ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 188/2023

26 Febbraio 2023

Giorgio Ruffolo e le speranze del riformismo italiano

Daniele Archibugi rende omaggio a Giorgio Ruffolo scomparso il 16 febbraio ricordando non soltanto il suo intenso impegno politico, ma anche le sue esperienze professionali e i numerosi brillanti saggi di cui fu autore. Ruffolo è stato un lucido e coerente esponente del socialismo riformista italiano, che ha legato il suo nome anche alla programmazione e all’ambiente, cui dedicò il proprio impegno già a partire dai primi anni ’80.

Con Giorgio Ruffolo scompare uno degli ultimi e più lucidi esponenti del socialismo riformista italiano. Il riformismo da lui propugnato, di fatti e non di proclami, è stata una corrente politica sempre minoritaria in Italia, anche se è riuscita a dare un singolare impulso alla politica e alla politica economica italiana. E ha costituito nei successi, ma anche nei fallimenti, la coscienza critica migliore del nostro Paese.

Nato nel 1926 a Roma in una famiglia di intellettuali calabresi, Ruffolo si affaccia giovanissimo sulla scena politica italiana. Lo deve anche ai suoi fratelli maggiori Nicola e Sergio, entrambi partigiani, arrestati e rinchiusi nella prigione nazista di via Tasso a Roma comandata da Herbert Kappler e in modo diverso miracolosamente scampati alla deportazione e alla fucilazione. Durante i nove mesi dell’occupazione nazista di Roma (9 settembre 1943 – 4 giugno 1944), Giorgio, appena diciassettenne, sviluppa i suoi primi convincimenti politici per iscriversi l’anno successivo alla rinata Federazione giovanile socialista, dove incontrò Leo Solari e altri membri della Fgs come Sergio Milani e mio padre Franco, destinati ad essergli amici per tutta la vita.

Sono gli anni difficili della ricostruzione e, a guerra appena finita, della risorta guerra fredda, con scelte di campo da intraprendere. Nel 1947, la Federazione giovanile socialista, fortemente anti-stalinista, si oppone al fusionismo del Psiup di Pietro Nenni e aderisce al Partito socialista dei lavoratori italiani (poi Psdi) di Giuseppe Saragat. Negli stessi anni, Ruffolo e altri giovani socialisti (molti dei quali provenienti dalla Fgs) fondano la Sezione italiana della IV Internazionale, venendo progressivamente meno l’impegno nel partito di governo. È la stagione in cui Giorgio è incerto tra le sue aspirazioni rivoluzionarie, che si ritrovano ad esempio negli articoli che firma con lo pseudonimo di Marcello Arienti sul periodico Bandiera rossa dei Gruppi comunisti rivoluzionari trotskisti, e la sua indole riformista.

Le sue esperienze professionali – all’Ufficio Studi della Banca Nazionale del Lavoro e all’Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea (OECE, poi OCSE) di Parigi lo portano sempre più sulla via del riformismo fino a quando Enrico Mattei lo chiama all’Eni, l’emergente impresa pubblica italiana. Avrebbe potuto anche lui viaggiare in quel famoso bimotore dove trovò la morte Mattei. Dopo la tragica e ancora oggi misteriosa scomparsa di Mattei, lascia l’Eni per ricoprire, a soli 36 anni, la direzione dell’Ufficio del Programma chiamato dall’allora Ministro del Bilancio e della Programmazione Economica su richiesta del Ministro repubblicano Ugo La Malfa, per diventare successivamente Segretario generale della Programmazione.

Ricoprì quell’incarico per quasi un decennio nei vari governi di centro-sinistra, dando una sterzata all’idea della programmazione economica in Italia. È questo il primo impegno riformista che affronta Ruffolo, aiutato da un gruppo di economisti, tra i quali Giorgi Fuà e Paolo Sylos Labini, che credono fermamente nella programmazione. Nel 1965 viene approvato dal Ministero del Bilancio il Programma di sviluppo economico per il quinquennio 1965-69, che fu ironicamente battezzato da Amintore Fanfani “il libro dei sogni”, un epiteto destinato a diventare quasi la carta d’identità della sua carriera pubblica. Giorgio si appropriò, con la sua consueta ironia, di questa definizione, giacché era consapevole che i tentativi di usare la programmazione come la spina dorsale della politica economica e territoriale dell’Italia era destinata a fallire perché “disarmata”, e di qui ne seguirono le sue dimissioni, condite da un accorato resoconto-denuncia sui pochi successi ottenuti e i molti fallimenti (Rapporto sulla programmazione, Laterza, 1973).

Fu in quel periodo che si riavvicinò al Partito socialista italiano ed in particolare alla corrente di Antonio Giolitti, che chiamava a raccolta molti intellettuali desiderosi di contribuire ad una trasformazione progressista del Paese.

Abbandonata la programmazione, Giorgio è sempre più partecipe all’agone politico nel Partito socialista, nella corrente giolittiana prima e in quella lombardiana poi. È del 1976 il lavoro collettivo Progetto socialista (Laterza, 1976), dove Ruffolo chiama a raccolta autori quali Luciano Cafagna, Giuliano Amato, Francesco Alberoni, Corrado Serra, Roberto Guiducci e Altiero Spinelli, dì lì a poco presentato, insieme a Giuliano Amato, come programma del Psi.

Alle prime elezioni dirette per il Parlamento europeo del 1979, si presenta candidato nel Collegio del Mezzogiorno per poi passare nel 1983 alla Camera dei deputati e poi al Senato della Repubblica dal 1983 al 1994. Sono gli anni dell’impegno politico diretto nella Direzione del Partito socialista, come oppositore dei metodi craxiani ma anche in fondo d’accordo con il tentativo di conquistare una autonomia socialista tra comunisti e democristiani dopo il cosiddetto bipolarismo imperfetto che si era affermato nelle elezioni del 1976. 

Già all’inizio degli anni ’80 del XX secolo, Giorgio si appassiona alla questione ambientale, riflette sull’inadeguatezza degli indicatori economici tradizionali, a cominciare dal Prodotto interno lordo, per descrivere il benessere sociale. Quando nel 1987, Craxi lo indica per il Ministero dell’Ambiente, inizia una nuova stagione riformista di Ruffolo, in cui si impegna per un quinquennio con tutta la sua tempra, riuscendo a incassare, in un paese ancora distratto sulla questione ambientale, importanti risultati.

Alla fine della seconda repubblica e con crisi del Partito socialista, Giorgio fu costretto a scegliere e si avvicina sempre di più, come Valdo Spini, al Partito democratico della sinistra e poi ai DS nati dalle ceneri del vecchio Pci. Torna così al Parlamento europeo per due legislature, dove può far valere gli ideali europeisti e internazionalisti della sua gioventù.

Giorgio non è stato solo un amministratore e un politico, ma un infaticabile animatore di attività economiche e culturali. Grazie al suo pollice verde, nel 1981 fonda il Centro Europa Ricerche, avvalendosi della collaborazione di economisti quali Antonio Pedone e Luigi Spaventa, che diventa anche una fucina di giovani studiosi destinati ad affermarsi nell’amministrazione pubblica. Nel 1986 fonda la rivista Micromega, avvalendosi della collaborazione di Paolo Flores d’Arcais e Lucio Caracciolo, che per decenni è stata una tribuna cruciale di dibattito politico, economico e culturale. Grazie alla sua amicizia con Eugenio Scalfari e Mario Pirani, è stato un assiduo collaboratore di Repubblica sin dalla sua fondazione, diventando una voce autorevole del dibattito politico ed economico.

Lettore vorace e onnivoro, dotato di una penna brillante, non si è limitato ad essere un editorialista: ha anche scritto numerosi saggi di economia pubblicati da Laterza e da Einaudi, sempre in bilico tra il rigore accademico e il desiderio di interloquire con un vasto pubblico. Troppi i suoi libri per essere ricordati tutti, ma ne voglio menzionare almeno quattro: 

La qualità sociale. Le vie dello sviluppo (Laterza, 1985), un precoce tentativo di combinare il dibattito sulle trasformazioni del welfare state con l’emergente questione ambientale. Ricordo bene il dibattito che quel libro suscitò (ebbi il piacere di recensirlo per Rinascita), anche perché uno degli ultimi saggi del suo amico Federico Caffè (Umanesimo del welfare, pubblicato su Micromega nel 1986) ne conteneva una sottilissima critica.

Cuori e denari. Dodici grandi economisti raccontati a un profano (Einaudi, 1999), un libro dove dava prova della sua grande erudizione insieme ad una scrittura agevole e spiritosa.

Il capitalismo ha i secoli contati (Einaudi 2008), dove fa i conti con le sue giovanili idee marxisteggianti sulla imminente crisi finale del capitalismo, per convincere il lettore che l’economia di mercato deve essere guidata dai pubblici poteri, e che a ciò devono aspirare gli ideali socialisti (da lui mai rinnegati).

Un paese troppo lungo. L’unità nazionale in pericolo (Einaudi, 2009), dove fa i conti con le origini storiche delle differenze tra Nord e Sud, nella certezza che solo una Italia unita sarebbe riuscita ad affermarsi in Europa e nel mondo.

A questi quattro saggi, bisogna aggiungere Il libro dei sogni. Una vita a sinistra (Donzelli, 2007), una agile e scanzonata riflessione sulla sua vita e i suoi compagni di strada.

Il mio ricordo di Giorgio Ruffolo sarebbe del tutto incompleto se non rammentassi anche il suo straordinario carattere: uomo gioviale, riusciva a combinare un generosissimo cuore calabrese con una intransigenza etica scandinava. Amico da sempre di mio padre e di mia madre, ho avuto il privilegio di conoscerlo bene e di essere amico fraterno dei suoi figli Marco e Silvia. Non posso dimenticare che quando Giorgio, la sua prima moglie Edda e i loro amici venivano a casa da noi, i miei fratelli ed io eravamo combattuti: sapevamo che nei cinema di quartiere impazzavano ottime commedie all’italiana, ma eravamo ugualmente consapevoli che lo spettacolo migliore lo avrebbero offerto Giorgio e i suoi amici. Sceneggiatori mancati perché troppo impegnati nell’arduo tentativo di migliorare almeno un po’ il nostro Paese, nella vita privata discutevano con passione civica delle vicende politiche, economiche, sociali e culturali dell’Italia. Tutto ciò senza alcuna pedanteria, ma al contrario condendo i resoconti con imitazioni alla pari con quelle di Alighiero Noschese e di Sabina Guzzanti. E così, noi ragazzi abbiamo avuto il privilegio di vedere sfilare per casa la sicumera di Amintore Fanfani, la prosopopea di Bettino Craxi, l’affettazione di Gianni Agnelli, la prostrazione di Francesco Cossiga, le sfuriate di Sandro Pertini e tanti altri personaggi

Non si salvavano dal suo sarcasmo neppure le persone a lui più care ma il tutto sempre condito da quella sua gioiosa e incontenibile ilarità che rammentava a chi si prendeva troppo sul serio che, prima o poi, “una risata ci seppellirà”. Oggi, dopo una vita lunga e operosa, con grande dolore abbiamo dovuto seppellire Giorgio Ruffolo, ma il suo ricordo ci rammenta che è doveroso ogni giorno impegnarsi per una Italia più giusta.

Schede e storico autori