ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 192/2023

1 Maggio 2023

Guarire dal trauma con la musica. Arte per il benessere e la salute mentale dei rifugiati in Europa

Annalisa Cicerchia e Martina Caroleo in relazione al crescente il numero di adulti, giovani, e anche bambini costretti da eventi avversi a lasciare il proprio paese e esposti al grave rischio di vedere compromessa la propria salute mentale, ritengono che per far fronte a questo grave problema i paesi di destinazione dovrebbero adottare una strategia integrata che includa anche la musica, il cui effetto positivo sulla salute mentale delle persone con un traumatico retroterra di violenza e fuga è riconosciuto anche dalla ricerca medica ufficiale.

L’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati stima in oltre 84 milioni, a livello globale, il numero di persone che nel mondo sono state costrette a lasciare il proprio paese nel 2021, con un forte aumento rispetto agli 82,4 milioni registrati nel corso del 2020. Alla fine del 2022, i soli rifugiati dall’Ucraina nei vari paesi europei erano più di 8,2 milioni.

L’OMS si sta occupando delle ricadute di queste esperienze sconvolgenti sulla salute mentale di coloro che sono costretti a emigrare a causa di disastri naturali, persecuzioni, conflitti, violenza generalizzata o violazioni dei diritti umani. Si tratta di adulti, di giovani, e anche di bambini, che hanno tutti sperimentato perdite significative, sofferenze e avversità fisiche e altre forme di stress, che provocano inevitabilmente, per usare un eufemismo, disagio psicologico. I paesi di arrivo e di accoglienza si trovano così di fronte a una domanda crescente di sostegno e di intervento per la promozione della salute mentale dei migranti forzati, e per la prevenzione, la gestione e il trattamento dei disturbi, che sono molto frequenti. A questa domanda, che si somma a quella interna, derivante dalla grande cicatrice pandemica e dalla crisi della salute mentale che già si era manifestata, specialmente fra i giovani, ben prima dello scoppio della crisi Covid-19, occorre dare una risposta strutturale, non solo di emergenza. Lo si può fare efficacemente se si adotta una strategia integrata, facendo ricorso a tutte le risorse disponibili.

In queste risorse rientrano anche i settori culturali e creativi, secondo quanto si afferma in una pubblicazione recente, prodotta nell’ambito del progetto della Commissione Europea Culture for Health da Culture Action Europe, WHO Collaborating Centre for Arts and Health, University College di Londra, e Arts and Health initiative, della New York University. Numerose evidenze mostrano infatti che le attività artistiche possono svolgere un ruolo non secondario nei processi psicologici, comportamentali e sociali che permettono di migliorare il benessere mentale. Ad esempio, la possibilità, attraverso l’arte, di sostenere la capacità dei migranti forzati di conservare, elaborare e comunicare la propria identità, il proprio patrimonio e la propria esperienza, anche dolorosa e traumatica, può infatti contribuire in modo rilevante a mantenerne l’equilibrio mentale, o a raggiungerne uno nuovo.

I dati raccolti da Culture Action Europe e dall’OMS mettono in luce, in particolare, il successo di progetti fondati sulle arti partecipative, le arti visive, la danza, il teatro, la scrittura, e la musica. Il coinvolgimento in attività artistiche ha generato forme efficaci di inclusione sociale e di appartenenza per le persone che hanno perso tutto e sono state costrette a lasciare il loro paese e di coesione e di accettazione sociale, per i paesi di arrivo,

In termini medici, le persone con esperienze traumatiche di fuga da situazioni sconvolgenti che hanno preso parte in modo sistematico ad attività artistiche pensate per loro mostrano, sul piano psicologico, miglioramenti nella regolazione delle emozioni, nell’espressione emotiva, nella capacità di coping, nella fiducia in sé stessi, nel senso della speranza, nella capacità di immaginazione e della consapevolezza delle proprie risorse psicologiche. Sul piano comportamentale, si agevola l’apprendimento e il rinforzo di comportamenti sani e si riducono le difficoltà di inserimento nel nuovo contesto.

Music Action International è un’organizzazione con sede nel Regno Unito, che crea programmi musicali terapeutici con persone che vivono in esilio, rifugiati, richiedenti asilo e Rom. Molti dei loro facilitatori hanno vissuto l’impatto della guerra e sono formati per dare sostegno a bambini, giovani e adulti sopravvissuti attraverso la musica e l’esibizione in pubblico per migliorarne la salute e il benessere mentale e promuovere l’empatia e la comprensione. Tra le iniziative di Music Action International c’è il collettivo Stone Flowers, composto di sopravvissuti alla tortura, che ha già registrato due album e ha eseguito concerti dal vivo che hanno avuto un forte impatto sul pubblico.

Il ruolo della musica per le persone con retroterra traumatico di violenza e fuga è ormai riconosciuto anche negli ambienti più ufficiali della ricerca medica, ed è l’oggetto di un articolo dei norvegesi Krüger e Diaz appena uscito su The Lancet. La musica, sottolineano gli autori, offre ai giovani con un passato traumatico di rifugiati uno spazio per l’espressione di sé e il rafforzamento della propria identità, per condividere credenze e alimentare la speranza in un futuro migliore in un ambiente sicuro e solidale. 

Partecipare in modo regolare ad attività musicali consente a questi ragazzi “di esprimere le proprie emozioni, costruire legami sociali e sviluppare le proprie abilità di coping. La partecipazione ad attività musicali ha il potenziale di ridurre i pregiudizi, la discriminazione e l’aggressività tra gruppi. La musica può anche promuovere la comprensione culturale e creare un senso di appartenenza.”. Secondo i risultati degli studi di musicoterapia citati dagli autori, il coinvolgimento e la partecipazione a gruppi musicali può aiutare i giovani rifugiati ad apprendere strategie di coping nelle sfide quotidiane, come la scuola o le attività del tempo libero. 

Nell’articolo si osserva inoltre che questo potenziale può essere particolarmente importante per i bambini non accompagnati, che possono aver subito traumi e violenze durante il viaggio, anche perché la pratica musicale può sostenerli nella costruzione di legami sociali con altri che hanno vissuto esperienze simili. Facendo e ascoltando la musica, i bambini possono condividere le loro storie e connettersi con i coetanei e gli adulti in modo non verbale, cosa importante per esprimere emozioni e sviluppare le competenze linguistiche quando il linguaggio crea barriere. 

“Le persone che portano con sé canzoni della loro patria, che siano ninne nanne o testi hip-hop, portano con sé anche una “cassetta di pronto soccorso” molto utile. La musica come tecnologia di auto-capacitazione può aiutare le persone in tempo di crisi e di guerra. Ad esempio, durante la cosiddetta “primavera araba”, l’hip-hop è stato una forza trainante per molti giovani a far sentire la propria voce.

Il Centro Diurno “CivicoZero” di Roma è un Servizio a bassa soglia rivolto a migranti minori o neomaggiorenni soli in Italia che propone attività di supporto educativo, psicologico, legale e di orientamento al lavoro e all’abitazione. L’obiettivo principale è togliere i giovani migranti da contesti pericolosi e da situazioni di vulnerabilità e aiutarli ad integrarsi nel territorio italiano. Nell’ambito delle proposte educative si inseriscono i laboratori espressivi, tra cui quello di musica rap e di percussioni. I laboratori musicali si caratterizzano come spazi che permettono agli avventori del centro di esprimere il loro vissuto, di rielaborare le loro esperienze e funzionano anche come momento di aggregazione. Si cerca di esaltare, non tanto la parte sofferente della persona, ma il suo potenziale creativo, il talento. Alcuni brani rap realizzati dai ragazzi sono in italiano. Il laboratorio di musica rap diventa, quindi, anche una valida occasione di apprendimento della lingua. I laboratori espressivi proposti dal Centro tra il 2016 e la fine del 2018 hanno coinvolto 275 ragazzi minori e neomaggiorenni, di cui 33 ragazze. 

Anche nell’esempio di CivicoZero il contesto musicale coniuga la possibilità di esprimersi e di essere ascoltato con l’educazione  ad ascoltare l’altro. Permette un vero scambio interculturale, perché attraverso il linguaggio musicale diverse realtà possono entrare in contatto, abbattendo le barriere culturali e linguistiche. 

Ugualmente, il Centro Diurno “CivicoZero” di Torino ha proposto un laboratorio di musica rap che nel 2019 ha coinvolto 45 ragazzi guidati dal rapper Zuli. Il progetto ha dato vita ad una canzone, “Imparando a essere grande” e al relativo video clip, esemplificativi del potenziale della musica nell’abbattere le barriere all’integrazione.

Le realtà artistiche e culturali che in tutta Europa si sono mobilitate per sostenere con le proprie attività la salute mentale dei giovani e dei giovanissimi migranti forzati sono ormai numerose, e la loro pratica matura e consolidata. Tuttavia, il quadro è polverizzato e ancora incapace di creare reti solide e alleanze durevoli con i settori della salute, del welfare e dell’educazione, e il sostegno che ricevono dal settore pubblico, non ostante la qualità del servizio che offrono, è frammentario, discontinuo e soggetto a improvvisi tagli. 

C’è tuttavia da sperare che il sostegno arrivi dalle strategie comunitarie, e in particolare, dal Programma di Lavoro della CE per il 2023. Sostiene infatti la Commissione Europea, nel sollecitare la società civile a fornire evidenze in materia: “Investire nel miglioramento della salute mentale delle persone non riguarda solo la salute; si tratta di garantire che la società europea sia incentrata sul cittadino, sia resiliente e coesa. (..) Per ridurre efficacemente la sofferenza umana e apportare benefici alle nostre società ed economie, l’azione dell’UE deve andare oltre la politica sanitaria e includere tutte le politiche che hanno un impatto sulla salute mentale”.

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