ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 192/2023

1 Maggio 2023

Istruzione ed autonomia differenziata: alcuni problemi a partire dai Lep

Morales Sloop, partendo dalla recente approvazione del disegno di legge sull’autonomia differenziata (Ddl Calderoli), sofferma la sua attenzione sulla materia dell’Istruzione con lo scopo di mettere in evidenza le numerose difficoltà che occorre superare per giungere a una corretta definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep). Morales Sloop fornisce anche un esempio delle ben diverse – e non facilmente prevedibili – conseguenze che potrebbero avere differenti definizioni dei Lep.

L’approvazione in Consiglio dei Ministri del disegno di legge sull’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario (prevista dall’art. 116 della Costituzione) (cd. Ddl Calderoli) ha rianimato un dibattito che è andato avanti a fasi alterne. E’ iniziato con la riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001, ha accompagnato l’introduzione del Federalismo fiscale (L. 42/2009 in attuazione dell’art. 119 della Costituzione), e ha ripreso vigore nel 2017 con la richiesta di maggiore autonomia da parte di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.

E’ utile ricordare che la riforma del Titolo V ha modificato sensibilmente i rapporti tra lo Stato centrale e le autonomie locali (Regioni, Comuni, Città metropolitane ecc.) ridisegnando le loro competenze legislative ed apportando importanti cambiamenti sotto il profilo fiscale. Tuttavia, Il nuovo impianto costituzionale se in alcuni casi ha trovato attuazione e permesso innovazioni – si pensi all’introduzione del federalismo fiscale – dall’altro è rimasto sostanzialmente inapplicato come nel caso della mancata definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) per molte delle materie coinvolte nella riforma, tra cui l’istruzione che è al centro dell’attenzione in queste note. In realtà definire i Lep è un compito tutt’altro che agevole e per più di una ragione. 

Di recente, la Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022, art. 1 cc. 791-801), per far progredire la situazione, ha previsto diversi interventi: la ricognizione della spesa storica sostenuta nell’ultimo triennio dallo Stato in ciascuna Regione per le materie in questione, la ricognizione dei Lep rilevabili sulla base dell’attuale normativa e la successiva determinazione dei costi e dei fabbisogni standard (intesi come il controvalore monetario dell’insieme dei servizi e delle prestazioni da erogare ai cittadini) sulla base delle risorse disponibili a legislazione vigente.

I lavori di ricognizione e computo, affidati ad una apposita Cabina di Regia supportata da altre Istituzioni, dovrebbero concludersi in tempi brevi (giugno 2023). Ma il timore è che si tratti di tempi troppo brevi per dare risposta adeguata alle varie e complesse questioni da affrontare.

Scopo delle presenti note è illustrare alcune di queste difficoltà con riferimento esclusivo ai Lep dell’istruzione mettendo, soprattutto, l’accento sui problemi che possono porsi nel conciliare le risorse richieste a livello regionale per l’attuazione di rigorosi Lep e la spesa storica sostenuta che costituisce, più o meno esplicitamente, un benchmark di riferimento per le regioni e, quindi, per l’accettabilità complessiva della riforma proposta. Vale anche la pena di ricordare che il Ddl stabilisce che l’attribuzione dell’autonomia differenziata alle Regioni che la richiederanno, è subordinata alla determinazione dei Lep.

Il primo passo è l’analisi della spesa storica. Non disponendo ancora dei risultati ufficiali derivanti dal lavoro della Cabina di Regia, utilizzeremo come proxy la spesa rilevata nei Conti Economici delle Amministrazioni Pubbliche (AP), valida ai fini della determinazione del rispetto delle regole europee (fonte Istat) classificata per funzione Cofog (cioè secondo la Classification Of Function Of Government basata su criteri internazionali coerenti con ESA2010)In tale classificazione, per la funzione Istruzione è possibile isolare la spesa extra universitaria (infanzia, primaria, secondaria di I° e II° grado), che è quella di nostro interesse , coerentemente con quanto disposto dalla Legge di bilancio sono stati considerati gli ultimi tre anni disponibili (2019-2021).

In quel periodo, la spesa media annuale in istruzione delle AP è stata pari a 71,3 miliardi (il 7,6% della spesa totale) di cui circa l’85% (60,1 miliardi) sostenuta dalle Amministrazioni centrali. Quella destinata all’istruzione extra universitaria è stata in media di 53,3 miliardi.. 

Questi dati forniscono una disaggregazione solo tra Amministrazioni Centrale e Locali – non è quindi possibile inferire quanto lo Stato spenda nelle singole regioni. Si è fatto perciò ricorso ai Conti pubblici Territoriali per ottenere le informazioni necessarie per la regionalizzazione della spesa extra universitaria (53,3 miliardi).

La ripartizione regionale così ottenuta fornisce indicazioni utili solo a fini contabili. Più utile è fare riferimento alla spesa media pro-capite (data dal rapporto tra spesa media regionalizzata e numero medio di alunni iscritti nel periodo di riferimento); dall’analisi sono state escluse Il Trentino Alto Adige e la Valle D’Aosta che da anni hanno competenza diretta finanziando con risorse proprie la scuola e l’università. 

La Figura 1 mostra che le Regioni del Sud, ad eccezione del Molise, si collocano costantemente al disotto della media nazionale pro-capite di 6.305 euro. Il valore più basso (poco meno di 4.000 euro), si registra in Campania. L’importo più elevato è quello del Lazio: 9.712 euro. Tutte le regioni del Nord, con la sola eccezione del Veneto, si collocano sopra la media nazionale. 

Figura 1: Spesa pro-capite per studente in istruzione extra universitaria (euro; media annua 2019-2021)

Fonte: Elaborazione su dati Istat e Agenzia Coesione

Questi risultati, fanno intuire come la spesa dello Stato in ogni Regione sia la risultante di molteplici fattori comunque riconducibili alla diversità di servizi offerti dalle scuole: si pensi alle mense, al tempo pieno, alla presenza, o meno, delle palestre o di laboratori nelle scuole di secondo grado. Pur tenendo conto di queste caratteristiche le differenze territoriali sono rilevanti – come del resto avviene in molti altri ambiti – e ad essere penalizzati sono gli studenti e le regioni del Mezzogiorno. Questa eterogeneità non è priva di conseguenze anche per la definizione e l’attuazione di un ben disegnato sistema di Lep. 

In ogni caso, e in generale, per la definizione dei Lep bisognerà affrontare, e superare, diverse criticità. La prima, e forse la più generale, riguarda l’indicazione della priorità tra definizione dei Lep e determinazione dell’ammontare di risorse disponibili. Un approccio è quello che consiste nell’ individuare, preliminarmente, gli standard dei servizi da erogare e determinare, poi, le risorse necessarie per la loro attuazione. Un approccio alternativo è quello che parte dal presupposto che le risorse finanziarie non siano illimitate e perciò occorre prima determinare gli ammontari disponibili e poi procedere alla loro distribuzione fra le amministrazioni chiamate a garantire l’erogazione dei Lep, i quali dovranno essere compatibili con quelle risorse. Questo secondo approccio sembra prevalere tra gli economisti e nella Legge di Bilancio 2023. Considerando i problemi che potrebbero sorgere, da un lato, se si determinassero le risorse senza attenzione per la qualità dei Lep e, dall’altro, se si fissassero i Lep senza attenzione per le risorse, il suggerimento appare obbligato: una equilibrata valutazione congiunta dei Lep e delle risorse da dedicarvi. 

Anche con riferimento a quanto si è appena detto, è bene avere consapevolezza della pluralità di Lep che potrebbero essere definiti. A titolo di esempio, nel Dossier Autonomia differenziata: analisi e proposte operative per l’istruzione, Poggi collega i diritti costituzionalmente garantiti a possibili Lep definendo così una lista corposa di prestazioni: contratti collettivi nazionali per i docenti; edilizia scolastica; laboratori; sperimentazione di soft skill; competenze linguistiche; borse di studio; ecc. Nello stesso dossier Calidoni richiama, riprendendolo dal sito dell’Invalsi, l’attuale sistema di valutazione scolastica che permette di individuare i Lep che si potrebbero garantire.

Una modalità alternativa di definizione dei Lep e dei relativi fabbisogni standard consiste nello stimare una funzione di costo (per l’istruzione è solitamente utilizzata l ‘Education production function) che ipotizza una relazione tra variabili di output (es. l’apprendimento) e variabili di input (abilità individuali, background famigliare, caratteristiche della scuola, caratteristiche del territorio). Questo procedimento indicherebbe quindi i valori standard comuni per tutto il territorio su cui calcolare i fabbisogni di ogni singola regione (si veda Biagi e Fontana, Fabbisogni standard per l’istruzione: problematiche e stime). 

Questi pochi esempi rendono chiaro che la determinazione dei Lep è esposta ad ampi margini di discrezionalità e dall’esercizio di questa discrezionalità possono scaturire ripartizioni molto diverse delle risorse. 

In via esemplificativa proviamo ad immaginare, per assurdo, che la Cabina di Regia, visti i tempi ristretti in cui si trova ad operare e sulla base della ricognizione effettuata, individui come unico Lep per l’istruzione il rispetto della condizione che gli alunni in ciascuna classe siano compresi tra un numero minimo e massimo, in modo da garantire, sotto questo aspetto, uniformità su tutto il territorio. In realtà si tratta di una condizione già previsto dalla legislazione nazionale: per ogni grado di istruzione è fissato un numero di alunni minimo e massimo per classe (Infanzia: 18 – 26 alunni; Primaria: 15 – 26 alunni; Secondaria di I grado: 18 – 27 alunni; Secondaria superiore minimo 27 alunni ), con alcune deroghe in presenza di alunni disabili e di particolari condizioni geografiche. 

Ponendo ipoteticamente uguale a 100 l’ammontare di risorse da ripartire, simuliamo cosa accadrebbe qualora la distribuzione avvenisse sulla base della spesa storica (quella utilizzata in precedenza) oppure del numero di classi presenti in ogni Regione nella media del triennio 2019-2021. Dal confronto – espresso in termini percentuali – tra i due criteri di ripartizioni (Figura 2), emerge che utilizzando un criterio in luogo dell’altro le differenze sarebbero notevoli. La scelta del criterio di ripartizione basato sul numero di classi avvantaggerebbe notevolmente le regioni del Mezzogiorno, ed in particolare Campania (+ 4,8 pp) e Sicilia (+3,1 pp), a scapito di quelle del Centro Nord. Scegliendo il criterio della spesa storica, invece, la situazione sarebbe opposta.

Figura 2. Scarto percentuale tra ripartizione con spesa storica vs numero di classi

Fonte: Elaborazione su dati Istat e Agenzia Coesione

Questa ipotesi molto semplificata aiuta a comprendere l’importanza di una corretta definizione, nei tempi necessari per effettuarla che forse non sono quelli assegnati alla Cabina di regia, di tutte le variabili in gioco per evitare che i divari territoriali si aggravino invece di attenuarsi. Dante, nella famosa terzina fatta pronunciare ad Ulisse, scriveva “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” (XXVI canto dell’Inferno). Speriamo che il processo di attuazione dell’autonomia differenziata non induca i futuri studenti a dover “inseguir” virtute e conoscenza nei territori con un’offerta formativa migliore.

Ma il problema più generale è la compatibilità tra ‘ragionevoli’ Lep e i vincoli di spesa a livello regionale che possiamo considerare approssimati dalla spesa storica. La consapevolezza di questa difficoltà appare indispensabile per prevenire ulteriori e preoccupanti aggravamenti delle differenze territoriali. 

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