ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 206/2024

5 Gennaio 2024

L’Europa “oltre” Cop28: quali traiettorie?

Luciano Pilotti riflette sulle connessioni tra le conclusioni di Cop28 e il quadro di sostenibilità delle politiche industriali europee, sostenendo che non potranno essere orientate soltanto a rendere operative le soluzioni per la cattura della CO2, ma dovranno utilizzare tutti gli strumenti, anche di tassazione del contenuto di carbonio delle importazioni (CBAM), per accelerare la transizione energetica in un rinnovato quadro di cooperazione e di compensazione dei paesi in via di sviluppo.

Per alcuni la Cop 28 è stato un mezzo successo, per altri un mezzo fallimento. In realtà, il suo esito è un compromesso tra coloro che chiedevano di indicare una data certa di uscita dai fossili (ambientalisti) e coloro che preferivano una uscita più graduale (petro-produttori). Il compromesso è stato trovato by-passando il concetto di phase-out attraverso la formulazione di transitioning away e quindi lasciando più flessibilità e spazio adattativo alle azioni dei singoli paesi verso la decarbonizzazione al 2030 e la soglia di Zero Emissioni al 2050, necessaria per tenere vivi gli obiettivi dell’Agenda di Parigi 2015 di un aumento della temperatura contenuto entro 1,5° rispetto all’era pre-industriale. 

Il compito è, però, arduo. Infatti, non possiamo nasconderci le difficoltà che minano il percorso verso la neutralità carbonica delle emissioni. Il Global Carbon Budget 2023 mostra il dato estremamente negativo del confronto tra le stime delle emissioni CO2/anno/mondo di quasi 37 mld tonn. (+1,1% su 2022 e verso 41 mld tonn. nel 2023) e con solo 10000 tonn./anno CO2 rimosse dall’atmosfera, una goccia nell’oceano. La CO2 atmosferica media di 419,3 parti/per milione nel 2023 è al +51% rispetto al periodo preindustriale (Figura 1). 

Figura 1

Fonte : IPCC, Report UN, 2023

Pur registrando una diminuzione in USA ed Europa, la velocità di riduzione dei combustibili fossili è insufficiente e (probabilmente) inappropriata. L’IPCC sostiene che a questa velocità di riduzione delle emissioni dovremo fare tagli draconiani (per profondità e diffusione) per mantenere la probabilità al 50% di tenere la rotta verso lo Zero Netto, al fine di centrare l’obiettivo di un aumento delle temperature limitato a 1,5°.

E tutto ciò ha naturalmente effetti sulle temperature che, come mostra la Fig. 2, sono in continuo aumento 

Figura 2

La rimozione tecnologica di CO2 ammonta a solo 0,01 tonn., che è 1 milione di volte inferiore alle attuali emissioni. Dunque non potremo lasciare il sistema inalterato pensando esclusivamente a soluzioni tecnologiche come la cattura e lo stoccaggio di CO2 (Eni vuole stoccare 50 milioni di tonnellate di CO2 l’anno), che sono solo uno strumento transitorio come giustamente sostiene l’UE, ma dovremo accelerare (anche oltre la triplicazione) sull’espansione delle rinnovabili in un quadro di alleanze climatiche mondiali.

Gli strumenti di rimozione della CO2 in atmosfera non sono sufficienti ad allineare emissioni ed assorbimento come analizzato su MIT Technology Review (2023), e ci vorrà molto tempo per registrare sviluppi significativi. Per questo, nel frattempo, servono azioni legate alla decarbonizzazione perché la cattura del carbonio può solo ridurre le quantità di CO2 iniettate in atmosfera (catturata dai fumi emissivi di aziende e istituzioni e poi sotterrata o anche usata in agricoltura o edilizia), mentre la rimozione del carbonio punta a rimuovere effettivamente la CO2 per periodi più lunghi, per esempio con progetti di riforestazione o riduzione del consumo di suolo a prescindere dalla sua origine. Strumenti utili, con la crescita delle rinnovabili, ad accompagnare l’eliminazione dei sussidi alle fonti fossili in una ottica di neutralità tecnologica per dare concretezza al compromesso sulla “transitioning away” con cui si è chiusa la Cop 28. 

In tale contesto ha rilievo anche il progetto UE pilota guidato dall’ENEA per l’allineamento dei Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima (PAESC) adottati dagli enti locali attraverso i principi di Energy Efficiency First da estendere poi ai 27 paesi dell’Unione e che potrà cambiare gli stessi criteri costruttivi degli edifici. Una traiettoria supportata dalla Direttiva UE sulle comunità energetiche e che favorirà ulteriormente cittadini e PMI in un quadro di “cooperazione di cittadinanza” tra tecnologie rinnovabili e territori. Ricordando che l’impatto zero è possibile come dicono alcuni studi di frontiera (MIT, Harvard, LBS, Bocconi, BEI) rendendo meno costose le tecnologie di accumulo per superare l’intermittenza delle rinnovabili aiutandosi nella transizione con le fonti fossili meno inquinanti.

Al di là di questo, si è usciti da Cop 28 con la consapevolezza implicita (in sè positiva) che occorre un’accelerazione per affrontare la contraddizione tagliente, tra l’area europea (allargata al Nord-America), dove si discute di “fuoriuscita dai combustibili fossili”, e un’area “Extra-UE” che include realtà complesse caratterizzate da povertà diffusa e mancata crescita (e ciò vale in Cina e India che mostrano i tassi di crescita globali più rilevanti) e dove la situazione peggiorerebbe molto se si rinunciasse alle materie prime energetiche fossili senza adeguate compensazioni. E a peggiorare le prospettive concorre un quadro geopolitico planetario instabile e incerto, con una parte del mondo arabo e dell’Africa in ebollizione, che non è azzardato definire di perma-crisi,. È l’ISPI (Istituto degli studi di politica internazionale – 2023) a segnalare la mobilitazione degli Emirati Arabi Uniti – che comunque restano il il settimo produttore mondiale di petrolio e il quinto per riserve di gas – nella ricerca di traiettorie di “uscita non-Oil” in particolare con l’esplorazione delle vie dell’idrogeno ( blu, grigio e verde): 28 progetti sono in fase di avvio e 7 di essi già finanziati. D’altro canto, in Africa si punta su un’agricoltura a basse emissioni e a basso consumo d’acqua e su progetti infrastrutturali, per esempio, di ripiantumazione massiva e su larga scala per contrastare la desertificazione proprio sulla linea prossima all’equatore. 

Gli impatti della Cop28 sulla strategia industriale europea dipenderanno allora dagli esiti dei negoziati tra i paesi partecipanti per mettere a terra quanto concordato a Dubai, seppure su base volontaria, confrontandosi nei prossimi mesi e anni sui temi chiave, monitorando obiettivi, strumenti e risultati oltre che gli aggiustamenti

La strategia industriale europea potrebbe essere influenzata dalla Cop28 in diversi modi, a seconda dei risultati dei negoziati bilaterali e multilaterali che ne deriveranno. Alcune possibili implicazioni sono:

• Se la Cop28 nel tempo (già a partire dalla Cop 29 a Baku in Azerbaigian) riuscirà a stimolare un’azione climatica accelerata più ambiziosa e coordinata a livello globale, la strategia industriale europea potrebbe beneficiare di un maggiore livello di concorrenza leale e di cooperazione tra i partner commerciali dell’UE, che potrebbero adeguare le loro politiche industriali e ambientali agli standard europei mediante la convergenza sia sulle qualità sostenibili dei prodotti che dei mercati del lavoro.

• Se gli impegni della Cop28 riusciranno a mobilitare maggiori risorse finanziarie e tecnologiche per sostenere i paesi in via di sviluppo nella loro transizione ecologica e digitale, la strategia industriale europea potrebbe cogliere l’opportunità di ampliare i suoi mercati e di rafforzare la sua leadership globale nel settore delle tecnologie verdi e digitali, offrendo soluzioni innovative e sostenibili ai problemi climatici ed energetici e dunque anche nel governo delle migrazioni.

• Se la Cop28 dovesse invece rallentare il suo cammino lungo gli accordi raggiunti per un efficace e vincolante impegno sul clima, la strategia industriale europea si troverebbe ad affrontare il rischio di una maggiore concorrenza sleale e di una fuga di carbonio da parte di paesi che non si impegnano a ridurre le loro emissioni aprendo ad una balcanizzazione dei conflitti in presenza di aggravamento degli eventi estremi e di migrazioni per ragioni climatiche e dunque economiche. 

Uno dei meccanismi che potrà essere utilizzato per accelerare la transizione ecologica digitale è l’adeguamento al carbonio alle frontiere (CBAM) come “leva di convergenza” tra paesi eccedentari e paesi deficitari nella riduzione delle emissioni. Il meccanismo CBAM, proposto dalla Commissione europea per creare condizioni di parità tra i produttori dell’UE e dei paesi terzi, impone un prezzo del carbonio su determinati prodotti importati nell’UE. Il CBAM mira a ridurre il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, cioè lo spostamento della produzione verso paesi con norme ambientali meno rigorose, e a incentivare una produzione industriale più pulita e sostenibile a livello globale. Dunque, contrastando quanto avvenuto nei 50 anni precedenti.

Il CBAM si applicherà a un numero limitato di prodotti ad alta intensità di carbonio, come cemento, acciaio, alluminio, fertilizzanti, elettricità e idrogeno. Gli importatori di queste merci dovranno pagare una tassa basata sulle emissioni di gas serra incorporate nelle loro importazioni, calcolate secondo una metodologia definita dalla Commissione. Il prezzo del carbonio sarà allineato a quello del sistema di scambio di quote di emissione dell’UE (ETS), che è il principale strumento dell’UE per ridurre le emissioni dei settori industriali e energetici, diventando di fatto un meccanismo di compensazione delle “distorsioni” innescate proprio dagli ETS che tendevano a stabilizzare il processo di emissione da parte dei “grandi inquinatori” invece che a ridurne il potenziale. Avremo una introduzione graduale, da una prima fase transitoria tra 1° ottobre 2023 e 31 dicembre 2025, durante la quale gli importatori dovranno solo comunicare le informazioni sulle emissioni incorporate nelle loro importazioni, senza effettuare pagamenti. Per poi entrare in una seconda fase a partire dal 2026, dove il CBAM sarà pienamente operativo e sostituirà progressivamente l’assegnazione gratuita di quote di emissione all’industria europea, che era stata introdotta per evitare la fuga di carbonio. 

Con il CBAM si avrà una leva fondamentale per la realizzazione del pacchetto “Pronti per il 55%”, cioè il piano UE per raggiungere l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, in linea con l’Accordo di Parigi 2015 sul clima. Il CBAM è anche allineato con il Green Deal Europe, che rappresenta la visione dell’UE per una transizione ecologica e digitale che garantisca prosperità, salute e qualità della vita dei cittadini europei, ma in una prospettiva di “Grande Convergenza” con i paesi partner non europei più poveri, africani e asiatici, e dunque tesa a ridurre le diseguaglianze con logiche inclusive condivise.

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