ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 176/2022

18 Luglio 2022

Conoscere la cittadinanza e le sue trasformazioni

Giovanni Moro illustra l’importanza di disporre di una mappatura della cittadinanza in Italia non solo in termini di frontiere esterne, ma anche di confini interni alla comunità politica, per comprendere molte trasformazioni sociali in corso.

Che cos’è la cittadinanza oggi? Dove comincia e dove finisce? Cosa c’è dentro? Cosa ne resta fuori? E, con riferimento all’Italia, che cosa non funziona più della cittadinanza che abbiamo ricevuto in eredità? Che cosa sta cambiando? E come?

Domande del genere sono tutt’altro che retoriche. I più recenti avvenimenti che hanno investito l’intero pianeta, ma soprattutto le società democratiche, dalla recessione del 2008 all’avvento del cosiddetto populismo, senza dimenticare la emergenza Covid-19, hanno infatti posto in primo piano i cittadini. Essi sono emersi come un problema o come una soluzione, come un pericolo o come una risorsa; ma comunque come un fattore determinante nel funzionamento delle società contemporanee.

I cittadini, tuttavia, non esistono senza la cittadinanza, nei regimi democratici una associazione tra eguali per regolare e animare la vita comune. È quindi proprio su di essa che occorre fare luce, per comprendere quali traguardi sono stati raggiunti, quali problemi e ostacoli occorre affrontare, quale futuro ci possiamo attendere, o meglio abbiamo la possibilità e la responsabilità di costruire. È a questa finalità che è dedicato il volume collettivo La cittadinanza in Italia, una mappa (Carocci 2022), frutto del programma di ricerca di Fondaca “Restaurare e reinventare la cittadinanza” e che si riferisce al periodo 2015-2019. Si è scelto di fissare un termine ad quem precedente alla pandemia, sia perché essa non è ancora conclusa, sia per poter disporre, nel medio periodo, di uno strumento per verificare gli “effetti di cittadinanza” della emergenza Covid-19.

Concorrere a questo obiettivo ha richiesto anzitutto una definizione della cittadinanza non come oggetto di teoria o come modello normativo, ma come fenomeno sociale, politico, culturale, economico, istituzionale. Essa è stata quindi considerata come un dispositivo, cioè come un meccanismo che ha la specifica funzione di assicurare inclusione, coesione e sviluppo della comunità politica, ossia dell’insieme dei cittadini.

Tenendo conto dei risultati della ricerca dell’ultimo trentennio, è stata utilizzata una strutturazione del dispositivo della cittadinanza in tre componenti. La prima è quella dell’appartenenza, che consiste nell’essere riconosciuti e sentirsi parte della comunità politica e che è a sua volta articolata nelle due distinte dimensioni dello status legale e sociale e della identità politica o societaria. La seconda è la componente dei diritti, intesi come standard di vita legittimati e protetti dalla comunità politica, ai quali sono associati doveri dei cittadini, cioè standard di comportamento riconosciuti come cogenti, che sono necessari alla effettività di tali diritti. La terza componente è quella della partecipazione, intesa come concorso dei cittadini, su base di eguaglianza, alla definizione e alla messa in opera delle finalità e delle regole del gioco della vita comune.

A questa articolazione in componenti del fenomeno della cittadinanza è associata una identificazione dei luoghi in cui la cittadinanza stessa si forma e si trasforma. È dato ampiamente per scontato che essa sia definita dalle norme di rango costituzionale. Ciò è indiscutibile, ma non sufficiente. Occorre infatti aggiungere altri due “luoghi” che hanno un valore eziologico altrettanto importante di quello rivestito dalle previsioni costituzionali.

Uno di questi luoghi è quello che si può definire “deposito” (o acquis) civico: la legislazione secondaria, le procedure e gli atti amministrativi, le politiche pubbliche, le sentenze dei giudici, gli accordi collettivi di civil regulation come ad esempio i contratti di lavoro. Per fare un solo esempio, le norme e le procedure che regolano l’accesso ai servizi del welfare definiscono estensione e contenuto effettivo della cittadinanza per le persone in carne ed ossa, peraltro costituendo spesso una interpretazione tutt’altro che autentica delle norme costituzionali.

L’altro “luogo” è quello delle pratiche di cittadinanza, ossia l’insieme delle relazioni dinamiche che connettono individui e gruppi sociali alla comunità politica e alle sue istituzioni, su base quotidiana. Ciò è di particolare importanza di fronte alla convinzione diffusa che i cittadini siano i semplici recettori – non importa se come beneficiari o come vittime – di una cittadinanza conferita dallo Stato. Il modo in cui i cittadini usano la cittadinanza, invece, fa la differenza, come mostrano, ad esempio, le lotte del movimento operaio che nel secolo scorso hanno imposto la inclusione dei diritti sociali nel dispositivo della cittadinanza democratica, o quella delle donne, che hanno messo in discussione il confine tra dimensione pubblica e dimensione privata. I cittadini, cioè, concorrono sostanzialmente, attraverso le loro pratiche, a dare forma alla cittadinanza stessa.

La cittadinanza definita come fenomeno, così, costituisce un prisma per l’analisi delle dinamiche sociali, politiche, culturali, istituzionali ed economiche che consente di mettere al centro dell’attenzione e della ricerca i cittadini stessi, evitando di schiacciare l’analisi e le valutazioni circa la sfera pubblica sulla sola dimensione politico-istituzionale o su quella del mercato, ma nello stesso tempo evitando gli eccessi retorici che spesso caratterizzano il discorso sui cittadini.

Tuttavia, la cittadinanza è un fenomeno dinamico e contestuale, oltre che intrinsecamente conflittuale. E nel corso del ‘900 il dispositivo si è consolidato in un modello canonico che abbiamo ereditato: appartenenza a una comunità culturale, identificata in termini di nazionalità; un insieme di diritti riconducibili alla sistematizzazione marshalliana (diritti civili, politici e sociali con l’aggiunta dei diritti umani); i tradizionali doveri fiscali, di difesa della patria e di concorso all’amministrazione della giustizia; la partecipazione alla costruzione del sistema politico prioritariamente attraverso il voto e i partiti.

Il punto è che questo modello canonico – che accomuna l’Italia alle altre democrazie europee – vive da alcuni decenni una crisi ed è soggetto a processi non univoci di cambiamento. Mappare la cittadinanza in Italia, così, significa non solo identificare il modo in cui il fenomeno si manifesta nel contesto italiano rendendolo osservabile nel tempo, ma anche registrare i processi di trasformazione in corso, che siano estensioni o restringimenti, progressi o regressi, riconoscimenti o misconoscimenti.

La operazione di mappatura realizzata dal gruppo di ricerca, che si è articolata nella definizione di oggetti da osservare e in indicatori di diverso tipo, ha riguardato le già citate componenti del dispositivo della cittadinanza. Per quanto riguarda l’appartenenza come status legale sono stati considerati sia l’acquisizione della cittadinanza (quasi un milione e mezzo negli ultimi 15 anni), sia la limitazione delle prerogative, che riguarda ad esempio le persone senza dimora o quelle detenute. Circa lo status sociale, sono stati messi a fuoco gli status in trasformazione come la famiglia e il lavoro; quelli in questione, come nel caso dei giovani, delle donne, delle seconde generazioni; quelli in via di riconoscimento, prendendo ad esempio le persone di origine straniera, le coppie conviventi e le unioni civili. È stata quindi registrata la esistenza di disparità legate al territorio (anche all’interno di una stessa regione), alla condizione sociale (per reddito, istruzione, abitazione, accesso ai servizi per le famiglie, mobilità sociale), alla origine (lavoro, accesso al welfare, altri fenomeni di mancata integrazione).

Circa la appartenenza come identità, sono state raccolte informazioni su fenomeni connessi alla solidarietà e alla interdipendenza (impegno volontario, solidarietà nelle emergenze, cinque per mille, solidarietà internazionale); sulla fiducia orizzontale e verticale; sui luoghi della identità (legame con il territorio , rilevanza sociale di “luoghi” come le chiese o le bande musicali, relazioni di prossimità e reti di relazioni); sul senso della comunità nazionale (celebrazione delle feste del 25 aprile e del 2 giugno, attenzione dei giovani alla storia della Repubblica, senso dell’essere italiani dei nuovi cittadini); sulla componente europea della identità societaria (senso della identità europea, giovani “euronativi”, pratiche di cittadinanza europea); sulle forme di apprendimento della cittadinanza (ruolo della famiglia, educazione civica nelle scuole, iniziative politiche e sociali di formazione, servizio civile).

Circa i diritti, sono stati osservati fenomeni connessi alla pratica dei diritti di cittadinanza (nei servizi sanitari, per la disabilità, nell’ambiente urbano, nella mobilità, nell’accesso alla cultura); ai diritti umani (con riferimento alla protezione internazionale, a Rom, Sinti e Caminanti, alle comunità LGBTQI+); ai diritti operativi che connettono i cittadini singoli o associati alla pubblica amministrazione (dall’accesso alle informazioni agli standard di qualità dei servizi e alla loro valutazione); al riconoscimento di nuovi diritti (con riguardo allo status legale dei minori stranieri, all’accesso alla rete Internet, al fine vita). Sono stati anche considerati gli attori della tutela dei diritti: dalla giurisdizione (con riguardo alle questioni emergenti in materia di diritti alla salute, al lavoro e all’abitazione) alla pubblica amministrazione (con riferimento agli organismi specificamente volti alla tutela dei diritti come gli uffici per le relazioni con il pubblico o gli istituti per la risoluzione alternativa delle controversie), dalle organizzazioni di cittadinanza attiva alle confessioni religiose, dalle università ai media.

Sui doveri, invece, sono state messe a fuoco le situazioni relative ai doveri fiscali e al senso civico; mentre è stato registrato l’emergere di nuovi doveri nel campo della sostenibilità ambientale e in quello della qualità urbana.

Circa la partecipazione, è stata ricostruita la “struttura delle opportunità di partecipazione” che si è consolidata nel regime democratico italiano: esercizio del voto, partecipazione ai partiti, uso degli istituti di democrazia diretta (referendum e leggi di iniziativa popolare), iniziative delle organizzazioni di cittadinanza attiva nel campo della tutela di diritti, della cura di beni comuni e dell’empowerment di soggetti in condizioni di debolezza o marginalizzazione, mobilitazione nei luoghi pubblici, molteplicità di forme di partecipazione digitale, iniziative istituzionali di “democrazia partecipativa”.

Conducendo questo esercizio si è dovuta registrare una drammatica carenza di dati e informazioni, paradossalmente anche su aspetti che sono al centro del dibattito pubblico, come ad esempio l’educazione civica nelle scuole o le forme di consultazione dei cittadini da parte delle istituzioni. A tale carenza il gruppo di ricerca ha fatto fronte nei limiti delle sue possibilità, ma resta il problema di una disattenzione della comunità scientifica per la materialità di fattori rilevanti connessi alla cittadinanza.

Il volume non mira a proporre un bilancio dello stato della cittadinanza in Italia; quanto a mettere a disposizione di ricercatori, osservatori e protagonisti una mappa delle frontiere e dei confini di questo fenomeno, così da renderlo osservabile nello spazio e nel tempo, ma anche per agire nella direzione di una sua trasformazione in senso progressivo. Se la cittadinanza, infatti, è tutt’altro che un’isola felice, quanto piuttosto un’arena di conflitti, è proprio questa sua natura a renderla un luogo di cambiamento, nel quale tutti hanno una parte da giocare.

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