ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 214/2024

28 Aprile 2024

Il Keynesismo eclettico di Federico Caffè

Paolo Paesani dà conto di un incontro svoltosi alla Facoltà di Economia della Sapienza di Roma per presentare una nuova edizione degli scritti di Federico Caffè. Nel suo resoconto, Paesani si concentra sul concetto di Keynesismo eclettico come chiave di lettura per comprendere il contributo scientifico e umano di Federico Caffè e l’influenza che egli ha esercitato su generazioni di economisti italiani, uniti a lui nel comune riferimento al pensiero di Keynes e dei primi Keynesiani di Cambridge.

Pochi giorni fa, la voce di Federico Caffè è tornata a risuonare nell’aula V della Facoltà di Economia della Sapienza di Roma a lui intitolata. È avvenuto durante la proiezione di un filmato, curato da Augusto Frascatani e Mario Tiberi, che accompagnava la presentazione di un volume dal titolo Federico Caffe – Un economista per gli uomini comuni (Nuova edizione). Il volume, curato per la Futura editrice della CGIL da Nicoletta Rocchi e Giuseppe Amari, recentemente scomparso, offre un quadro d’insieme del pensiero di Federico Caffè, dei suoi scritti accademici, dei suoi interventi sulla stampa, nonché della rete di maestri, amici, colleghi, avversari che Caffè ha incontrato nel corso della sua vita, e dei ricordi che ha lasciato nei suoi allievi e nei tanti che hanno tratto ispirazione dalle sue parole. 

I relatori che si sono alternati sul podio si sono soffermati su aspetti diversi del pensiero di Caffè, insistendo sull’importanza da lui attribuita alla piena occupazione e al miglioramento delle condizioni materiali di vita delle persone comuni e al confronto con colleghi, studenti e autorità di governo. A chi scrive è toccato il compito di riflettere sulla parte del volume dedicata ai maestri, agli amici e agli allievi di Federico Caffè in una prospettiva di Storia del pensiero economico. Questa riflessione è partita da due delle parole chiave indicate, nel 2022 da Maurizio Franzini per sintetizzare il pensiero di Federico Caffè, nel ricordo grato dell’uomo e del professore a trentacinque anni dalla sua scomparsa: eclettismo e keynesismo.

A proposito di eclettismo, Franzini ricorda come Caffè non sopportasse “le contrapposizioni di scuole, le prese di posizione in base alle appartenenze piuttosto che al merito delle idee. Considerava uno spreco di energie intellettuali i dibattiti a colpi di citazioni dei testi che ciascuno considerava sacri. E quando questo avveniva nel campo a lui più vicino – quello keynesiano – ne soffriva particolarmente. L’eclettismo diceva, riprendendo una frase di Samuelson, più di ogni altra cosa è una necessità”L’eclettismo richiede conoscenza delle diverse opinioni, capacità di valutarne il merito e le ragioni, capacità di discernere fra buoni e cattivi argomenti con un atteggiamento aperto e laico allo stesso tempo. La seconda parola rimanda al nome di John Maynard Keynes (1883 – 1946), il grande economista britannico che Caffè contribuì a far conoscere in Italia e che ha rappresentato un punto di riferimento costante per generazioni di economisti anche come portatore di “una visione del mondo che affida alla responsabilità dell’uomo le possibilità del miglioramento sociale”. 

L’eclettismo intelligente insieme alla particolare attenzione verso il pensiero di Keynes traspaiono anche dalle note che Caffè scrisse per ricordare maestri, compagni e allievi. I curatori del volume ne hanno selezionate 15, da Bruno de Finetti a Fausto Vicarelli. Dalla lettura congiunta di questi scritti emerge un indissolubile intreccio tra considerazioni scientifiche, etica, impegno sociale e ricordi personali, molto spesso accorati. 

Sul piano scientifico, gli scritti di Caffè offrono considerazioni interessanti sul ruolo attribuito da Hotelling al benessere pubblico come criterio per valutare un’opera pubblica, sui meriti della fusione tra analisi della concorrenza imperfetta e impostazione classico keynesiana proposta da Joan Robinson, sulla necessità che gli studi empirici ed econometrici, base dell’economia contemporanea, non dimentichino le dimensioni umane, sociali, qualitative della vita economica, seguendo l’esempio di Frisch, Tinbergen e Myrdal. Sul piano dell’etica e dell’impegno, il saggio su de Finetti riporta parole importanti sul concetto di utopia come affermazione di una civiltà possibile contro le strettoie del presente e sull’importanza di trasmettere la visione di un mondo migliore alimentando la speranza che possa realizzarsi secondo l’insegnamento di Keynes e l’impegno dell’economista nella società e nelle istituzioni secondo l’esempio di Luigi Einaudi.

Dalla lettura di questi contributi, come da quelli dedicati ai rispettabili avversari, da Bresciani Turroni e Francesco Ferrara a Hayek, Friedman e Marx (capitolo 7), emerge l’interesse enciclopedico di Federico Caffè, uomo di grande cultura economica, letteraria e musicale. Questo interesse lo ha portato negli anni a sviluppare un vero e proprio programma illuminista, traducendo in italiano e introducendo gli scritti di autorevoli studiosi stranieri, anglosassoni e non solo, a vantaggio del pubblico italiano. Come ha ricordato Riccardo De Bonis, “Federico Caffè è stato un divulgatore senza pari in Italia del pensiero economico straniero. La sua avventura scientifica si svolse in anni in cui la conoscenza dell’inglese era limitata, così come l’accesso a riviste e libri di altri paesi. Caffè si è impegnato nella traduzione e nell’introduzione di lavori di grandi economisti”. Nel far conoscere e far studiare in Italia economisti come Pigou, Hotelling, Kaldor, Hicks, Scitovsky, Little, Bergson, Arrow, Samuelson, Baumol, Chamberlin, Rothschild, Keynes, Lange, Morgenstern, Frisch, Schumpeter, Zeuthen, Johnson, Shackle, Bhagwati, Hahn, Matthews, Dorfman, Simon, Leontief, Phelps Brown, Worswick, Kalecki, Tinbergen, Friedman, Caffè – ricorda ancora de Bonis – “Non cadde mai nell’errore di contrapporre al tipico provincialismo italiano l’errore opposto dell’esterofilia acritica”

In questo senso, molto più di quanto avvenga oggi, Caffè non dimenticava la lezione dei grandi economisti italiani, a partire da Pareto e Pantaleoni e il contributo che essi avevano dato allo sviluppo della scienza economica in Italia e nel mondo. In questo spirito, chi si è formato sulla scia della lezione di Federico Caffè non può non ricordare i tanti economisti italiani che fra gli anni settanta e i primi duemila hanno contribuito alla diffusione del pensiero di Keynes e dei Keynesiani in Italia. Tra questi tre nomi vengono subito alla mente. 

Il primo nome è quello di Domenico Mario Nuti (1937 – 2020), economista italiano specializzatosi a Cambridge, professore emerito di Sistemi economici comparati presso la Facoltà di Economia della Sapienza e Honorary Senior Research Fellow del Center for Russian and East-European Studies dell’Università di Birmingham. Riflettendo sul suo approccio all’analisi dei problemi economici, Nuti diceva di sé stesso “Non amo le etichette; come tutti gli aggregati, distruggono le informazioni e sono potenzialmente fuorvianti. Se fossi costretto a scegliere, ne sceglierei una manciata. Mi definirei un keynesiano-kaleckiano-kaldoriano-robinsoniano, quando modello la macroeconomia dell’economia capitalista; un “monetarista di sinistra” (come mi ha recentemente definito Peter Wiles) quando modello la macroeconomia dell’economia socialista; un consumatore di tecniche marxiane quando studia la dinamica delle istituzioni e dei sistemi economici, ma pronto a rivolgerle contro i sistemi ispirati a Marx con una certa veemenza; un neoclassico in microeconomia, convinto dell’importanza dei prezzi e forte sostenitore – anche se molto critico – dei mercati come meccanismi omeostatici, indispensabili per quanto rozzi o imperfetti. Quale sia l’approccio migliore dipende dalla domanda che ci si pone (Lange); si sceglie un modello come si sceglierebbe una mappa, in base alla natura del viaggio (Joan Robinson)” (mia traduzione). A chi scrive questa sembra una definizione piuttosto esatta di come debba intendersi il concetto di Keynesismo eclettico che tanti di noi hanno appreso seguendo l’esempio e la guida di Federico Caffè e dei suoi allievi. 

Il secondo nome è quello di Fernando Vianello (1939 – 2009), laureatosi con Sylos Labini e poi specializzatosi a Cambridge, tra i fondatori della Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, poi docente di Economia politica e Macroeconomia alla Sapienza fino al 2009, anno del pensionamento e della sua scomparsa. Nel 1977, Vianello intervistò Caffè per “Sinistra 77”, ponendogli domande sulla partecipazione delle sinistre al governo italiano fino alla metà del 1947 e sugli insegnamenti che se ne potevano trarre trent’anni dopo. L’intervista compare all’inizio del secondo capitolo del volume curato da Amari e Rocchi. Rileggendola oggi, colpisce la forza delle parole di Caffè nel criticare un modello economico centrato sulle esportazioni, l’austerità e l’efficienza ideale che sarebbe assicurata dalle imprese private. In un mondo del genere, il lavoro, anche se dovesse garantire un certo benessere, si colloca in una posizione subalterna. Il modello alternativo che Caffè indica, cercando di dimostrare che si tratta di un modello possibile, pone il lavoro in posizione centrale e assegna allo stato il ruolo di garante della piena occupazione, – come auspicato da Joan Robinson, citata nel testo, e dagli altri Keynesiani di Cambridge – e di garante di una distribuzione dei sacrifici, nel caso questi dovessero rendersi necessari, più equa di quella determinata dal rialzo dei prezzi, problema cruciale negli settanta. 

Infine, il terzo nome che si vuole qui ricordare è quello di Marcello de Cecco, laureatosi a Parma, specializzatosi a Cambridge sotto la guida di Richard Kahn, quindi professore di Economia monetaria a Siena e Roma e infine titolare della Cattedra di Storia dei mercati alla Normale di Pisa fino al suo pensionamento. Fu Caffè a favorire il trasferimento di de Cecco dall’università di Siena alla Sapienza. De Cecco, chi scrive può testimoniarlo personalmente , ricordava con riconoscenza l’aiuto di Caffè e forse è anche con questo sentimento che insieme a Pierluigi Ciocca ha curato una raccolta degli scritti di Caffè nella collana degli economisti abruzzesi

Nuti, Vianello e de Cecco sono solamente tre componenti di quel Dipartimento di Economia Pubblica della Sapienza nei cui corridoi l’insegnamento e l’esempio di Federico Caffè sono rimasti vivi anche dopo la sua scomparsa, il 15 aprile del 1987. Dal silenzio che ancora oggi ci parla, titolo di un bel documentario a lui dedicato, emerge un richiamo a compiere un triplice dovere. Primo, il dovere della memoria, il dovere di ricordare Caffè ma anche Ezio Tarantelli, Fausto Vicarelli e i tanti che insieme a lui hanno contribuito all’insegnamento della scienza economica come scienza viva della società al servizio del benessere delle persone comuni. Secondo, il dovere di trasmettere questa eredità di passioni e di idee alle nuove generazioni a quegli studenti ai quali Caffè dedicava tempo, energia e passione e che anche oggi non aspettano altro che d’essere presi sul serio, ascoltati e guidati a trovare il loro posto nel mondo, possibilmente rendendo quel mondo un posto migliore. Terzo, il dovere di combattere la «buona battaglia» per affermare una civiltà possibile contro le strettoie del presente, trasmettendo una visione e alimentando una speranza come ha fatto Caffè ispirandosi a Keynes.

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