ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 214/2024

28 Aprile 2024

Professionalità, formazione e competenza nella Pa: cosa sappiamo?*

Roberto Fantozzi e Ilaria Screpante in relazione alle iniziative del PNRR e al più generale dibattito sul rafforzamento del capitale umano nella P.A. si chiedono se le informazioni disponibili siano sufficienti per pianificare e realizzare in modo efficace iniziative per lo sviluppo delle competenze dei dipendenti pubblici. Dalla loro analisi emerge un quadro poco omogeneo e la necessità di un maggiore coordinamento tra le amministrazioni per condividere il patrimonio informativo di cui dispongono.

Lo sviluppo delle competenze e la formazione rappresentano ambiti prioritari per la modernizzazione del settore pubblico. Ciò è riconosciuto da tempo. Negli ultimi anni il dibattito sull’innovazione dell’Amministrazione pubblica (AP) ha posto al centro le persone, puntando sulla loro formazione e sulla valorizzazione delle professionalità già presenti. Ma, soprattutto, il “rafforzamento delle competenze (del capitale umano nelle amministrazioni)” costituisce una delle dimensioni su cui il PNRR fonda la strategia di intervento per il miglioramento, in termini di efficienza e di efficacia, dell’azione pubblica. E parte dei fondi stanziati per la riforma della PA sono destinati, appunto, a investimenti sulle persone, piuttosto che alla definizione di nuovi quadri regolatori e normativi. In particolare, nella Missione 1 Componente 1, l’investimento 2.3 (circa 490 milioni) riguarda investimenti in istruzione e formazione nonché lo sviluppo di capacità nella pianificazione, organizzazione e formazione strategica della forza lavoro; la riforma 2.3 (circa 24 milioni), invece, prevede cambiamenti nel mercato del lavoro della PA. Qui emerge la consapevolezza dell’importanza di questi cambiamenti, anche allo scopo di attrarre nuove generazioni di lavoratrici e lavoratori, in un contesto caratterizzato da una forte concorrenza del settore privato e da una forza lavoro pubblica sempre più esigua, per effetto delle politiche di contenimento adottate nell’ultimo decennio, e sempre più anziana. 

L’esigenza di migliorare il capitale umano della PA era emersa in modo evidente già durante le prime fasi di attuazione del Pnrr, ed aveva portato all’adozione del DL 80/2021 (convertito con la L. 113/2021 e parzialmente modificato dal DL 152/2021), contenente misure volte “al rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche Amministrazioni funzionale all’attuazione del PNRR e per l’efficienza della giustizia”. In quell’occasione un approfondimento dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Flash 4/ 2021) aveva riconosciuto lo sforzo diretto ad accrescere “le capacità tecniche delle AP, fortemente indebolite se non annullate negli ultimi decenni, quando si è rinunciato a svolgere direttamente funzioni quali la progettazione e la valutazione tecnica ed economica degli investimenti, affidandosi invece alla consulenza di professionisti del settore privato”. Allo stesso tempo lo studio ricordava, però, che “la ristrettezza dei tempi, tuttavia, costringe a una semplificazione delle procedure di selezione non priva di rischi riguardo alla qualità del personale che verrà reclutato”.

Successivamente sono stati adottati ulteriori provvedimenti, tra cui il Decreto 22 luglio 2022 (G.U. 14 settembre 2022) del Dipartimento della funzione pubblica recante la definizione di linee di indirizzo per l’individuazione dei nuovi fabbisogni professionali da parte delle amministrazioni pubbliche. La direttiva di marzo 2023 in materia di Pianificazione della formazione e sviluppo delle competenze funzionali alla transizione digitale, ecologica e amministrativa promosse dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, definisce le priorità di investimento in ambito formativo, fornisce indicazioni sul ciclo di gestione della formazione e descrive l’offerta formativa promossa dal Dipartimento della funzione pubblica.

Ma per raggiungere questi obiettivi occorrono un’accurata rilevazione dei fabbisogni oltre che precisi progetti formativi ed efficaci modalità della loro erogazione. E per fare tutto questo è essenziale conoscere in modo organico e integrato le professionalità dei3,2 milioni di dipendenti pubblici. In realtà il fine ultimo dovrebbe essere quello di definire un quadro organico delle competenze (concetto più ampio e complesso rispetto a quello delle singole professionalità). Al riguardo si ricorda che a seguito di quanto previsto nel Pnrr per lo sviluppo delle competenze nella PA, la SNA(Scuola Nazionale dell’Amministrazione) ha elaborato le Linee guida sull’accesso alla dirigenza pubblica (DM 28 settembre 2022), al fine di fornire indicazioni operative e i principi fondamentali che prevedono che accanto alle conoscenze tecniche siano valutate anche le competenze (capacità e attitudini) e le motivazioni. Inoltre, nel 2023, ha avviato anche un progetto per la definizione del Framework delle competenze trasversali del personale non dirigenziale (DM 28 giugno 2023).

Il concetto di “competenza” richiede di considerare molteplici dimensioni: dalle conoscenze tecniche acquisite (hardskills) a come queste vengono utilizzate nello svolgimento delle attività lavorative (soft skills che implicano capacità, abilità, attitudini), e i data base pubblici non consentono tanto. L’individuazione delle professionalità presenti nella PA potrebbe, allora, essere effettuata a partire dall’analisi delle informazioni sui percorsi di istruzione e formativi del personale di ciascuna amministrazione. Ma in questo caso la difficoltà è rappresentata dalla carenza dei dati oggi a disposizione. Attingendo a varie fonti, possono acquisirsi utili – ma pur sempre parziali – informazioni sulle professionalità e la formazione nel settore pubblico. Qui di seguito sintetizziamo i principali risultati della nostra ricerca. 

Le prime indicazioni vengono da quanto contenuto nel conto annuale, rilevazione censuaria sulle amministrazioni pubbliche effettuata, a partire dal 1992, dal Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato (Ministero dell’economia e delle finanze). In questa rilevazione sono riportate numerose informazioni (ad esempio: personale, anzianità, assenze, costo del lavoro, fasce retributive, formazione e titoli di studio). Per i nostri fini ci concentriamo sui dati relativi alla formazione e ai titoli di studio quali proxy delle professionalità presenti nelle AP. Osservando le informazioni presenti emerge che alcune caratteristiche fondamentali di queste due dimensioni non sono disponibili. Ad esempio, conosciamo la ripartizione dei dipendenti pubblici per titoli di studio (titoli post laurea, laurea, licenza media superiore, ecc.), ma nulla sappiamo circa l’area disciplinare in cui sono stati conseguiti. Per la formazione, invece, sappiamo il numero di giorni, complessivi e medi, effettuati ma non le aree tematiche interessate dai percorsi formativi.

Per colmare queste carenze informative, si può fare affidamento su alcune rilevazioni Istat. Nel caso dei titoli di studio, informazioni possono essere raccolte dall’indagine campionaria Rilevazioni sulle forze di lavoro (i dati fanno riferimento al IV trimestre 2023) dove oltre al titolo di studio conseguito sono indicate anche le relative aree disciplinari. In questo caso, però, i dati disponibili sono riconducibili alle AP in senso stretto (Amministrazione pubblica, difesa e assicurazione sociale obbligatoria) perdendo, così, parte dei dipendenti contenuti nella voce (Istruzione, sanità ed altri servizi sociali) in cui coesiste sia l’ambito privato sia quello pubblico. 

Sulla base dei dati disponibili complessivamente emerge che nelle AP in senso stretto un rispondente su quattro non fornisce specifiche indicazioni sull’area disciplinare perché non risponde, non la conosce oppure fa riferimento alla voce “programmi generici” (molti di questi casi rientrano tra coloro che hanno conseguito la licenza media, elementare o nessun titolo di studio). Nei restanti casi, solo per quelli in cui è indicata un’area disciplinare specifica, sappiamo che poco meno del 30 per cento proviene da aree economiche, poco più del 25 per cento da ingegneria e architettura (14,6 per cento Architettura e ingegneria civile e l’11,5 per cento Ingegneria industriale e dell’informazione), mentre circa il 12 per cento dall’area giuridica (Fig.1). Come già evidenziato queste indicazioni non sono di carattere censuario e si riferiscono ad un perimetro delle AP più ristretto rispetto a quello reale.

Figura 1: Occupati nelle Amministrazioni pubbliche per area disciplinare del tutolo di studio 

(IV trimestre 2023- valori percentuali)

Fonte: Elaborazioni su dati istat, Rilevazioni sulle forze lavoro

In termini di formazione, invece, sono disponibili dati più dettagliati rispetto al Conto annuale provenienti dalCensimento permanete delle istituzioni pubbliche (Istat) e riferite all’anno 2020. In questo caso, oltre a conoscere il numero di ore si hanno a disposizione informazioni più dettagliate tra cui le aree tematiche in cui sono stati svolti gli interventi formativi. Emerge così che, nel 2020, sono state effettuate poco più 175 mila attività formative che hanno coinvolto 2,3 milioni di partecipanti per un totale di poco meno di 2 milioni di ore. Circa il 45 per cento dei partecipanti ha aderito ad attività inerenti l’area giuridico-normativa e il 30 per cento in quelle tecnico specialistiche (Fig.2).

Figura 2: Partecipanti alle attività formative per aree tematiche nelle AP

(Anno 2020; valori percentuali)

Fonte: Elaborazioni su dati Istat, Censimento permanente delle istituzioni pubbliche

Queste informazioni, seppur più articolate, non permettono, ad esempio, di associare la qualifica del dipendente (dirigente, quadro, impiegato ecc.) con le ore svolte e le relative aree tematiche. Conoscere queste tipo di relazione sarebbe utile per tracciare un profilo delle competenze del dipendente che è inserito a vario titolo all’interno dell’organigramma amministrativo. 

Per avere un’idea della relazione tra qualifiche, titolo di studio e formazione è possibile fare ricorso all’ultimo report dell’Istat sulla Formazione degli adulti. Dal report emerge che sia i dirigenti o coloro che hanno un titolo di studio elevato partecipano maggiormente alle attività formative (formali e non formali) rispetto agli impiegati o coloro che hanno un basso titolo di studio. Tuttavia, sulla base dei dati rilasciati, non è possibile distinguere gli andamenti descritti tra Ap e settore privato, poiché i dati fanno riferimento al complesso dell’economia.

I pochi esempi forniti, sono sufficienti a rendere l’idea della frammentazione, della mancanza di esaustività nonché di confrontabilità delle informazioni ad oggi disponibili. 

Tuttavia, questi dati esistono e sono conservati all’interno di ogni amministrazione. Quello che occorre, dopo un primo e necessario lavoro di classificazione e standardizzazione per assicurane la confrontabilità, è convogliare tutte queste informazioni all’interno di un unico “contenitore” a disposizione delle amministrazioni. Questa raccolta sistematica consentirebbe allo stesso tempo di porre attenzione, al “potenziale”, richiamato anche dal Presidente dell’Aran Naddeo, del personale della pubblica amministrazione; , la conoscenza delle competenze che compongono il settore pubblico potrebbero consentire a ciascuna amministrazione – e al decisore pubblico in generale – di valorizzare il personale in servizio da un lato (creando le condizioni per l’utilizzo delle potenzialità di ciascuno) e di definire, dall’altro, piani di formazione aderenti alle aspettative dei singoli e alle esigenze delle amministrazioni. 

Fino ad arrivare alla crescita del livello di attrattività del pubblico impiego, oggi al centro del dibattito istituzionale sul processo di rinnovamento del settore pubblico.


* Le opinioni espresse in questo lavoro sono proprie degli autori e non necessariamente riflettono quelle delle istituzioni di appartenenza.

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