ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 218/2014

30 Giugno 2024

Tanti robot e bassa crescita: contraddizione interna al capitale nazionale?

Paolo Maranzano e Roberto Romano esaminano il rapporto tra investimenti in macchinari - in particolare in robotica industriale - e crescita economica utilizzando vari indicatori relativi ai paesi europei e agli USA. Con riferimento all’Italia gli autori trovano che a causa della specializzazione produttiva e della bassa intensità tecnologica gli investimenti sono diretti non ad intercettare nuova domanda potenziale ma a soddisfare la domanda di sostituzione, e ciò limita l’utilizzo di macchine strumentali a maggiore contenuto tecnico.

L’annuale rapporto della Banca d’Italia ha sottolineato un’informazione economica abbastanza inedita: l’impego di robot industriali, particolarmente diffusi nella produzione di veicoli a motore (pp. 92-93), è cresciuto di oltre 4 volte tra il 1996 e il 2021 e se escludessimo il settore automobilistico (settore in cui l’Italia è pressoché assente, vedi Banca Italia p. 92), l’industria manifatturiera italiana risulterebbe la più automatizzata tra i principali paesi europei (Figura 1). 

Questo dato, che riflette la specializzazione delle aziende italiane nella produzione di componenti, è particolarmente alto per gli apparecchi elettrici, i macchinari e i prodotti in metallo, alimentare e farmaceutico, In questi casi il numero di robot installati, inizialmente contenuto, è cresciuto nell’ultimo decennio a un ritmo più sostenuto rispetto agli altri paesi. Sempre nel rapporto della Banca d’Italia si legge che “in media per le quattro maggiori economie dell’area (Francia, Germania, Spagna e in parte Italia), i settori che tra il 1996 e il 2021 hanno incrementato di più l’automazione hanno avuto una crescita del numero di occupati e della produttività in linea con quella degli altri comparti”, mentre in Italia aumenta la produttività ma non l’occupazione (p.93).

Figura 1: Utilizzo dei robot nei principali paesi dell’area euro

Fonte: Relazione annuale della Banca Italia 2023 (pag. 93)

Questa maggiore produttività non sembra, però, concorrere alla crescita del PIL italiano, tanto più se consideriamo che il sistema delle imprese nazionale destina il 7,5% del Pil (2022) per l’acquisto di beni strumentali. Una spiegazione plausibile risiede nella minore intensità tecnologica degli investimenti data dal rapporto tra spesa in Ricerca e Sviluppo (R&S) e investimenti in macchinari, sistematicamente più contenuta rispetto a quella dei Paesi europei considerati.

Dinamica e struttura dell’economia italiana. Le questioni di cui sopra possono spiegare la minore crescita del PIL in Italia rispetto alle principali economie europee e agli Stati Uniti (US). La figura 2 considera la crescita del PIL a prezzi costanti tra il 2000 e il 2022. L’Italia è, tra i Paesi analizzati, quella che cresce di meno e che, con il passare degli anni, accumula ritardi importanti. Come è possibile conciliare questo dato con l’informazione fornita dalla Banca di Italia? 

Fonte: elaborazione su dati OCSE.STAT

Per quanto riguarda la più generale dinamica degli investimenti in macchinari, come sostenuto dalla Banca d’Italia, non sono mai venuti meno (Figura 3). Come già ricordato, gli investimenti in macchinari dell’Italia sono tra i più alti dei Paesi europei e degli US, al netto della caduta verticale del 2008 in ragione della crisi internazionale (subprime) e di quella del 2013-2015 relativa ai debiti sovrani. Gli investimenti in macchinari nazionali in rapporto al PIL sono maggiori di quelli della Francia e soprattutto, nel 2022, degli US e della Germania. Si tratta di un risultato importante che in parte contraddice la narrazione della bassa propensione agli investimenti delle imprese italiane. Destinare il 7,5% del PIL in beni capitali nel 2022 rispetto al poco meno del 7% di Germania e US è, in fondo, segno di vitalità economica. 

Fonte: elaborazione su dati OCSE.STAT

In qualche misura, la domanda di beni capitali delle imprese italiane è condizionata dal vincolo tecnologico dell’offerta sempre delle imprese italiane. In effetti, sebbene valga sempre il principio della domanda effettiva, la politica di domanda non è sempre efficace: ci sono circostanze (solo per fare un esempio noto, l’agricoltura o la disponibilità di conoscenza intesa come spesa in Ricerca e Sviluppo) in cui la rigidità dell’offerta è tale per cui qualunque politica della domanda non solo non è efficace, ma produce inflazione o una dipendenza tecnologica (M. Kalecki, Theory of Economic Dynamics, New York, Rinehart, 1954; S. Lucarelli, D. Palma, R. Romano, Quando gli investimenti rappresentano un vincolo, Moneta e Credito, 2013). In altri termini, domanda e offerta sono due facce della stessa medaglia ed è necessario studiare caso per caso, pragmaticamente, quali sono i vincoli concreti allo sviluppo di un Paese (o di un’area economica), per poi utilizzare in modo complementare sia le politiche di domanda e sia le politiche di offerta allo scopo di rimoverli. 

Crescita e conoscenza. Il contenuto tecnologico degli investimenti e della produzione potrebbe spiegare cosa si nasconde dietro la minore crescita del PIL nazionale. Infatti, con il passare degli anni lo sviluppo è diventato via via sempre più orientato dalla conoscenza. Tra gli indicatori che si possono utilizzare per valutare il ruolo e il peso specifico della conoscenza, consideriamo: spesa per R&S in rapporto al PIL; il rapporto tra vendite e spesa per R&S; il rapporto tra gli investimenti in macchinari e la spesa BERD (R&S delle imprese). Tutti questi indicatori riflettono il contenuto tecnologico della struttura economica e il peso specifico della ricerca all’interno del sistema economico di un Paese.

Se utilizziamo la spesa in R&S in rapporto al PIL (Figura 4), si osserva come la spesa BERD nazionale sia sistematicamente più contenuta di quella di Germania, Francia e US. In generale, la spesa nazionale in ricerca e la potenziale innovazione tecnologica sottesa a questa spesa sembrano insufficienti a guidare la crescita economica e lo sviluppo. 

Fonte: elaborazione su dati OCSE.STAT

Se guardiamo invece al secondo indicatore, rapporto tra vendite (produzione in questo caso) e spesa in R&S BERD (Figura 5), è possibile osservare come e quanto Germania e Italia, cioè i principali paesi manifatturieri europei, abbiano una intensità tecnologica stabile e relativamente bassa nel tempo, mentre quella degli US e in parte quella della Francia sono cresciute nel tempo.

Fonte: elaborazione su dati OCSE.STAT

Se consideriamo il rapporto tra investimenti in macchinari e spesa in R&S BERD (Figura 6), i valori cambiano di segno: la Germania rimane tra i Paesi più virtuosi, seguita a ruota dagli US e dalla Francia, mentre l’Italia resta distante dalle performance dei Paesi menzionati. 

Fonte: elaborazione su dati OCSE.STAT

Domanda e offerta di macchinari. La struttura quali-quantitativa industriale di un Paese potrebbe aiutare la comprensione del fenomeno indagato. Se il cambiamento tecnologico svolge un ruolo fondamentale per frenare la tendenza allo stato stazionario del capitale e, quindi, mutare radicalmente le condizioni dei lavoratori che si trovano ad affrontare una temporanea disoccupazione tecnologica, è pur vero che nel corso di questi ultimi vent’anni la dinamica della produzione industriale aggregata è rimasta stabile o diminuita in misura importante. L’Italia, diversamente da Germania e US perde (per sempre) un quarto della produzione industriale aggregata durante la crisi del 2008, mentre la componente legata alla produzione di macchine industriali sembra tenere le proprie posizioni, sebbene con un certo distacco dalla Germania (figura 8), ma rimane comunque condizionata dall’intensità tecnologica (figura 3).

Fonte: elaborazione su dati OCSE.STAT

Fonte: elaborazione su dati OCSE.STAT

Considerazioni finali. La specializzazione produttiva dell’attuale struttura economica nazionale, per lo più fondata su settori tradizionali (P. Maranzano, A.M. Variato, R. Romano, “Politica economica ed evoluzione di struttura: una comparazione europea attraverso gli arcipelaghi settoriali”, Economia & Lavoro, 2022), condiziona la produzione e il contenuto tecnologico dei beni strumentali: da un lato gli investimenti in macchinari riducono i costi produzione quando la domanda è stagnante o decrescente; dall’altro la specializzazione produttiva non permette di dotarsi di beni strumentali ad alta intensità tecnologica che potrebbero soddisfare la domanda potenziale legata ai settori emergenti (R. Romano e S. Lucarelli, cit, p. 120). 

Sebbene gli investimenti siano sempre realizzati per aumentare e/o conservare un certo tasso di profitto, gli investimenti finalizzati alla riduzione dei costi di un settore sono diversi dagli investimenti che hanno lo scopo di aumentare la base produttiva per soddisfare una domanda crescente e quindi permettere una maggiore crescita del Pil.

La specializzazione produttiva del Paese condiziona, quindi, la dotazione tecnica dei robot, mentre la minore intensità tecnologica (R&S/Investimenti in macchinari) nazionale rispetto agli altri Paesi considerati rende evidente quanto sia complicato realizzare macchine strumentali a maggiore contenuto tecnico. 

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