ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 218/2014

30 Giugno 2024

Il ritorno dei dazi 

Luca Salvatici analizza il ritorno dei dazi doganali come strumento di politica commerciale, reso attuale dalle recenti misure adottate dagli USA e dall'UE nei confronti delle importazioni di veicoli elettrici dalla Cina. Salvatici ricorda che i dazi proposti dalla Commissione UE sono differenziati sulla base del sostegno pubblico alle singole aziende e probabilmente influenzeranno gli investimenti più che le importazioni e osserva che il compito della UE di disegnare una politica industriale per un settore strategico non è facile.

Non è passato molto tempo da quando i dazi doganali venivano considerati uno strumento di politica economica ormai irrilevante. Dopo il consolidamento e la riduzione ottenuti attraverso varie tornate negoziali del GATT e la stipula di molteplici accordi regionali, i dazi sembravano una barriera commerciale di minore rilevanza rispetto a quella, crescente, delle misure non-tariffarie.

Le guerre commerciali scatenate dall’amministrazione Trump hanno cominciato a riportare i dazi al centro del dibattito e la tendenza non si è modificata con l’amministrazione Biden. Poche settimane addietro gli Stati Uniti hanno aumentato drasticamente le tariffe sulle importazioni cinesi relative ad alcuni settori ‘strategici’. In particolare, si è deciso di quadruplicare la tariffa sui veicoli elettrici cinesi portandola al 100 per cento.

Negli ultimi giorni i dazi sono tornati al centro dell’attenzione anche della Commissione UE, non per eliminare quelli residui, ma per imporre una serie di dazi allo scopo di compensare gli effetti sulla concorrenza dei sussidi ricevuti dalle aziende che producono veicoli elettrici in Cina. I nuovi dazi europei sono mediamente assai più bassi e più articolati di quelli statunitensi in quanto sono commisurati al sostegno di cui avrebbero beneficiato i produttori cinesi. La Commissione UE ha inviato richieste di collaborazione a tutti i produttori di veicoli elettrici e tra quelli che hanno accettato di collaborare ne ha selezionati tre (BYD, Geely e SAIC) per stimare il sostegno ricevuto da ciascuna impresa. Sulla base dei risultati di tale indagine, la Commissione ha proposto dazi del 17,4% per BYD, del 20% per Geely e del 38,1% per SAIC. Per tutte le altre aziende che hanno accettato di collaborare con la l’UE si prevede l’imposizione di una tariffa intermedia (del 21%) mentre nei confronti dei produttori che hanno rifiutato di collaborare si dovrebbe applicare il dazio più elevato (38%) 

Vale la pena di sottolineare che la motivazione fa riferimento alle misure adottate dal paese esportatore, in questo caso la politica industriale cinese nel settore dei veicoli elettrici, ma trattandosi di misure di ‘salvaguardia’ i dazi sono differenziati a livello aziendale nell’ambito della stessa linea tariffaria bilaterale. Questo li rende significativamente diversi da quelli statunitensi che si applicano a livello bilaterale (ovvero non discriminano tra aziende diverse) e non sono quantificati su base analitica.

E’ bene anche ricordare che i dazi di salvaguardia possono avere motivazioni assai diverse e la categoria della vendita sotto-costo (dumping), che pure è stata evocata da più parti, non si applica in questo caso. Il dumping, infatti, prevede che un’azienda esporti un prodotto a un prezzo inferiore rispetto a quello che normalmente applica nel proprio mercato interno. Nel caso dei veicoli elettrici la situazione è diametralmente opposta: le auto cinesi vengono vendute in Europa a prezzi (più che) doppi rispetto al mercato nazionale.

Sebbene alcuni (https://www.ifw-kiel.de/publications/news/eu-tariffs-against-china-redirect-trade-of-evs-worth-almost-usd-4-billion/) abbiano previsto effetti significativi sui volumi di auto importati nell’UE, con riduzioni fino al 20%, la maggior parte dei commentatori ritiene che la competitività dei produttori cinesi non sarebbe intaccata dalle nuove misure. In effetti le differenze di prezzo tra il mercato europeo e quello cinese sono difficilmente spiegabili sulla base del livello dei dazi attualmente esistenti (10%). Esistono evidentemente altre barriere – ad esempio in termini di vincoli sulla capacità di trasporto che limitano la possibilità di soddisfare la domanda –  in grado di spiegare i differenziali di prezzo e in tal caso è plausibile che i nuovi dazi vengano assorbiti semplicemente riducendo l’ampio margine di profitto (o, meglio, la rendita) sul mercato europeo, senza effetti sui prezzi e sulle quantità, dunque sui consumatori. 

Tutto ciò, però, non vuol dire che non vi siano effetti distributivi. Se non saranno i consumatori europei, chi pagherà il costo dei nuovi dazi? Non conosciamo la distribuzione della rendita generata dalla differenza di prezzo tra Cina e UE ma guardando a chi si oppone alla decisione preliminare della Commissione UE sembrerebbe che i soggetti danneggiati non abbiano esclusivamente il passaporto cinese. Ad esempio, le importazioni provenienti da produttori europei con stabilimenti in Cina, come Mercedes e Renault, saranno sottoposte al dazio intermedio (21%).

La distribuzione dei costi è anche rilevante per valutare quali saranno le reazioni del governo cinese. In teoria potrebbe contestare l’eventuale decisione definitiva dell’UE presso la WTO ma la possibilità di risolvere le controversie in ambito multilaterale è assai ridotta a seguito dell’ostruzionismo praticato dagli USA. In pratica si avvieranno trattative bilaterali ma nel frattempo il governo cinese ha già annunciato alcune rappresaglie, in particolare l’apertura di un’indagine antidumping sulle esportazioni di carne suina da parte dell’UE. La scelta di un prodotto alimentare può essere spiegata sulla base di considerazioni politiche, vista la rilevanza della lobby agricola comunitaria, o economiche, visto che i prodotti venduti sul mercato cinese avrebbero difficoltà a trovare sbocchi commerciali alternativi. E’ però indicativo dei cambiamenti intervenuti nella divisione internazionale del lavoro il fatto che l’UE e gli USA colpiscano esportazioni cinesi di prodotti ad alto contenuto tecnologico, mentre le ritorsioni riguardino spesso esportazioni europee o statunitensi di prodotti del settore primario.

In aggiunta agli effetti di breve periodo occorre considerare quelli a più lungo termine derivanti da possibili cambiamenti nelle scelte di investimento. E’ di questi giorni la notizia che Stellantis trasferirà la produzione di alcuni veicoli elettrici di marca cinese in Europa. Si potrebbe pensare che si tratta di un segnale di come le case automobilistiche stiano cambiando la loro strategia globale dopo l’annuncio dei dazi compensativi. D’altra parte, le aziende cinesi avevano iniziato a investire massicciamente nella produzione di automobili e batterie in Europa anche in assenza di nuovi dazi. Si tratta di un comportamento coerente con la consapevolezza dell’esistenza di un vincolo sul numero dei veicoli esportabili e non dipenderebbe quindi dalle modifiche nella politica commerciale dell’UE.

I dubbi sull’efficacia dei dazi europei e di quelli statunitensi, anche in considerazione della scarsa presenza delle vetture cinesi nel mercato statunitense, lasciano comunque aperta la questione della loro possibile giustificazione in termini di efficienza. Un recente articolo di Tim Harford apparso sul Financial Times (What zebras can teach us about international trade) affronta l’argomento sulla base dell’analogia tra complessità trofica ed economica. In ecologia, i livelli trofici rappresentano le fasi gerarchiche in una catena alimentare, partendo dai produttori primari (come le piante) alla base, seguiti dai consumatori primari (erbivori), dai consumatori secondari (carnivori), e così via fino ai predatori all’apice. Ogni livello dipende dal livello sottostante per energia e nutrienti. In termini economici, la complessità si riferisce all’interdipendenza dei diversi settori industriali all’interno di un’economia, che possono essere concepiti come strati o livelli, simili a quelli trofici in un ecosistema.

L’articolo di Hartford rimanda a una letteratura che evidenzia come le industrie ad alto livello trofico abbiano la possibilità di migliorare la propria efficienza più rapidamente. Un’industria senza fornitori ha solo una possibile fonte di miglioramento tecnologico, sè stessa. Un’industria con una profonda catena di fornitura trae vantaggio dal miglioramento di una qualsiasi azienda in quella catena. In quest’ottica sarebbe giustificato sostenere, con sussidi e/o dazi, i settori con un più alto livello trofico in termini economici come, ad esempio, i veicoli elettrici.

L’analogia coglie alcuni elementi rilevanti, in particolare il fatto che nell’ambito delle catene globali del valore alcuni fasi della produzione sono più rilevanti di altre per i benefici che possono garantire ai settori economici a monte e a valle. D’altra parte non siamo certi che tali benefici verranno trasferiti lungo la catena in quanto il sistema economico non è soggetto a meccanismi automatici come l’operare ineluttabile della selezione naturale. I ‘rami secchi dell’evoluzione’ possono sopravvivere nel tempo e chi ottiene dei miglioramenti può riuscire a non condividere i benefici dell’innovazione.

In conclusione, l’Unione Europea ha il dovere di provare a dotarsi di una politica industriale che indirizzi e sussidi la produzione in determinato settori. Occorre però essere consapevoli che si tratta di un compito difficile: nella giungla dell’economia c’è sempre il rischio di perdere l’orientamento.

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