ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 190/2023

3 Aprile 2023

Il mito della meritocrazia e la minaccia populista*

Lisa Pelling ricostruisce alcuni argomenti centrali nel dibattito sulla meritocrazia partendo dal libro di Young del 1958 e dal modo nel quale è stato interpretato dai liberali di destra e di sinistra. Pelling mette in luce i limiti delle prevalenti interpretazioni della meritocrazia e indica le ragioni, riconducibili al rischio che essa porti verso una società di classe, per le quali i socialdemocratici dovrebbero tenersi lontani dalle idee meritocratiche, soprattutto se vogliono ricollegarsi a les classes populaires.

Quando scrisse L’ascesa della meritocrazia, Michael Young, un importante sociologo britannico, intendeva scrivere una satira: la società meritocratica che descriveva doveva rappresentare una distopia.

Il libro di Young, pubblicato nel 1958, è scritto con lo stile di un rapporto sociologico. Nell’allora lontano futuro 2034, un sociologo cerca di capire la causa di una serie di eventi inquietanti: rivolte, attacchi terroristici, un’irruzione nel Ministero dell’istruzione. Come mai le persone non sono felici, ora che la società è diventata una perfetta meritocrazia? Perché i poveri sono arrabbiati con l’ordine sociale, quando il merito ha finalmente trionfato sulla discendenza e l’intelligenza ha sostituito la classe e le relazioni come titolo d’ingresso nell’élite?

Nel 2034 di Young, la società è una meritocrazia meticolosamente progettata. I test di intelligenza vengono utilizzati per individuare i bambini più talentuosi, in modo che possano ricevere la migliore istruzione e coprire le posizioni più importanti nella società. Il talento non viene più sprecato – e non si spreca nulla a beneficio di chi non ha talento.

Avvertimento, non guida. Oggi, però, i liberali di destra e di sinistra leggono il romanzo di Young come una guida piuttosto che come un avvertimento, sostiene Petter Larsson. Opinionista del principale quotidiano svedese, Aftonbladet, Larsson è autore (in svedese) di Rigged: Come la fede nella meritocrazia riduce le possibilità di mobilità socialeappena pubblicato.

I liberali amano l’idea della meritocrazia. Ma mentre la meritocrazia promette l’uguaglianza delle opportunità, non può creare l’uguaglianza delle condizioni. La meritocrazia è fondamentalmente l’idea di organizzare la società come se fosse una gara, dove vincono i migliori (i più talentuosi, i più laboriosi). Ma se ci devono essere (alcuni) vincitori, ci devono essere anche (molti più) perdenti. La meritocrazia non è la fine della società di classe, piuttosto ne favorisce la conservazione.

Per i liberali che si oppongono alle politiche redistributive, la meritocrazia è anche la scusa perfetta. Se le posizioni nella società sono conquistate rigorosamente in base al merito, non solo non c’è bisogno di ridistribuzione, ma la ridistribuzione sarebbe moralmente sbagliata: un ingiusto, e ingiustificabile, ombrello protettivo per coloro che semplicemente non si sono impegnati abbastanza. Si invierebbero così segnali profondamente sbagliati a coloro che si impegnano.

Profondamente deluso. Young è stato l’autore del manifesto elettorale, Affrontiamo il futuro, con il quale il Partito Laburista ha ottenuto una vittoria schiacciante in Gran Bretagna nel 1945. Il coronamento del governo di Clement Attlee fu la creazione del Servizio Sanitario Nazionale, probabilmente l’istituzione redistributiva più potente nella storia del Regno Unito. Dopo aver coniato il termine meritocrazia con il suo classico best-seller, Young sarebbe rimasto profondamente deluso dalla connotazione positiva che ha acquisito nei decenni successivi.

In un articolo, spesso citato, pubblicato sul Guardian nel 2001, Young ha voluto sottolineare che “é buon senso scegliere le singole persone per i posti di lavoro in base al loro merito”. E proseguiva: “ma accade l’opposto quando coloro a cui si riconosce un particolare tipo di merito si chiudono in una nuova classe sociale senza lasciare spazio agli altri”. E ha scritto che, in “netto contrasto” con il governo post-1945, il governo laburista di Tony Blair era “abbondantemente pieno” di “membri della meritocrazia”.

Gerarchia sociale ingessata. Il mito della meritocrazia rimanda a una gerarchia sociale ingessata e giustificata moralmente. Al vertice ci sarebero coloro che sono ritenuti (e si ritengono) i più meritevoli. Si suppone che abbiano guadagnato la loro posizione grazie all’intelligenza, al talento e soprattutto al duro lavoro. Meritano il loro status sociale e i loro redditi elevati. Coloro che si trovano all’altra estremità della scala sociale sono giudicati immeritevoli di qualsiasi altra cosa, se non del loro destino. Vengono debitamente consegnati all’estremità inferiore della scala dei redditi e al più basso livello del prestigio sociale.

Il filosofo americano Michael Sandel ha colto tutto ciò nel suo libro La tirannia del merito. Perché viviamo in una società di vincitori e di perdenti? (Feltrinelli, 2021). “In una società diseguale, coloro che arrivano in cima si convincono che il loro successo è moralmente giustificato. In una società meritocratica, questo significa che i vincitori tipicamente credono di essersi guadagnati il successo grazie al loro talento e al loro duro lavoro”.

Arroganza e vergogna. Questa individualizzazione del successo (e, di conseguenza, del fallimento) ha conseguenze distruttive a entrambe le estremità della gerarchia sociale. In alto, genera arroganza; in basso, vergogna.

Qui troviamo un potenziale tassello mancante per una buona comprensione del populismo di destra. Come ci ricorda Cas Mudde, esperto della questione, gli elettori populisti di destra non appartengono principalmente alla classe operaia; essi provengono da tutte le fasce di reddito. Hanno, però, in comune un’altra caratteristica: in modo nettamente prevalente hanno un basso livello di istruzione. Forse questi elettori non sono tanto i ‘perdenti della globalizzazione‘, quanto i perdenti di una società costruita sul mito della meritocrazia. In una società di questo tipo, alle persone con un basso livello di istruzione viene insegnato a vergognarsi di non essere sufficientemente intelligenti, di non essersi impegnati abbastanza a scuola.

Mostrare loro un po’ di rispetto è quindi la chiave per riconquistarli. Questo è stato il Leitmotiv della campagna di Olaf Scholz, che ha portato i socialdemocratici tedeschi al successo nelle elezioni del Bundestag del 2021.

Storia personale. Quella di Stefan Löfven, l’ex Primo Ministro svedese che oggi è Presidente del Partito dei Socialisti Europei rappresenta una storia personale di mobilità sociale. Nato in povertà, sua madre dovette abbandonarlo quando era ancora un bambino. Löfven è cresciuto in una famiglia adottiva nel nord della Svezia. Saldatore, svolgeva un classico lavoro maschile della classe operaia. Grazie alla fiducia dei suoi colleghi di lavoro, ha scalato la scala sociale. Ha iniziato con l’elezione a rappresentante locale del Sindacato dei Lavoratori Metalmeccanici. Poi, è diventato presidente del sindacato, che conta 300.000 iscritti. Nel 2012 è stato eletto presidente del Partito Socialdemocratico. Nel 2014, è diventato Primo Ministro.

Nessun modello di riferimento. Tuttavia, Löfven ha sempre rifiutato di essere rappresentato come un modello e prova vivente che la Svezia è un paradiso di mobilità sociale. “Fondamentalmente, c’è qualcosa di sbagliato in questo ragionamento”, ha detto nel suo discorso di addio a cuore aperto al congresso del partito nel 2021. Il suo percorso di vita, ha spiegato, è stato reso possibile grazie all’espansione dello Stato sociale. Eppure i liberali che sostenevano con tanto fervore i “passaggi di classe” come il suo si erano sempre opposti a tale riforma.

“Ma soprattutto”, ha detto, “mi oppongo a questa visione borghese secondo cui la classe operaia è qualcosa da cui si vuole fuoriuscire”. E ha proposto una visione non meritocratica e progressista: “Essere un lavoratore non dovrebbe significare vivere in povertà, logorarsi o avere paura di morire sul lavoro. Il lavoratore dovrebbe essere in grado di vivere bene, sentirsi sicuro, avere un lavoro che desidera, avere la libertà e il potere di scegliere la propria vita. Vogliamo costruire una società che vada bene sia per la tata che per il direttore di banca, sia per il camionista che per il medico. Vogliamo costruire una società che vada bene sia per il saldatore che per il primo ministro”.

Il compianto Michael Young avrebbe sicuramente applaudito.


* Questo articolo è stato originariamente pubblicato, in inglese, su Sociale Europe (www.socialeurope.eu) il 13 marzo scorso.

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