Trentotto anni fa, il 27 marzo 1985, due terroristi delle Brigate Rosse assassinavano Ezio Tarantelli, professore ordinario di Economia politica alla Sapienza. In un documento di 70 pagine, Tarantelli veniva attaccato perché consulente negli accordi di predeterminazione della scala mobile. In questo periodo di ritorno dell’inflazione proviamo a riassumere la sua lezione.
Con gli shock petroliferi del 1973 e 1979, era esplosa l’inflazione e ad essa si accompagnava la stagnazione economica (la stagflazione). Per contrastarla, sulla base degli studi condotti con Franco Modigliani (Modigliani e Tarantelli, Curva di Phillips, sottosviluppo e disoccupazione strutturale, 1972), Tarantelli sosteneva la necessità di un ruolo rilevante del sindacato (Tarantelli, L’utopia dei deboli è la paura dei forti, 1988). Nel 1975 l’accordo tra le organizzazioni sindacali e datoriali (Patto Lama-Agnelli), correggendo il sistema di indicizzazione dei salari all’inflazione, aveva introdotto la cosiddetta scala mobile unificata. Al crescere dei prezzi, ogni lavoratore avrebbe ricevuto lo stesso incremento salariale (il cosiddetto punto unico di contingenza, parametrato al livello superiore degli importi precedenti l’accordo).L’inflazione a due cifre produsse un rapido appiattimento dei differenziali salariali cui si accompagnò un’ondata di conflitti a livello aziendale, che alimentò l’inflazione.
La scala mobile, peraltro, rendeva molto difficile abbattere le aspettative di inflazione. Come qualsiasi sistema di indicizzazione, essa era infatti legata non ai prezzi attesi, ma agli aumenti del trimestre precedente e perciò nel trimestre successivo tendeva a riprodursi il già alto tasso di inflazione del trimestre precedente, indipendentemente dagli annunci della banca centrale. Il 24 gennaio 1978, poche settimane prima che i 1.500 delegati sindacali riuniti nell’assemblea convocata dalla Federazione unitaria Cgil-Cisl-Uil scegliessero, con la “svolta dell’Eur”, di collaborare alla «politica dei sacrifici» proposta dal segretario del PCI Enrico Berlinguer per fronteggiare la stagflazione, Luciano Lama, intervistato da Eugenio Scalfari, dichiarava che ormai, in un’economia aperta, né il profitto, néil salario o l’occupazione, potevano essere considerati variabili indipendenti. Nel frattempo, l’inflazione cresceva e il salario medio anche più: nel 1980 la prima è al 21% e l’anno dopo scende al 18%, ma il secondo aumenta del 24 %.
Il 14 aprile 1981 Tarantelli presenta su ‘Repubblica’ la sua proposta di predeterminazione concertata della scala mobile (Tarantelli, La forza delle idee, 1995) che non prevede, diversamente da come talvolta è stato scritto, la sua abolizione né la riduzione del suo grado di copertura dell’inflazione. Invece di adeguare il salario all’inflazione del trimestre precedente, la proposta è di raffreddare l’inflazione «sulla base di un profilo del numero dei punti di scala mobile decrescente nel tempo, concordato dalle parti sociali, con conguaglio a fine anno a carico delle imprese per la differenza tra il numero dei punti concordati e i punti effettivamente scattati», in modo da garantire sia il potere d’acquisto dei salari sia il grado di copertura vigente. Il trascinamento al futuro dell’inflazione passata si verificherebbe solo al momento dell’eventuale conguaglio finale (di importo sperabilmente modesto), mentre su salari, fisco e prezzi, i sindacati, le imprese e il governo, condividono e annunciano in anticipo gli obiettivi di raffreddamento dell’inflazione.
Il 22 gennaio 1983, dopo una trattativa durata un anno e mezzo, Vincenzo Scotti, ministro del Lavoro del governo Fanfani, porta a termine l’accordo che va sotto il suo nome. Per la prima volta vengono fissati obiettivi di inflazione condivisi da governo, sindacati confederali e Confindustria: 13% per il 1983 e 10% per il 1984. Il grado di copertura dell’inflazione da parte della scala mobile viene però tagliato del 15% e la contrattazione aziendale è bloccata per due anni, senza alcun conguaglio. Il patto non fissa un profilo decrescente della scala mobile coerente con gli obiettivi condivisi di disinflazione annuale, ma affronta molti altri temi. La compensazione del sacrificio salariale è affidata a miglioramenti in tema di rinnovi contrattuali, fisco, assegni familiari, assistenza sanitaria, tariffe e prezzi amministrati, e altro.
Tarantelli aveva nel frattempo approfondito il tema del neocorporativismo, con studi di comparazione internazionale dei sistemi di relazioni industriali che troveranno la più completa espressione nell’opera postuma Economia politica del lavoro (1986). Il neocorporativismo, nella terminologia degli scienziati politici, è la forma di governo delle relazioni industriali – adottata in alcuni paesi europei (Austria, Germania, Paesi Bassi e Paesi Scandinavi) nonché in Giappone – in base alla quale il parlamento affida in misura più o meno rilevante la definizione della politica economica e sociale all’accordo fra le parti direttamente interessate (associazioni sindacali e padronali), con la mediazione del governo. Nella visione di Tarantelli, esso implica il pieno coinvolgimento del sindacato nella politica economica, la centralizzazione della contrattazione e dell’organizzazione sindacale, la garanzia del rispetto degli accordi presi e la capacità del sindacato unitario di concludere accordi di «scambio politico». È questo «ciò che distingue nettamente le esperienze neo-corporative in atto nelle società occidentali dalla storia, per noi così amara, del corporativismo fascista: (…) l’assoluta indipendenza del sindacato come soggetto attivo della politica economica dal sistema dei partiti e dal governo» (Tarantelli, La forza…,150). Lo scambio è possibile solo se il sindacato diventa soggetto politico unitario (per le questioni che lo interessano) e cessa di essere “cinghia di trasmissione” dei partiti. All’accordo Scotti manca, sotto questo profilo, la capacità del sindacato di dare vita a un vero e proprio scambio politico.
La fragilità delle basi politiche degli esperimenti di concertazione si manifesterà con il fallimento del tentativo di patto sociale, condotto nel 1984 da Bettino Craxi, subentrato a Fanfani alla guida del governo. Tarantelli è coinvolto nelle trattative e riesce a far passare la predeterminazione dei punti di scala mobile ma non il conguaglio in capo alle imprese e/o allo Stato. Soprattutto non riesce a far passare l’idea che il sindacato, oltre che unitario, dev’essere un soggetto politico autonomo, capace di portare a termine uno scambio con il governo, le imprese e (implicitamente) la banca centrale. La trattativa dura a lungo; il testo dell’accordo transita tra le segreterie sindacali e politiche e giunge in prossimità della firma il 7 febbraio.Esso prevede la predeterminazione degli scatti di scala mobile nel quadro di un processo di disinflazione concordato trilateralmente. Ai lavoratori è chiesto di accettare per il 1985 un profilo di maturazione della scala mobile ridotto di 4 scatti rispetto a quello tendenziale, a fronte (in assenza di conguaglio) di una corposa contropartita fatta di provvedimenti fiscali e sterilizzazione del drenaggio fiscale, governo di tariffe, prezzi amministrati ed equo canone in linea con l’obiettivo di inflazione e altri provvedimenti a favore del lavoro.
Ad accordo praticamente concluso, però, il PCI impone alla Cgil di fermarsi: Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto avevano ricevuto da Cisl e Uil il mandato per la firma, e così Ottaviano Del Turco dalla componente socialista della Cgil; ma Lama annuncia la contrarietà della maggioranza della Cgil. Le motivazioni di Berlinguer, che ha richiamato Lama alla disciplina di partito, sono politiche, non tecniche: il sindacato non è un soggetto politico autonomo e non è autorizzato a trattare direttamente con il governo, a maggior ragione se quest’ultimo non ha ricevuto mandato dal Parlamento (Carniti, Passato prossimo, 2019). Il 14 febbraio Craxi, con l’assenso di Cisl e Uil, procede comunque per decreto; ma l’opposizione del PCI manda in frantumi l’unità sindacale faticosamente costruita nei 12 anni precedenti. Tarantelli, fallita l’ipotesi di scambio politico, rifiuta ogni paternità del decreto (Tarantelli, La forza.., cit., 162-164). Anche dopo l’approvazione parlamentare (che comporterà la riduzione da 4 a 3 degli scatti di scarto tra scala mobile programmata e tendenziale), il dibattito resta rovente. Il PCI indice un referendum abrogativo ma Berlinguer non ne vedrà l’esito: colpito da un ictus morirà l’11 giugno 1984, e pochi mesi dopo viene ucciso Tarantelli. Il 9 e 10 giugno 1985 il referendum è vinto dal no con un distacco di 8,6 punti percentuali. Le idee di Tarantelli troveranno un nuovo tentativo di applicazione con l’accordo del 23 giugno 1993 fortemente voluto da Carlo Azeglio Ciampi, che diede vita a un nuovo quanto breve esperimento di concertazione della politica economica e ad un modello di contrattazione salariale che durerà fino al 2009.
Se la teorizzazione della piena e responsabile partecipazione del lavoro alla definizione e all’attuazione della politica economica e sociale attraverso un sindacato unitario e autonomo costituisce il contributo fondamentale di Tarantelli allo sviluppo della democrazia sociale del nostro Paese (finora ben lontana da una piena attuazione), molti altri sono i temi di grande rilievo su cui si è impegnato: il rapporto tra consumi e investimenti, il neocorporativismo decentrato, lo sviluppo dell’economia dell’informazione e l’idea, decisamente originale, di porre la lotta alla disoccupazione a fondamento della moneta unica. Per ragioni di spazio ci limitiamo a quest’ultima idea.
Poco prima della tragica scomparsa, Tarantelli avanza la proposta dello «scudo dei disoccupati» (Tarantelli, L’utopia.., cit., 567-81). L’Euro non è ancora nato, ma c’è l’Ecu, l’unità di conto propria del Sistema monetario europeo.La sollecitazione – rivolta in particolare a sindacati e partiti di sinistra europei – è di dotare il Fondo sociale europeo di un finanziamento in Ecu commisurato al reddito medio e al tasso di disoccupazione della Comunità. Ad esso gli Stati membri potranno attingere, in proporzione al loro tasso di disoccupazione, per finanziare esclusivamente «sussidi di disoccupazione, lavoro ai giovani, programmi di addestramento professionale o agenzie del lavoro». Queste misure, oltre ai loro effetti diretti, permetteranno di sostenere, contemporaneamente in tutti i paesi europei senza alcun appesantimento dei vincoli esterni, la domanda interna, il cui sviluppo è la via maestra per accrescere l’occupazione. Lo “scudo dei disoccupati” permetterebbe così di edificare la moneta unica e al tempo stesso di realizzare il pieno impiego.
In conclusione, lo scopo che si prefigge l’«economia politica del lavoro» di Tarantelli è di trasformare i lavoratori, attraverso un sindacato libero, unito e autonomo dai partiti, in protagonisti fondamentali della politica economica, coscienti del proprio ruolo di promotori dello sviluppo economico e sociale. Scrive Keynes nel 1936: «In realtà, se ogni volta che l’occupazione fosse inferiore al pieno impiego il lavoro dovesse (…), tramite un’azione concertata, accettare di ridurre le proprie domande monetarie, (…) noi avremmo che, in effetti, il controllo degli aggregati monetari verrebbe esercitato non dal sistema bancario ma dai sindacati, allo scopo di raggiungere il pieno impiego» (Keynes, General Theory, 1936, 267). Tarantelli elabora il fondamento teorico e le caratteristiche di quell’«azione concertata» che, tramite il sindacato, può liberare il lavoro dagli ostacoli (eminentemente politici e culturali) che gli impediscono di concorrere, insieme al governo, alla banca centrale e alle imprese, a produrre il bene pubblico della stabilità del valore della moneta, dei salari e dei prezzi (Tarantelli Economia politica.., cit., 81) – e quindi dell’occupazione. Un bene pubblico che, nel caso della stagflazione degli anni ’80, né il mercato né la politica monetaria riuscivano ad assicurare.
L’economia politica di Tarantelli ritaglia per il lavoro un ruolo di partecipazione cosciente alla politica economica e sociale del Paese, in profonda coerenza non soltanto con l’articolo 1 della Costituzione, che lo pone a fondamento della Repubblica, ma anche, e soprattutto,con il progetto di tutela dell’uguaglianza e della libertà sancito dall’articolo 3 allorché proclama che«è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli (…) che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Se la Costituzione delinea i fondamenti di diritto della partecipazione del lavoro allo sviluppo della Repubblica, l’economia politica di Tarantelli ne disegna alcuni fondamentali snodi concreti che, con il passare degli anni appaiono, se possibile, ancor più rilevanti e urgenti.
* Il presente articolo si basa su un capitolo del volume Idee di lavoro e di ozio per la nostra civiltà, a cura di G. Mari et al., Firenze University Press, in corso di stampa.