ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 201/2023

14 Ottobre 2023

Misurare lo spreco alimentare a livello regionale: una proposta di indicatore*

Massimo Armenise, Annamaria Fiore e Marco Costantino esaminano il tema dello spreco alimentare in Europa, la cui riduzione è un target di Agenda 2030. Dopo aver constatato che non esistono in Italia, né negli altri Stati Membri statistiche ufficiali o sperimentali disaggregate a livello NUTS2, avanzano la proposta di un indicatore regionale del dato nazionale che considerano necessario per individuare le eterogeneità territoriali e consentire alle regioni di disporre di una base informativa solida per raggiungere l’obiettivo dell’Agenda 2030 a livello locale.

Lo spreco alimentare è un tema di rilievo, in termini di sostenibilità, perché interseca le tre dimensioni dell’Agenda 2030 – ambientale, sociale ed economica – e perché abbraccia considerazioni etiche. Stime della FAO, infatti, indicano che a livello globale il 14% del cibo continua ad andare perso dopo il raccolto e prima di raggiungere i punti vendita; a questo, il rapporto dell’UNEP aggiunge un ulteriore 17% durante le fasi di vendita al dettaglio e consumo. Su questi dati, la FAO calcola che il cibo sprecato potrebbe sfamare 1,26 miliardi di persone ogni anno. 

La macroscopicità del fenomeno e i riflessi su una parte rilevante della popolazione mondiale impongono un ripensamento complessivo dei modelli di produzione, distribuzione, vendita e consumo delle derrate alimentari, soprattutto di quelle improntate al raggiungimento di economie di scala: la sovrapproduzione di cibo non comporta solo uno spreco alimentare, ma anche di altre risorse utilizzate nell’intero processo produttivo e distributivo: acqua e suolo in primis, ma anche fertilizzanti, energia, ore lavorate, aggravio di emissioni di CO2. Un sistema inefficiente che necessita di essere completamente rivisto. Non è un caso, quindi, se lo spreco alimentare sia stato posto, nell’Agenda 2030, tra i target dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 12 “Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo” piuttosto che nell’Obiettivo 1 “Porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo”. 

L’Unione Europea e i suoi singoli Stati Membri si sono impegnati a conseguire il Target 12.3 degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS) che prevede: “entro il 2030, dimezzare lo spreco pro capite globale di rifiuti alimentari nella vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo lungo le filiere di produzione e fornitura, comprese le perdite post-raccolto”.

Per raggiungere il target, diviene rilevante definire e quantificare il fenomeno. L’Unione Europea, dopo anni di tentativi per armonizzare a livello internazionale la definizione di spreco alimentare e le metodologie per la misurazione del fenomeno, solo nell’ottobre del 2022, attraverso Eurostat, è stata in grado di diffondere per la prima volta i dati relativi allo spreco alimentare. Sono i dati riferiti al 2020 per ciascuno Stato membro

Secondo Eurostat il 69% dello spreco alimentare avviene in ambito domestico, nei servizi di ristorazione e nella vendita al dettaglio; i settori di produzione e trasformazione contribuiscono per il restante 31%. Cipro, Danimarca e Belgio risultano essere gli Stati membri con la maggiore “propensione” allo spreco alimentare (v. Tab. 1). L’Italia nel 2020 ha sprecato 146 chilogrammi per abitante, in linea con la media dell’UE27 (131 chilogrammi). Dai dati nella tabella distinti per i settori che compongono la filiera, si evince come il dato italiano sia contraddistinto dallo spreco alimentare generato dalle famiglie e dal settore primario. Difatti, subito dopo quelle portoghesi, sono le famiglie italiane a mostrare la maggiore propensione allo spreco in cucina e sulla tavola. 

L’eterogeneità dei dati Eurostat riguardo ai “pezzi” della filiera coinvolti nella misurazione del fenomeno rappresenta un fondamentale passo in avanti per avviare un serio monitoraggio, ma risulta parziale, in quanto non ancora in grado di fornire informazioni dettagliate a livello territoriale. 

 Tabella 1: Food waste in Unione Europea. Chilogrammi pro capite e ripartizione percentuale per settori della filiera interessati (Anno 2020)

Fonte: Elaborazioni degli autori su dati Eurostat

La territorializzazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e il progetto REGIONS2030. Il risultato raggiunto non sembra quindi essere sufficiente perché è a livello territoriale che si può rilevare l’impatto della realizzazione degli OSS dell’Agenda 2030 sul benessere dei cittadini. Già nel 2017, una risoluzione del Parlamento Europeo riconosceva formalmente che l’attuazione degli OSS richiedesse una governance multilivello in cui sono coinvolti UE, autorità nazionali, regionali e locali, con un impegno attivo e ampio della società civile. 

La necessità di monitorare il fenomeno ad un dettaglio territoriale più spinto è emerso nel progetto sostenuto dal Parlamento europeo e sviluppato dal Centro comune di ricerca (JRC), in collaborazione con ESTAT e la DG REGIO, REGIONS2030, il cui obiettivo è creare un quadro di indicatori solido e robusto, armonizzato a livello europeo, per il monitoraggio del raggiungimento degli OSS a livello regionale, insieme ad alcune regioni pilota europee. Nel set di indicatori proposto dal JRC vi è anche quello dedicato al food waste

Tutte le 10 regioni pilota coinvolte nel progetto hanno espresso interesse nel monitoraggio dello spreco alimentare: dalla ricognizione effettuata è emerso, tuttavia, come al momento non siano disponibili né per l’Italia, né per gli altri Stati Membri e regioni coinvolte, statistiche ufficiali o sperimentali; ciò impedisce alle singole regioni di monitorare e supportare su una base informativa solida il raggiungimento dell’obiettivo fissato dall’Agenda 2030. Le regioni pilota avevano la possibilità di proporre indicatori o approcci alternativi: oltre alla Puglia, solo l’Andalusia (Spagna) ha proposto una proxy basata sullo spreco alimentare in ambito domestico utilizzando informazioni di un panel costituito a livello ministeriale centrale.

Una proposta di indicatore per le regioni italiane. Per ovviare a tale carenza informativa, si è proposto di regionalizzare il dato Eurostat relativo al food waste in Italia tenendo conto del numero di attori attivi in ciascuna regione e in ciascun settore coinvolto nella filiera dello spreco. 

Da un punto di vista analitico, lo spreco alimentare è infatti determinato da Eurostat come somma di quello generato dai seguenti settori e codici NACE:

  • produzione primaria (A01-A03); 
  • trasformazione (C10- C11); 
  • distribuzione (G46-G47); 
  • ristorazione (I55-I56); 
  • infine, il settore domestico rappresentato dalle famiglie.

Assumendo che, per ciascuno dei settori che generano il food waste non sussistano, in media, comportamenti differenti a seconda della localizzazione regionale, si può territorializzare il dato del food waste, assegnando a ciascun aggregato settoriale il suo specifico peso regionale. 

Ad esempio, il dato totale sui rifiuti alimentari generati dalle famiglie italiane, secondo Eurostat pari a 107 chilogrammi pro capite, può essere scomposto regionalmente in base al numero di famiglie che risiedono in ciascuna regione. 

Sulla base dell’assunzione fatta, possiamo calcolare lo spreco alimentare regionale in questo modo:

dove j indica le Regioni italiane ed s indica i 5 settori di cui sopra. 

Ciascuna componente regionale può essere ottenuta dal corrispettivo dato nazionale pesato per la relativa componente regionale. Ad esempio: 

La stessa operazione, applicata a tutti i settori per ciascuna regione, ci permette di ottenere il livello di spreco alimentare determinato regionalmente, per cui:

I risultati delle elaborazioni sono riportati nelle tab. 2-4.

Tabella 2: Food waste per regione italiana e settore. Anno 2020 (in tonnellate)

Fonte: Elaborazioni degli autori su dati Istat

Tabella 3: Food waste per regione e settore. Anno 2020 (valori percentuali sul totale regionale)

Fonte: Elaborazioni degli autori su dati Istat

Tabella 4: Food waste per regione e settore. Anno 2020 (kg per 1.000 abitanti)

Fonte: Elaborazioni degli autori su dati Istat

I dati regionalizzati confermano che lo spreco alimentare si registra prevalentemente in ambito domestico: seppur l’approccio mostri delle differenze regionali, in nessuna regione questa componente è inferiore al 60% (salvo, in lieve misura, in Trentino-Alto Adige). Questo risultato restituisce una prima ma forte indicazione di policy: per diminuire lo spreco alimentare in Italia è su questo particolare settore che si dovrà principalmente agire, con opportune policy regionali. Date le differenze territoriali osservate, anche le policy dovranno esserlo per rifletterne le peculiarità. 

Considerazioni conclusive. Per un efficace monitoraggio dello spreco alimentare è necessario disporre di un indicatore per avviare azioni di policy basate sull’evidenza. Tuttavia, ad oggi, non è possibile osservare il fenomeno mediante dati ufficiali a livello di disaggregazione regionale e settoriale. 

In questo lavoro, è stata avanzata una prima proposta per la regionalizzazione del dato nazionale fornito da Eurostat. 

L’ipotesi di partenza ha supposto l’omogeneità di comportamento di produzione e consumo da parte degli attori locali. Nella fase attuale, in cui le policy locali sembrano non tenere ancora sufficientemente in conto le differenze territoriali, ci è sembrato che tale assunzione possa avere un ragionevole fondamento nella realtà.

Dai risultati preliminari presentati in questo lavoro emergono alcune chiare difformità fra le regioni, che vanno oltre le tradizionali letture in termini di dualismo territoriale italiano. Rilevanti anche alcune differenze rispetto al dato medio europeo. 

A tale proposito è importante notare che, per come è costruito l’algoritmo di regionalizzazione, i dati non sono il risultato di approcci territoriali differenti al problema, quanto della differente organizzazione della filiera. Questa considerazione, se rappresenta un limite per l’individuazione delle strategie di contrasto, non impedisce di trarre alcune utili indicazioni di policy. 

Ad esempio, la lettura di questi dati, se non permette di concludere che gli operatori della produzione primaria in Puglia sono meno attenti allo spreco alimentare rispetto ai colleghi laziali, allo stesso tempo suggerisce che, data la diversa composizione della filiera nelle due regioni, in Puglia gli interventi di contrasto allo spreco alimentare in tale settore saranno, probabilmente, più efficaci.

Tutte queste evidenze sono indice dell’esigenza di disporre di dati disaggregati per monitorare il fenomeno localmente, avviare policy mirate e, infine, valutare gli impatti di tali scelte. 

La regionalizzazione dell’indicatore proposto, pur rappresentando un importante punto di partenza, presenta alcuni limiti: 

  • nella definizione di food waste proposta dalla Commissione Europea si legge “food waste does not include losses at stages of the food supply chain where certain products have not yet become food”. Tale definizione escluderebbe la quota di spreco nella produzione primaria, con impatti differenziati sui dati regionali; 
  • oggi, tale approccio può essere considerato plausibile perché, vista appunto l’impossibilità di registrare le variazioni a livello regionale, ancora pochi policy maker sono effettivamente intervenuti sulla materia: le policy non generano ancora grandi divergenze di comportamento tra regioni e all’interno degli Stati membri. Tuttavia, quando le politiche regionali incideranno differentemente, diverrà meno utile operare una regionalizzazione secondo l’approccio proposto, poiché renderebbe complicato monitorarne l’avanzamento (se migliora, migliora per tutti e viceversa);
  • questa misurazione non consente di individuare appropriate strategie di contrasto coerenti con la gerarchia individuata dalla Direttiva 2008/98/CE (prima la prevenzione, poi il riuso umano, il riuso animale, come compost, etc.), nel senso che non assegna un valore differente alle diverse opzioni di riuso, ma porta a valutare indifferentemente in modo positivo qualsiasi opzione diversa dallo spreco. In prospettiva, sarebbe interessare poter rilevare non solo i livelli di spreco, ma anche volumi e tipologia di prevenzione e/o riuso e collegare le metodologie di misurazione del fenomeno alle strategie di contrasto;
  • infine, nell’individuazione di metodologie di rilevazione più attendibili, bisognerebbe considerare che, talvolta, il settore della filiera dove si registra lo spreco non ne è l’unico responsabile. È il caso dei consumatori che spesso subiscono gli effetti di strategie commerciali e di packaging o dei produttori primari che talvolta non possono vendere il prodotto all’anello successivo della filiera per politiche commerciali definite dalla grande distribuzione. Anche in questo caso, strumenti di misurazione più raffinati consentirebbero di tarare meglio le strategie di contrasto.

Disporre di un indicatore robusto, costantemente aggiornato ed opportunamente disaggregato è quindi un primo, necessario seppur non esaustivo, passo per ridurre lo spreco alimentare che richiede innovazioni non solo a livello produttivo ed organizzativo lungo tutta la filiera, ma anche a livello di allocazione delle risorse: nel mondo sono ancora troppi milioni le persone che non hanno il necessario. 


* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente degli autori e non sono attribuibili alle istituzioni di appartenenza.

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