ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 190/2023

3 Aprile 2023

“La stangata” ai tempi del Metaverso*

Enrico D’Elia si occupa degli algoritmi per il trading ad alta frequenza (HFT) in Borsa. D’Elia dopo averne spiegato le principali caratteristiche sottolinea il fatto che essi consentono ad alcuni operatori di conoscere le mosse degli altri in anticipo e di utilizzare questa conoscenza per effettuare le transazioni. D’Elia sostiene che ciò assicura loro un vantaggio ingiustificato, che spesso è utilizzato per manipolare il mercato rendendo visibile agli investitori una realtà puramente virtuale dei prezzi e traendone forti guadagni.

Alcune degenerazioni del trading ad alta frequenza (HFT) sui mercati finanziari richiamano alla mente “La stangata”, una pellicola uscita esattamente 50 anni fa, vincitore di ben 7 premi Oscar, con Paul Newman e Robert Redford. Il film racconta della “truffa del telegrafo” organizzata per vendicarsi di un gangster che aveva fatto assassinare un piccolo imbroglione da strada. Per raggirare il gangster viene allestita una finta sala scommesse dove i risultati delle corse non sono trasmessi in tempo reale (o meglio: con i tempi di un telegrafo degli anni trenta) ma in differita, in modo da consentire agli allibratori di conoscerli in anticipo per frodare la vittima accettando scommesse con quote manipolate. Un trucco simile sembra ancora praticato largamente sui mercati finanziari, da soggetti molto meno affascinanti dei protagonisti del film. Come vedremo, quella che era considerata una truffa perfino tra i malavitosi americani dei ruggenti anni trenta sembra essere diventata ormai uno dei principali driver dei mercati finanziari globali.

Gli algoritmi per l’HFT sono in grado di lanciare centinaia di migliaia di ordini al secondo su tutte le borse del mondo, reagendo alle fluttuazioni del mercato molto più rapidamente degli operatori ordinari. In questo modo alcuni privilegiati riescono sempre a comprare ogni asset al minimo ed a venderlo al massimo prima che i concorrenti siano in grado di rivedere le proprie offerte, esattamente come facevano i protagonisti de “La stangata”. È una rendita che non teme le crisi, anzi aumenta proprio nei periodi di grande volatilità del mercato. Per avere un’idea dell’entità del vantaggio di chi usa gli HFT, basta pensare che un pilota di formula uno o un centometrista, i cui riflessi sono presumibilmente migliori di quelli di qualsiasi agente di borsa, hanno tempi di reazione dell’ordine del decimo di secondo e che in questo intervallo gli algoritmi HFT riescono ad effettuare decine di migliaia di operazioni.

Questa pratica potrebbe essere considerata sleale, ma comunque vantaggiosa perché contribuisce a rendere più fluido il mercato dei capitali attraverso l’arbitraggio. Purtroppo gli HTF vengono utilizzati soprattutto per altri scopi, ovvero per lanciare una mole enorme di ordini fittizi che vengono annullati quasi simultaneamente, ma non prima di aver indotto gli operatori meno veloci ad effettuare le loro transazioni ai prezzi manipolati tramite gli HFT. Gli investitori normali, infatti, riescono a vedere sui loro monitor solo un quadro delle offerte drogato dagli ordini fittizi degli HFT, come se stessero agendo sul Metaverso, invece che sui mercati reali. Le perdite, tuttavia, sono tutt’altro che virtuali. Il meccanismo è simile a quello di un’altra famigerata truffa, il gioco delle tre carte, in cui la vittima si illude di aver individuato la carta vincente ma il baro è così veloce da spostarla all’ultimo momento, prima che i giocatori facciano le loro puntate.

Queste operazioni non sono marginali, perché solo una minima parte degli ordini lanciati attraverso gli HFT si trasforma in transazioni effettive (attorno al 3% secondo la SEC) e quasi tutte si compensano all’interno della giornata, senza contribuire allo stock complessivo dei titoli scambiati a fine seduta. Inoltre, la rapidità delle operazioni richiederebbe un campionamento altrettanto frequente per ottenere stime affidabili del loro ammontare, quindi non è facile stabilire l’entità del fenomeno. Secondo la Banca d’Italia, che utilizza dati del 2011, gli HFT generano il 55% degli scambi reali sulle borse USA e il 35% su quelle europee, ma questo tipo di operazioni è in rapida crescita negli ultimi anni. Secondo alcuni recenti studi citati da Karkowska e Palczewski, gli ordini generati dagli HFT rappresenterebbero tra il 50 e il 100% del giro d’affari delle borse europee e americane. 

Aquilina ed altri stimano che ogni anno le operazioni condotte tramite gli HFT fruttino almeno 5 miliardi di dollari l’anno, che ovviamente vengono sottratti ad altri operatori. Tutto questo accade perché le piattaforme di trading impongono le loro commissioni solo sugli scambi effettivi e altrettanto fa il fisco, perché non si può tassare una semplice proposta d’affari. Quindi non costa quasi nulla lanciare ordini fittizi che vengono revocati nel giro di qualche milionesimo di secondo. Eppure quasi tutti gli ordinamenti giuridici (e perfino le piattaforme di e-commerce) prevedono delle penali per chi annulla un ordine.

Si potrebbe credere che solo dei buontemponi investano miliardi in macchine e software per fare scherzi del genere agli altri operatori, ma la ragione è racchiusa in alcune colorite espressioni inglesi come spoofing (inganno…nomen omen), layering (disporre a strati…come le banconote false messe sotto quelle autentiche dai truffatori), quote stuffing(riempire di azioni), ticker tape trading (scambi sulla fettuccia…proprio come quella del telegrafo de “La stangata”), ecc. Alcune di queste pratiche sono sanzionate dalle autorità di controllo (con grande ritardo e solo quando riescono a provarle), altre sono considerate ammissibili, se non desiderabili. 

Ad esempio, è vietato lo spoofing, che consiste nel piazzare una montagna di ordini a prezzi vicini a quello minimo o massimo praticati sul mercato, in modo da indurre gli operatori meno avveduti a credere che le quotazioni stiano rispettivamente cedendo o salendo. Una volta caduti nella rete, i malcapitati finiscono così per vendere o comprare a condizioni sfavorevoli proprio ai gestori degli algoritmi HFT, che a quel punto piazzano gli ordini veri. Nel layering un unico ordine di vendita ben visibile nasconde numerosi ordini di acquisto di importo trascurabile, in modo da simulare una domanda che invece è puramente fittizia. È ugualmente sanzionabile il quote stuffing, col quale si inonda il mercato di ordini solo per creare la confusione necessaria ai signori del HFT per concludere ottimi affari ai danni degli operatori meno informati e più lenti. Nel ticker tape trading gli ordini fittizi servono sostanzialmente a saggiare le reazioni del mercato in anticipo su tutti gli altri, in modo da preparare il terreno per successivi attacchi speculativi. Se dei malviventi fossero sorpresi a preparare un colpo con appostamenti e sopralluoghi probabilmente verrebbero arrestati, invece il ticker tape trading è ritenuto legittimo. 

È considerato legale, e addirittura vantaggioso per la collettività, anche l’arbitraggio frenetico su uno stesso titolo. In questo caso, gli arbitraggisti si accontentano di guadagni unitari minimi ma realizzati su masse enormi di scambi sfruttando i tempi di latenza delle piattaforme (ossia il tempo necessario a processare l’ordine), che sono migliaia di volte superiori a quelli di reazione degli algoritmi HFT. Secondo i difensori di queste pratiche, l’arbitraggio renderebbe più liquido il mercato e contribuirebbe a restringere le distanze tra condizioni di offerta e di domanda. 

In fondo, ciò che è possibile fare oggi con l’HFT è solo l’evoluzione di attività tradizionali che sfruttavano le asimmetrie informative, i vincoli ai quali sono soggetti la maggior parte degli operatori e soprattutto la lentezza e la cautela con cui si muovono legislatori ed autorità di controllo dei mercati. Gli automatismi che regolano gli HFT, tuttavia, hanno introdotto un elemento di instabilità sistemica che prima non esisteva, perché tendono ad amplificare in pochi istanti anche piccole perturbazioni casuali, generando un effetto valanga difficile da arginare, come nel caso del “flash crash” del maggio 2010, che portò in pochi minuti gli indici americani a subire perdite dell’ordine del 10%, rientrate in giornata, oppure del bug di un algoritmo che nell’agosto 2012 fece sostanzialmente fallire un colosso come Knight Capital e sconvolse i mercati globali per diversi mesi. Per la cronaca, la SEC sanzionò la Knight Capital dopo oltre un anno dai fatti. In tutti i casi, i guadagni degli operatori HFT corrispondono esattamente alle perdite di tutti gli altri, quindi non c’è alcuna creazione di valore, ma solo una redistribuzione dei profitti. C’è anche chi sospetta che l’HFT abbia avuto qualche ruolo nell’ondata di rincari del gas sul mercato (non regolamentato) dei TTF di Amsterdam, iniziati almeno 6 mesi prima della guerra in Ucraina senza apparenti motivi tangibili.

Un altro danno provocato dagli HFT è che l’eccessiva incidenza di operazioni a brevissimo termine ha distolto gli operatori dall’analisi dei fondamentali, favorendo una selezione avversa delle imprese quotate, perché il loro valore dipende sempre meno dalla capacità manageriale, dagli investimenti, dalle prospettive e dalla solidità patrimoniale e sempre più da elementi del tutto accidentali e spesso fuori dal controllo delle imprese, come un attacco speculativo. Così la Borsa finisce per allocare il risparmio nel peggiore dei modi, dirottandoli sui titoli più volatili, che garantiscono maggiori margini per gli speculatori, piuttosto che su quelli che finanziano progetti di lungo periodo. 

Al di là degli interventi sanzionatori per fatti specifici, come quelli della SEC, le autorità di controllo hanno tentato a più riprese di mettere dei limiti al HFT. In particolare, l’ESMA (l’autorità europea di vigilanza sugli strumenti finanziari e i mercati) ha introdotto nella direttiva MIFID II vari obblighi per le società che utilizzano questi algoritmi, tra cui la pubblicità e la verifica dei loro software (anche se l’impiego di processori dedicati, con sistemi operativi proprietari come quelli militari, vanifica l’ispezione del codice sorgente). La Consob, già prima dell’approvazione della nuova MIFID, aveva imposto delle penali per gli operatori che revocano una percentuale significativa di operazioni, seguendo una buona pratica adottata già dalle borse USA ed europee. Altri, come Bottazzi e Scarano, propongono semplicemente di allungare il tempo minimo di validità delle offerte, in modo da neutralizzare molti degli effetti negativi degli HFT. Franzini ha proposto di utilizzare la Tobin tax per scoraggiare ordini troppo frequenti. In effetti, la legge di stabilità per il 2013 (n.228 del 2012) ha introdotto una tassa sulle transazioni finanziarie dello 0,02% che si applica anche agli HFT quando le cancellazioni e modifiche degli ordini superano il 60% del totale di quelli immessi. Tuttavia l’imposta viene calcolata sui saldi a fine giornata che, come abbiamo visto, sono generalmente molto modesti, invece che sulle singole operazioni, e riguarda solo gli operatori residenti, quindi il risultato è un gettito di poche migliaia di euro l’anno. Una soluzione più drastica, ma con molte controindicazioni, sarebbe quella di disturbare le comunicazioni degli HFT, in modo da rendere molto più incerto l’esito delle loro operazioni ed i relativi profitti. In ogni caso, la globalizzazione dei mercati finanziari non consente di imporre normative nazionali o continentali troppo restrittive, perché gli HFT potrebbero semplicemente migrare verso altre piattaforme ancora meno trasparenti, a cominciare dai dark pool offerti da varie banche d’affari, che garantiscono addirittura l’anonimato delle transazioni.

Difronte a simili pratiche torna alla mente ciò che scriveva Federico Caffè nel 1971, quando gli scambi richiedevano ancora la compilazione del “fissato bollato” e molti si illudevano che la borsa fosse un modello di efficienza e trasparenza: «Da tempo sono convinto che la sovrastruttura finanziario-borsistica, con le caratteristiche che presenta nei paesi capitalisticamente avanzati, favorisca non già il vigore competitivo, ma un gioco spregiudicato di tipo predatorio che opera sistematicamente a danno di categorie innumerevoli e sprovvedute di risparmiatori, in un quadro istituzionale che, di fatto, consente e legittima la ricorrente decurtazione o il pratico spossessamento dei loro peculi.»

Forse non sarebbe una cattiva idea dedicare qualche supercomputer a combattere ad armi pari le degenerazioni degli HFT piuttosto che a migliorare la precisione di missili e droni.


* Le opinioni espresse in questo articolo non coinvolgono in alcun modo le istituzioni con cui collabora l’autore.

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