ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 203/2023

14 Novembre 2023

La vera malattia economica della Germania*

Peter Bofinger, riferendosi all’espressione usata di recente (e nuovamente) dall’Economist, si chiede per quale motivo la Germania sia ‘il malato d’Europa’. La sua tesi è che, diversamente da quanto sostengono i media e molti economisti, la causa della malattia non sia la burocrazia pubblica con le correlate alte imposte ma una serie di ritardi accumulati dal sistema manifatturiero tedesco, per affrontare i quali occorrono maggiori investimenti pubblici, oggi impediti dalla normativa che vieta la possibilità di finanziarli con il ricorso al debito.

Per la seconda volta, l’Economist ha definito la Germania come “il malato d’Europa”. La prima volta fu nel 1999, quando il Paese soffriva di un’elevata disoccupazione. Ma è discutibile se questa fosse una malattia cronica, piuttosto che l’inevitabile conseguenza del massiccio shock sull’economia dovuto all’unificazione con una Germania Est totalmente improduttiva.

Il fatto che la Germania occidentale, con una popolazione di 61 milioni di abitanti, sia stata in grado di estendere il suo generoso sistema di sicurezza sociale a 16 milioni di tedeschi dell’Est, ricostruendo al contempo le infrastrutture completamente fatiscenti dell’Est, è un’indice della forza della sua economia dell’epoca. Nel 2004 ho scritto un libro, Wir sind besser, als wir glauben (Siamo migliori di quanto crediamo), che contestava la diagnosi negativa sulla competitività tedesca.

Crescita debole. Oggi, però. quella diagnosi sembra più azzeccata. Un’indicazione evidente è la debole crescita dell’economia tedesca. Secondo le ultime previsioni dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Figura 1), la Germania è l’unico Paese, oltre all’Argentina, il cui prodotto interno lordo diminuirà nel 2023. Nel 2024 sarà di nuovo uno dei Paesi che avranno una crescita molto debole.

Figura 1: Previsioni di crescita del PIL dell’OCSE (%)

Fonte: Prospettive economiche dell’OCSE, Rapporto intermedio settembre 2023

Naturalmente i tedeschi sono consapevoli di questa deludente performance. Ma nel dibattito pubblico il principale responsabile è la “burocrazia”, il governo. Sebbene la burocrazia tedesca sia spesso lenta e inefficiente, bisogna chiedersi se questo spieghi davvero la scarsa performance dell’economia. L’Istituto internazionale per lo sviluppo manageriale stilaogni anno una classifica internazionale dell’efficienza dei governi. Al 27° posto, la burocrazia tedesca non è certo eccezionale. Ma i suoi concorrenti non fanno molto meglio: gli Stati Uniti sono al 25° posto, il Regno Unito al 28° e la Cina al 35°, mentre Giappone, Francia, Spagna e Italia sono ancora più indietro. Quindi, devono esserci problemi ancora più profondi della burocrazia a frenare la crescita tedesca. Questi possono essere facilmente identificati esplorando le caratteristiche specifiche del “modello di sviluppo” dell’economia tedesca. Rispetto ai suoi concorrenti, questo modello può essere descritto da tre cerchi concentrici.

Orientamento all’esportazione. Il cerchio esterno rappresenta un pronunciato orientamento alle esportazioni. Dagli anni ‘90, in Germania il rapporto tra esportazioni e PIL è quasi raddoppiato. Con il 47% del PIL, è molto più alto rispetto a Francia e Regno Unito (29%), Cina (20%) e, soprattutto, Stati Uniti (11%). Nel periodo della rapida globalizzazione, le esportazioni hanno dato impulso all’economia tedesca, mentre gli elevati avanzi delle partite correnti riflettevano la mancanza di domanda interna. Ma oggi, con il crescente protezionismo – non solo in Cina, ma soprattutto negli Stati Uniti – il commercio mondiale non è più un motore di crescita. La Germania non può più contare sul fatto che altri Paesi facciano da stimolo alla sua economia.

Il cerchio intermedio del modello economico tedesco è la sua forte concentrazione sul settore manifatturiero: la quota sul valore aggiunto (19 percento) è ancora una volta molto più alta di quella degli Stati Uniti (11 percento) e più che doppia rispetto a quella di Francia e Regno Unito (9 percento). Sebbene la Germania abbia beneficiato per decenni della sua forte base industriale, gli alti prezzi dell’energia e la necessità di decarbonizzare l’economia pongono molti più problemi rispetto ai Paesi con un ampio settore dei servizi (meno energivoro). In questo ambito, la Germania (come i suoi colleghi europei) soffre della mancanza di piattaforme digitali. Un recente studio della Frankfurter Allgemeine Zeitung mostra che gli Stati Uniti rappresentano l’80% del valore del mercato globale di tali piattaforme, la Cina il 17% e l’Europa, nel suo complesso, solo il 2%.

All’interno del settore manifatturiero, il cerchio più interno è costituito dal settore automobilistico tedesco, che ha un’altissima concentrazione di vendite nel mercato cinese. La produzione di auto in Germania ha raggiunto il picco nel 2017 e oggi è ancora inferiore ai livelli precedenti al crollo finanziario del 2008. Le reali difficoltà di Volkswagen nel mercato cinese riflettono i problemi di fondo delle case automobilistiche tedesche. Per troppo tempo, non solo si sono affidate ai motori a combustione, ma hanno anche sottovalutato l’importanza dei servizi digitali. La dipendenza di Volkswagen da un’azienda cinese relativamente piccola (XPENG) per migliorare le prestazioni digitali delle sue auto dimostra come i tempi siano cambiati: La Germania forniva tecnologie avanzate alla Cina; oggi le aziende cinesi produttrici di batterie (CATL) esportano tecnologie avanzate e investono in Germania.

OrdnungspolitikPertanto, la diagnosi – molto diffusa nei media tedeschi (e da numerosi economisti) – secondo cui la burocrazia (e le correlate alte imposte) è il problema principale del Paese non coglie il punto. L’economia tedesca sta affrontando una sfida fondamentale per il suo modello di sviluppo che non può essere vinta eliminando le normative e tagliando le tasse. È necessaria una trasformazione globale, che richiede soprattutto un nuovo paradigma economico. Il dibattito economico tedesco rimane tuttavia dominato dall’incrollabile fede dei principali economisti nelle virtù del mercato. Ordnungspolitik, una parola intraducibile, è il grido di battaglia dell’ortodossia economica tedesca. In una recente intervista, Veronika Grimm, membro del Consiglio tedesco dei consulenti economici, ha presentato in modo molto chiaro questo articolo di fede: “Lo Stato non sa meglio degli attori economici dove si trovano le opportunità future. Inoltre, non bisogna dimenticare che la politica è massicciamente influenzata dai gruppi di interesse. Questi ultimi spesso lottano per preservare lo status quo o almeno per rallentare il ritmo del cambiamento”.

L’implicazione più evidente della Ordnungspolitik è lo Schuldenbremse (freno al debito) sancito dalla Costituzione tedesca nel 2009. Questo impone di fatto il pareggio di bilancio, in modo che né il governo federale né quelli dei Länder possano finanziare investimenti pubblici produttivi con il debito. Questa regola, che non esiste in nessun altro grande Paese, rende implicitamente il debito pubblico la preoccupazione più importante, alla quale sono subordinati tutti gli altri problemi dell’economia reale. Dato che il rapporto debito/PIL della Germania è di gran lunga il più basso tra i Paesi del G7, frenando il debito la Germania assegna la massima priorità al problema meno urgente.

Spazio fiscale limitato. Sarà quindi molto difficile per la Germania ristrutturare con successo la propria economia. Il divieto di finanziare gli investimenti pubblici con il debito limita il margine di manovra fiscale per stimolare la domanda interna. Il forte calo dell’edilizia causato dagli alti tassi di interesse offrirebbe un’opportunità ideale per gli investimenti nell’edilizia sociale. La migrazione ha reso molto difficile, se non impossibile, trovare alloggi a prezzi ragionevoli nelle principali città tedesche. Eppure, in occasione di un vertice speciale sull’edilizia abitativa organizzato dal governo nel mese di settembre, il ministro dell’edilizia abitativa non ha voluto o non ha potuto aumentare gli stanziamenti di bilancio oltre la cifra molto bassa di 1,3 miliardi di euro per quest’anno e di 1,6 miliardi di euro per il prossimo. Anche il necessario riorientamento dell’industria manifatturiera tedesca verso nuove tecnologie e servizi è vittima del freno al debito. Sebbene tale trasformazione debba essere sostenuta da sforzi su larga scala nella ricerca, la spesa pubblica in questo settore è in caduta libera.

Ciò è ancora più preoccupante se si considera che, allo stato attuale, la Germania non svolge un ruolo dominante nella ricerca high-tech. In una recente classifica degli sforzi di ricerca in 64 tecnologie innovative (Figura 2), la Cina è risultata di gran lunga la più attiva, seguita dagli Stati Uniti. La Germania si è piazzata dietro India, Corea del Sud e Regno Unito.

Ma non è solo la mancanza di finanziamenti pubblici a frenare la trasformazione dell’economia tedesca. Mentre in Cina e negli Stati Uniti – e anche in molti altri Paesi più piccoli – lo Stato svolge un ruolo decisivo nel plasmare l’ecosistema delle nuove tecnologie, molti economisti tedeschi si oppongono in linea di principio a una “corsa alle sovvenzioni”. In aprile la Gemeinschaftsdiagnose (La diagnosi comune, una pubblicazione periodica) dei principali istituti di ricerca economica tedeschi ha sostenuto: “Politica di localizzazione invece di politica industriale. Lasciate ad altri la corsa ai sussidi”. In conseguenza di questo approccio passivo, le case automobilistiche tedesche come Mercedes e Volkswagen hanno spostato la produzione di veicoli elettrici in Nord America, dove possono beneficiare dei generosi sussidi forniti dall’Inflation Reduction Act (IRA) statunitense o dagli accordi di corrispondenza del Canada.

Figura 2: “Medagliere” della ricerca sulle nuove tecnologie

Fonte: Istituto australiano di politica strategica 

Recuperare la salute. Questa volta la diagnosi è corretta: la Germania si è ammalata. Ma potrebbe essere curata se fosse disposta a cambiare il suo stile di vita e a prendere le medicine necessarie per ritrovare la salute. Il cambiamento di stile di vita richiede un nuovo modo di pensare: invece di una fiducia spesso incondizionata nelle forze di mercato, è necessaria una visione più articolata, che veda il governo non solo come un problema (“burocrazia”) ma anche come una soluzione ai problemi che i mercati non possono “risolvere” da soli. La medicina è il debito pubblico utilizzato come motore della crescita, non riducendo le tasse e i trasferimenti che le accompagnano, ma aumentando gli investimenti pubblici per stimolare la domanda interna e la nascita e la diffusione di nuove tecnologie.


* Questo articolo è stato originariamente pubblicato, in inglese, su Social Europe (www.socialeurope.eu) il 9 ottobre 2023.

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