo stesso Ministero del Lavoro, esaminando l’effetto di alcune restrizioni al lavoro intermittente, suggeriva che “una quota dei rapporti di lavoro intermittente cessati sia proseguita con altre tipologie contrattuali: […] il lavoro occasionale accessorio, il lavoro somministrato ed i contratti a tempo determinato, questi ultimi articolati in rapporti di lavoro di brevissima durata”. Tale ipotesi di sostanziale fungibilità tra contratti formalmente diversi veniva confermata dal successivo trend incrementale dei contratti a tempo determinato e in somministrazione di durata inferiore a 3 giorni. Meriterebbe approfondimento, inoltre, la situazione di quei collaboratori e lavoratori autonomi che nei fatti dipendono dal committente, circa 500.000 persone stando alle stime disponibili, talvolta gestiti con modalità a chiamata, come nel caso dei rider (fattorini) delle piattaforme.

Purtroppo, la comunicazione obbligatoria introdotta nella scorsa legislatura per la categoria forse a maggior rischio di instabilità tra gli autonomi, quella dei lavoratori occasionali, veniva svilita dalle indicazioni operative. Con nota 29 del 27 gennaio 2022, il Ministero del Lavoro e l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ne escludevano infatti l’applicazione per redattori di articoli, grafici e tutti coloro che svolgono “prestazioni di natura prettamente intellettuale”. Non è dato sapere, quindi, quante imprese di servizi operino prevalentemente tramite il lavoro iper precario degli “autonomi occasionali”, con un modello di business simile a quelle delle piattaforme.

Dalle occasioni mancate ai tempi del governo Draghi si passa alle modifiche peggiorative del decreto legge 48/2023 (cosiddetto Decreto lavoro) introdotto dall’attuale governo.

Il decreto consente di superare la comunicazione al lavoratore sulle condizioni di lavoro con il mero riferimento normativo o di contratto collettivo per la quasi totalità delle materie, inclusi i dettagli su orario di lavoro e turnazione. Si generalizza, così, una facoltà già consentita da precedenti circolari, mitigata dall’obbligo di mettere a disposizione o consegnare il contratto collettivo applicato.

Una tale semplificazione, pur consentita dalla direttiva, sembra ignorare la realtà italiana.

L’archivio CNEL dei nostri contratti, infatti, pur migliorato negli anni, risulta ancora complicato da consultare, per la difficoltà a individuare il contratto corretto, stante il proliferare di contratti pirata, il deposito di mere scansioni dei documenti di difficile consultazione e l’assenza di testi consolidati. In genere, ad un testo completo che può risalire anche a più di 10 anni addietro, si sommano le scansioni dei rinnovi, contenenti i soli articoli aggiunti o modificati. 

 Il decreto manomette poi la tanto discussa informativa sull’utilizzo di sistemi algoritmici. La formulazione attuale ne prevede l’obbligatorietà solo se tali sistemi sono “integralmente automatizzati” e a patto di non essere coperti da “segreto industriale o commerciale”. Ciò permette facili elusioni e risulta meno incisivo delle tutele generali disposte dal Regolamento europeo sulla privacy.

Al contempo, mentre il precedente governo riteneva evidentemente sufficienti i pochi limiti esistenti alle tante forme di lavoro atipico, quello attuale ha esteso limiti e platea del contratto di prestazione occasionale e previsto ulteriori liberalizzazioni del contratto a tempo determinato e di somministrazione. 

Partendo da alcuni contratti collettivi, buone pratiche delle organizzazioni sindacali o prassi istituzionali, è allora necessario avanzare delle proposte che sottintendono una visione diversa del diritto del lavoro.

In merito all’informazione al lavoratore, innanzitutto si potrebbero vincolare le parti sociali a depositare in occasione di ciascun rinnovo le versioni consolidate dei contratti collettivi, unitamente a una sintesi delle principali disposizioni di interesse per i lavoratori.

Questo documento sarebbe poi utilizzabile per informare correttamente i lavoratori sui loro diritti, magari con comunicazione contestuale all’assunzione tramite l’app IO o comunque da parte dei Centri per l’impiego, di cui va rivalutato il ruolo di orientamento al lavoro.

Si vedano, a tal proposito, l’archivio dei contratti collettivi belga ad uso dei lavoratori distaccati, navigabile anche per tema, il sito constructionworkers.eu, che presenta informazioni di semplice fruizione sulle condizioni di lavoro applicabili nel settore edile in più di 30 paesi europei, nonché, tornando all’Italia, le schede elaborate dalla FILCAMS per i contratti di cui è firmataria e l’esperienza dei “servizi proattivi” dell’INPS.

Analogamente il sito del Ministero del Lavoro potrebbe offrire una panoramica della disciplina dei principali diritti del lavoratore o dei contenuti delle principali norme negli ambiti della direttiva. Il sito ufficiale della Gazzetta Europea, ad esempio, fornisce un breve schema di sintesi delle leggi approvate, facilitandone la comprensione (qui lo schema della direttiva in esame).

Al fine di ridurre l’abuso di contratti non standard o perlomeno dei soli contratti a chiamata e simili, oltre ad una necessaria razionalizzazione delle tipologie contrattuali, aumentarne il costo del lavoro rispetto al contratto a tempo indeterminato rappresenta una prima semplice opzione. 

Come proposto dalla UIL diversi anni orsono, si potrebbe incrementare l’addizionale NASPI per i contratti a termine dall’attuale 1,4% al 4%. Il gettito risultante potrebbe essere destinato ad un potenziamento delle protezioni sociali per i lavoratori con carriere discontinue o a sostenere sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato. 

Si potrebbe anche istituire un’indennità aggiuntiva per i lavoratori a termine, da definire in sede di contrattazione collettiva a compensazione del loro maggior rischio di disoccupazione. Un interessante precedente: nel CCNL Teatri è prevista un’indennità aggiuntiva del 40% per il personale artistico a chiamata.

Con riferimento ai lavoratori autonomi, l’estensione generalizzata dei minimi salariali disposti dalla contrattazione collettiva per i dipendenti con mansioni simili prevista dal recente disegno di legge delle opposizioni sul salario minimo è certamente una base di partenza, ma un compenso davvero equo dovrebbe tenere conto delle competenze organizzative necessarie per gestire la propria attività in maniera realmente autonoma, oltre che dei diversi oneri sociali a carico dei lavoratori autonomi. 

Infine, prendendo spunto dalla recente Direttiva sulla trasparenza retributiva, che prevede una nuova procedura di consultazione sindacale in caso di elevati divari tra le retribuzioni di uomini e donne, si potrebbe pensare a una procedura simile in caso di elevato ricorso a contratti atipici o di lavoro autonomo finalizzata alla stabilizzazione del personale o all’applicazione e al monitoraggio di condizioni non discriminatorie e coerenti con le forme contrattuali adottate. Requisito preliminare potrebbe essere il regolare invio o pubblicazione di dati sul personale per tipologia di contratto in forze nelle imprese, già calcolato dall’INPS e disponibile, ma a pagamento, nel Registro delle imprese. Il dato sarebbe eventualmente integrabile con informazioni sui rapporti di lavoro autonomo in essere.

Tali misure, affrontando il tema da angolature diverse e con strumenti complementari, potrebbero dispiegare maggiore efficacia se concepite come un insieme completo e coerente, in modo simile a quanto sta avvenendo con il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali. Ingrediente preliminare è tuttavia una visione politica che vada oltre la proposta spot, e, soprattutto, che si basi su una concezione del lavoro come elemento di cittadinanza e non come un improprio e inefficace ammortizzatore sociale del sistema produttivo.

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