ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 203/2023

14 Novembre 2023

La sconfitta della sinistra nel mondo arabo negli anni ‘70

Massimiliano Massimiliani si interroga sull'assenza della sinistra mediorientale nello scenario dell'attuale crisi in Medioriente e sostiene che essa risale alla seconda metà della Guerra Fredda quando il Medio Oriente è stata una delle zone di maggior attrito tra le due superpotenze. Questo scontro, che si è risolto quasi sempre sul piano militare, ha indebolito o eliminato i soggetti secolaristi che avrebbero dovuto essere protagonisti di un processo di democratizzazione degli Stati della regione dopo la dissoluzione degli Imperi coloniali.

A seguito dei recenti attacchi terroristici di Hamas in Israele, la questione Israelo-Palestinese è tornata prepotentemente al centro del dibattito pubblico europeo e statunitense dopo molti anni in cui era passata in secondo piano, nell’illusione che il processo di normalizzazione stesse procedendo da solo grazie alle politiche di 23 anni ininterrotti di governi israeliani di destra ed agli accordi di Abramo promossi dall’amministrazione Trump.

Purtroppo anche in passato si è registrata una tendenza dell’opinione pubblica occidentale a dimenticare i conflitti extraeuropei, anche quelli in Medio Oriente, quando la violenza non esplode clamorosamente ed a rappresentarli come qualcosa di lontano o esotico, comunque in secondo piano rispetto alle guerre combattute sul suolo europeo. Inoltre, di fronte al caos ed ai conflitti che attraversano la nostra epoca, spesso i commentatori politici dipingono la seconda metà del novecento come il più lungo periodo di pace nella storia recente comunque garantito dall’equilibrio tra i blocchi, nonostante qualche attrito locale. Ma se questo può essere considerato sostanzialmente vero per quelli che un tempo venivano definiti Primo Secondo mondo, non si può affermare la stessa cosa per il Terzo mondo

Il processo di indipendenza dei popoli coloniali avviatosi dalla fine della seconda guerra mondiale, infatti, ha generato uno scontro diffuso che si è manifestato anche con guerre convenzionali e civili, in cui le due superpotenze hanno gareggiato per esercitare la propria influenza e cercare alleati. USA e URSS molto spesso hanno svolto il ruolo di regolatori dei conflitti e di fornitori di armi, invece di promuovere le soluzioni possibili per una pace giusta e duratura che avrebbe potuto diminuire la loro rispettiva egemonia e peso strategico. Inoltre, non si può pensare alla lunga serie di conflitti che hanno attraversato la guerra fredda come qualcosa che si è chiuso insieme a quell’epoca di contrapposizione bipolare, ma piuttosto come premessa e preparazione delle guerre che dal crollo dell’URSS ai nostri giorni, hanno afflitto soprattutto lo scenario mediorientale.

Nel periodo della guerra fredda, ci sono state guerre e repressioni in Africa, America Iberica e Asia. Ma in Asia, in particolar modo, quasi sempre lungo i confini delle due potenze comuniste, si sono concentrati i conflitti più lunghi e sanguinosi del secondo novecento. Dalla Corea all’Indonesia, dall’Indocina al Bangladesh fino al Medio Oriente, guerre e repressioni politiche ed etniche hanno generato una lunga scia di lutti e distruzione. 

All’interno di questa catena di eventi, dalla fine degli anni ‘60, il Medio Oriente è divenatata la zona più calda dello scontro: la Guerra dei Sei Giorni e quella dell’Ottobre 1973 (che fu accompagnata anche della piu grave minaccia nucleare dopo la Crisi dei missili di Cuba), la repressione della Resistena palestinese, la cruenta Guerra civile in Libano, la Rivoluzione iraniana e la Guerra Iran-Iraq, l’invasione sovietica dell’Afganistan, sono solo i conflitti maggiori di quel decennio. 

Per completare questa lista possono essere utili alcuni numeri: dal 1945 al 1990, solo in Asia si sono registrati circa 14 milioni di morti causati da guerre convenzionali e civili. USA ed URSS hanno destinato su questo continente circa l’80% dei loro aiuti economici e militari. Per la precisione gli USA hanno fornito 100 miliardi di dollari in Asia e più di 100 al solo Medio Oriente. L’URSS ha rispettato le stesse proporzioni ma in scala molto più ridotta, trasferendo l’equivalente di 2 miliardi di dollari in Asia ed altri 2 miliardi al Medio Oriente (cfr. P. T. Chamberlin, The Cold War’s Killing Fields: Rethinking the Long Peace, HarperCollins, 2018, p. 5–7).

Questi numeri smentiscono da soli una lettura riduttiva che relega le ragioni del conflitto ad uno scontro etnico o religioso. Questo tipo di visione, infatti, non tiene conto dell’importanza strategica di questa zona sia per la sua vicinanza al confine meridionale dell’ex URSS, sia per la sua straordinaria ricchezza di idrocarburi. Il Medio Oriente ha sempre avuto profondi legami con la nostra società ed economia, ed anche nella nostra epoca i conflitti che lo hanno attraversato hanno sempre generato profonde ripercussioni politiche ed economiche in Europa ed in USA. 

Per quel che riguarda la storia politica è indubbio che la polarizzazione delle posizioni sulla questione israelo-palestinese, ad esempio, ha avuto forti ripercussioni nel dibattito pubblico internazionale. Dopo la guerra del 1967, inoltre, questo è stato uno dei temi divisivi per la sinistra in USA, Europa e Medio Oriente.

Nella sinistra statunitense questa divisione fu particolarmente sentita proprio nel momento della sua maggiore spinta politica, sia tra i neri americani, che avevano una tradizione di sostegno ad Israele, sia nella sinistra, Nuova e tradizionale, che in quegli anni era caratterizzata da una notevolissima presenza di dirigenti e militanti ebrei americani (cfr. M. R. Fischbach, Black Power and Palestine: Transnational Countries of Color, Stanford University Press 2018 e The Movement and the Middle East: How the Arab-Israeli Conflict Divided the American Left, Stanford University Press 2020).

In Italia ed in Europa il diverso posizionamento sulla questione israelo-palestinese contribuì ad allontanare la sinistra di ispirazione laburista da quella comunista e ad accentuare lo scontro nella sinistra comunista tra posizioni filosovietiche e filocinesi. 

Questa divisione fu presente anche nella sinistra mediorienatale, dove i partiti comunisti arabi, in linea con il loro filosovietismo, sostenevano, a differenza sia dei nazionalisti che dei fondamentalisti islamici, il diritto all’esistenza dello Stato di Israele in linea con il voto ONU del 1948, quando l’URSS fu il primo stato a riconoscere de jure Israele dopo la guerra di indipendenza. Questa posizione contribuì ad isolare e ad indebolire la sinistra marxista nel mondo arabo, dove la contrapposizione verso Israele veniva usata come collante ideologico sia dalle destra religiosa che dal movimento nazionalista e baathista. Inoltre, l’allontanamento e la marginalizzazione dell’ebraismo nei Paesi arabi a seguito dell’inasprimento dei conflitti mediorientali, privarono molti Partiti comunisti arabi di una componente intellettuale vitale, che era stata fondamentale anche per la loro nascita. Molto spesso infatti viene ignorato il contributo degli ebrei nella diffusione del comunismo nel mondo arabo nella prima metà del XX secolo. Pensiamo ad esempio al ruolo svolto da una personalità come Henri Curiel (cugino di Eugenio) per il movimento comunista egiziano o alla missione di diffusione e di arabizzazione del comunismo che fu assegnata dalla III internazionale ai comunisti ebrei nella Palestina mandataria.

In Israele, invece, le vittorie nelle guerre del 1967 e del 1973, segnarono l’apice ma anche l’esaurimento della funzione storica del laburismo israeliano che era stato la forza maggioritaria prima e dopo la fondazione dello Stato di Israele. Le politiche di oppressione diretta, le contraddizioni generate dalla gestione dei rapporti con popolazione araba nello Stato di Israele e nei Territori occupati e l’incapacità di comprendere il salto di qualità che si stava preparando nella resistenza della società palestinese, contribuirono alla sconfitta del laburismo sionista israliano nel 1977 ed alla marginalizzaione della sinistra di matrice marxista pionerista-sionista del Mapam (cfr. Z. Sternhell, Nascita d’Israele, Baldini e Castoldi, 2002, p. 447–8). Il Partito laburista israeliano, dal 1977 ad oggi, ha governato poco più di 8 anni e nelle ultime elezioni del 2022 ha preso il 3,7% dei voti; il Meretz (dove è confluito il Mapam) ha preso il 3,2% ma non ha eletto deputati. Il partito comunista arabo-ebraico Rakah, scissosi dal PC d’Israele Maki nel 1965, invece, è stato una delle voci più forti in difesa dei diritti della popolazione araba in Israele e delle ragioni del dialogo arabo-ebraico. Dopo l’esaurimento politico del Maki nella seconda metà dei ‘70, ha ripreso questo nome ed è ancora presente nella Knesset nella coalizione Hadash-Ta’al (3,8%). 

Negli altri Stati del Medio Oriente, quasi tutti i partiti e i movimenti di sinistra erano formazioni minoritarie nei rispettivi Paesi (con poche eccezioni, come il Sudan e l’Iraq). Questi movimenti furono oggetto di costante repressione, ma seppero proporre, sin dall’epoca coloniale, una concezione dello sviluppo della regione diversa da quella dei regimi dominanti o delle correnti tradizionaliste. Furono proprio queste forze a organizzare i primi sindacati guidati da lavoratori e a proporre un modello di socializzazione politica non legato a specifiche clientele o clan familiari. In opposizione alle culture tradizionali dominanti laiche o religiose, combatterono per le libertà democratiche, per l’emancipazione delle donne e per la giustizia sociale. Nonostante i loro limiti, furono protagonisti importanti quasi ovunque nella lotta di liberazione dal dominio coloniale. Purtroppo, dopo la grande spinta iniziata negli anni ‘50 e culminata nel ‘68, dall’inizio degli anni ‘70 si osserva un’ondata repressiva che porterà entro la fine del decennio alla scomparsa o al fortissimo ridimensionamento di quasi tutti i movimenti rivoluzionari del Terzo Mondo, avvenuto il più delle volte attraverso l’eliminazione fisica dei militanti e degli attivisti socialisti, comunisti e democratici. 

Nel 1970, il Settembre nero giordano apre una fase di cruenta repressione della sinistra araba. Nell’estate 1971, in poco più di un mese si registrarono la liquidazione del gruppo degli ufficiali nazionalisti in Marocco, lo schiacciamento definitivo della resistenza palestinese in Giordania e l’annientamento del PC del Sudan dopo un tentato colpo di Stato. Contemporaneamente, in Siria la giunta militare guidata da Assad aveva concluso l’opera di stabilizzazione interna epurando l’ala più radicale dei generali del Baath siriano, mentre in Egitto Sadat, dopo il 1973, avviava un riavvicinamento agli USA e lo sganciamento dall’orbita sovietica. Questa prima fase di repressione sarà seguita da una seconda ondata che attraverserà quasi tutti gli Stati dell’area, che segna l’ascesa politica e militare del fondamentalismo islamico e che pone le premesse per i 20 anni di guerre, che dall’11 settembre in poi, hanno impegnato gli eserciti d’occidente. La guerra civile in Libano è forse il primo brutale esempio di scontro etnico/religioso in cui entrano in campo pesantemente le milizie religiose, seguito dai regolamenti dei conti del regime iracheno contro curdi e comunisti, dalla sconfitta e dalle repressione della sinistra iraniana e dal laboratorio fondamentalista dell’Afghanistan durante e dopo l’invasione sovietica.

Questa lunga onda che ha percorso tutta l’Asia, ha favorito la militarizzazione di regimi comunisti e di dittature autoritarie in Cina e Taiwan, le due Coree, Indonesia, Vietnam e Cambogia. In Medio Oriente questa politica ha enormemente rafforzato il peso dei militari e della destra in Egitto, Siria, Iraq, Pakistan e Israele. Infine, dagli anni ‘70 in poi il fondamentalismo islamico ha iniziato la sua ascesa militare e politica partendo da Libano, Iran ed Afghanistan. 

La scelta della soluzione militare e non politica dei conflitti in Medio Oriente ha schiacciato ogni processo di evoluzione democratica in tutta la regione, favorendo guerre convenzionali tra Stati, guerre civili ed un duro controllo poliziesco-militare interno in tutti gli Stati dell’area. La sinistra è stata sconfitta, ma insieme a lei sono state distrutte anche le forze secolariste e moderate, radicalizzando lo scontro politico ed eliminando le più importanti possibili alternative per la costruzione di nuove democrazie in questa regione, rispetto a regimi fondati sul fondamentalismo religioso, di ogni confessione, e sull’odio etnico (cfr. Chamberlin, cit., p. 556–61).

Questo è stato uno dei costi della pace di cui l’Europa ha goduto negli anni della Guerra fredda; è necessario smettere di negarlo per cominciare ad immaginare un modo diverso di agire. La storia della guerra fredda ci insegna che non c’è una soluzione militare al conflitto israelo-palestinese, né a quelli nel resto del mondo arabo. La scelta della guerra compiuta fino ad oggi, oltre a portare via milioni di vite, ha piantato tanti semi di ulteriore violenza.

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